L'unico
comparto economico italiano che tira è quello delle esportazioni. Non
basta per parlare di "ripresa". Tanto più perché questa è a rischio
vista la recessione globale in arrivo. Del resto, se il dato
sull'occupazione è la cartina di tornasole, abbiamo che il numero degli
occupati in Italia, al netto dei licenziamenti, è cresciuto solo di 5
mila unità.
[Nella tabella la frenata della "locomotiva" tedesca]
«C'è chi parla di 0,9, chi di 1 per cento già quest'anno.
L'economia italiana, insieme a quella europea, sta prendendo quota, si
dice, la crisi è alle spalle. Senza particolari entusiasmi, le
previsioni sono confermate, decimale più, decimale meno, dai grandi
organismi internazionali. In realtà, una situazione in cui un tasso di
sviluppo previsto per l'Eurozona appena sopra all'1 per cento viene
indicato come un fattore trainante non appare particolarmente
rassicurante. Soprattutto, l'impressione è che queste previsioni siano
state preparate in estate, prima che fosse chiaro l'impatto del
rallentamento cinese. E prima che lo scandalo Volkswagen gettasse
un'ombra cupa sulle prospettive dell'unica locomotiva europea, la
Germania.
I dati Bankitalia dicono che l'unico comparto che tira in Italia sono le esportazioni. In rallentamento la Cina e, in generale, i paesi emergenti, a chi esportiamo? Usa e Eurozona. Come stanno questi mercati? Il Fmi prevede per gli Stati Uniti tassi di sviluppo sopra il 2,6 per cento, ma fonti interne alla Fed ipotizzano un misero 1 per cento. In America si licenzia: 205 mila licenziati nel terzo trimestre, quasi quanti nell'estate 2009. Il tasso di disoccupazione è sceso dal 5,3 al 5,1 per cento, ma il numero degli occupati, al netto dei licenziamenti, è cresciuto solo di 5 mila unità. I salari si muovono appena. Il paese non esportava così poco dal 2011. Non è il ritratto della salute.
In Europa, la superpotenza tedesca perde colpi. Ordini e produzione industriale, attesi in aumento, sono invece diminuiti. Non è il caso di ingigantire dati mensili. Le previsioni ufficiali indicano tuttora un'espansione dell'1,5-1,6 per cento, fra quest'anno e il prossimo, dell'economia tedesca (e di quella europea). Però, i dati sugli ordini e sulla produzione industriale sono di agosto. Prima del caso Volkswagen. E l'industria dell'auto vale, da sola, con l'indotto, quasi il 6 per cento del prodotto interno lordo tedesco. In proporzione, più che in ogni altro paese europeo. Gli analisti calcolano che un declino del 10 per cento della produzione del gigante di Wolfsburg sarebbe sufficiente a far sparire lo 0,15 per cento dal Pil tedesco. E un 10 per cento potrebbe rivelarsi una ipotesi ottimistica.
Partendo in ritardo nella ripresa, anche rispetto alla Spagna, l'Italia ha probabilmente davanti a sè una rincorsa più lunga. Ma, se punta solo sull'export, potrebbe presto scoprire che sta correndo da sola e che il fiato non basta. Stretta troppo a lungo nella camicia di forza dell'austerità, l'Eurozona ha, forse, preso troppo tardi il treno della ripresa, quando già stava rallentando. I prossimi mesi diranno se siamo di fronte solo ad una pausa o se ci sono degli ostacoli sulle rotaie. L'ultimo Outlook del Fmi avverte che, quando le recessioni finiscono, non sempre si torna al ritmo di sviluppo precedente. Spesso, si finisce per andare comunque più piano. L'euforia del 2007 potrebbe non tornare più.
Una ipotesi tanto più inquietante, se si considera che mai la politica monetaria è stata generosa, lassista, spregiudicata come negli ultimi sette anni. In tutto il mondo. Un economista importante come Larry Summers chiede che si metta mano ad una politica generale di stimolo fiscale, per evitare la stagnazione mondiale. L'Europa ha un po' allentato la cinghia, ma continua ad andare in direzione opposta».
I dati Bankitalia dicono che l'unico comparto che tira in Italia sono le esportazioni. In rallentamento la Cina e, in generale, i paesi emergenti, a chi esportiamo? Usa e Eurozona. Come stanno questi mercati? Il Fmi prevede per gli Stati Uniti tassi di sviluppo sopra il 2,6 per cento, ma fonti interne alla Fed ipotizzano un misero 1 per cento. In America si licenzia: 205 mila licenziati nel terzo trimestre, quasi quanti nell'estate 2009. Il tasso di disoccupazione è sceso dal 5,3 al 5,1 per cento, ma il numero degli occupati, al netto dei licenziamenti, è cresciuto solo di 5 mila unità. I salari si muovono appena. Il paese non esportava così poco dal 2011. Non è il ritratto della salute.
In Europa, la superpotenza tedesca perde colpi. Ordini e produzione industriale, attesi in aumento, sono invece diminuiti. Non è il caso di ingigantire dati mensili. Le previsioni ufficiali indicano tuttora un'espansione dell'1,5-1,6 per cento, fra quest'anno e il prossimo, dell'economia tedesca (e di quella europea). Però, i dati sugli ordini e sulla produzione industriale sono di agosto. Prima del caso Volkswagen. E l'industria dell'auto vale, da sola, con l'indotto, quasi il 6 per cento del prodotto interno lordo tedesco. In proporzione, più che in ogni altro paese europeo. Gli analisti calcolano che un declino del 10 per cento della produzione del gigante di Wolfsburg sarebbe sufficiente a far sparire lo 0,15 per cento dal Pil tedesco. E un 10 per cento potrebbe rivelarsi una ipotesi ottimistica.
Partendo in ritardo nella ripresa, anche rispetto alla Spagna, l'Italia ha probabilmente davanti a sè una rincorsa più lunga. Ma, se punta solo sull'export, potrebbe presto scoprire che sta correndo da sola e che il fiato non basta. Stretta troppo a lungo nella camicia di forza dell'austerità, l'Eurozona ha, forse, preso troppo tardi il treno della ripresa, quando già stava rallentando. I prossimi mesi diranno se siamo di fronte solo ad una pausa o se ci sono degli ostacoli sulle rotaie. L'ultimo Outlook del Fmi avverte che, quando le recessioni finiscono, non sempre si torna al ritmo di sviluppo precedente. Spesso, si finisce per andare comunque più piano. L'euforia del 2007 potrebbe non tornare più.
Una ipotesi tanto più inquietante, se si considera che mai la politica monetaria è stata generosa, lassista, spregiudicata come negli ultimi sette anni. In tutto il mondo. Un economista importante come Larry Summers chiede che si metta mano ad una politica generale di stimolo fiscale, per evitare la stagnazione mondiale. L'Europa ha un po' allentato la cinghia, ma continua ad andare in direzione opposta».
* Fonte: Economia e Finanza
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