sabato 24 ottobre 2015

Le alleanze locali e il partito dei padroni di Paolo Favilli


Le alleanze locali e il partito dei padroni
Nell’intervista a Nichi Ven­dola pub­bli­cata su il manifesto del 16 otto­bre scorso su alcune que­stioni, e non certo secon­da­rie, le parole si sono chia­rite. Su altre, invece, mi sem­bra per­man­gano tracce evi­denti di una meta­fora teo­riz­zata qual­che tempo fa da lui stesso: la meta­fora dell’anguilla. «Non voglio essere lo scor­pione sulla spalla del Pd, ma nep­pure un grillo par­lante o un cama­leonte. Dob­biamo essere un’anguilla nei con­fronti del Pd per sfug­gire alla cat­tura di chi ci vuole por­tare indietro».
Sulle spalle, vicino alle orec­chie, o sgu­sciante tra le mani, comun­que sem­pre in con­ti­guità col Pd, per­ché c’è il peri­colo di essere ripor­tati «indie­tro», verso «rin­culi minoritari».
In verità tutti siamo stati «ripor­tati indie­tro» e tutti siamo di fatto «mino­ri­tari». L’uso di que­ste espres­sioni come arma con­tun­dente della pole­mica poli­tica è il segnale di quanto siano ancora pre­senti le dina­mi­che della dis­si­pa­zione di quella parte del patri­mo­nio ideale ed ana­li­tico che in qual­che modo era soprav­vis­suto all’azzeramento di «tutti i labo­ra­tori, tutti i luo­ghi di ela­bo­ra­zione, (…) dell’enorme mole di pas­sioni» (Asor Rosa) che erano stati la vita con­creta del Par­tito comu­ni­sta ita­liano.
Non che di que­sta pic­cola (ma poi non tanto) dis­si­pa­zione Ven­dola sia il solo respon­sa­bile, anzi, ma senza una comune rifles­sione di fondo sulle ragioni del disa­stro sarà dif­fi­cile la costru­zione della «casa comune».
Nell’intervista, insieme ad espres­sioni che ci «por­tano indie­tro», Ven­dola ne ado­pera un’altra che, invece, ci pro­ietta dav­vero in avanti: «auto­no­mia cul­tu­rale»; quella poli­tica ne è la con­se­guenza. L’autonomia cul­tu­rale è que­stione che deve esse presa sul serio ed allora risul­terà chiaro come il pro­blema di una col­lo­ca­zione sulle spalle, davanti agli occhi, ecc. del Pd sia aspetto del tutto ideo­lo­gico e mistificante.
L’autonomia cul­tu­rale pre­vede che si ana­liz­zino le ragioni strut­tu­rali (anche cul­tura e men­ta­lità sono strut­ture) dei com­por­ta­menti poli­tici e delle orga­niz­za­zione poli­ti­che. Non si parte certo dal nulla. Pos­siamo disporre di un patri­mo­nio ana­li­tico che ha alla sua ori­gine scritti impre­scin­di­bili per qual­siasi teo­ria e pra­tica cri­tica, ed un testo fon­da­men­tale della moder­nità come «Il Capi­tale». Un patri­mo­nio ana­li­tico svi­lup­pato nel Nove­cento, per dirla con Tho­mas Mann, dal «gruppo di inge­gni più intel­li­gente che ci sia oggi» (il cor­sivo è di Mann). Un patri­mo­nio ana­li­tico che ha con­ti­nuato a sol­le­ci­tare l’insieme della cul­tura cri­tica di que­sto ini­zio mil­len­nio.
Ecco, l’«autonomia cul­tu­rale» che Ven­dola giu­sta­mente invoca, passa attra­verso la ria­per­tura di un cir­colo vir­tuoso tra i poli­tici della nostra parte e gli aspetti attuali di una lunga con­ti­nuità. Alla luce della stru­men­ta­zione ana­li­tica che ne deriva la col­lo­ca­zione del Pd ci appa­rirà in tutta la sua evi­denza, non offu­scata da «parole» che non hanno rap­porto con le «cose». E l’evidenza ci dice che tale par­tito oggi è ele­mento cen­trale, ele­mento strut­tu­ral­mente cen­trale, dell’insieme di forze politico-economiche che gui­dano con­vin­ta­mente la forma assunta dalla fase di accu­mu­la­zione in corso.
Lo stesso giorno in cui è apparsa l’intervista al mani­fe­sto, in un blog pub­bli­cato da Huf­fing­ton Post, il sena­tore del suo par­tito Dario Ste­fàno invi­tava a «ragio­nare, pro­prio con il Pd, su quello che vogliamo fare noi, su come imma­gi­niamo il futuro del nostro paese».
A pro­po­sito mi è corsa subito alla mente una cita­zione che il grande scrit­tore ame­ri­cano Gore Vidal mette in bocca ad un sena­tore sta­tu­ni­tense a cui un intel­li­gente gior­na­li­sta amico aveva chie­sto se il «pre­si­dente crede dav­vero alle scioc­chezze» con le quali un altro sena­tore, Joseph McCarty, stava ter­ro­riz­zando e, nello stesso tempo, ricat­tando gli Usa. «Non ti scor­dare mai — afferma il sena­tore amico — che i poli­tici non sono per­sone come le altre. Non cre­diamo mai a niente, se non alla rie­le­zione» (L’età dell’oro, 2000).
La nostra tra­di­zione poli­tica e cul­tu­rale ha avuto uno dei suoi punti di forza pro­prio nella nega­zione di que­sto modo di essere «poli­tico».
La pro­po­sta di Ste­fàno è basata su una misti­fi­ca­zione tutta poli­ti­ci­stica della realtà pro­fonda che carat­te­rizza i pro­cessi eco­no­mici e sociali in atto. Tra que­sta e la dif­fi­ci­lis­sima ope­ra­zione in cui ci sen­tiamo tutti impe­gnati la con­trad­di­zione è radi­cale. Dif­fi­cile uti­liz­zare ancora la meta­fora dell’anguilla.
Per­ciò pongo la stessa domanda con cui qual­che giorno fa ho con­cluso un arti­colo su que­sto gior­nale. La costru­zione di una forza poli­tica esterna e di anti­tesi ai modi dell’accumulazione in corso, può reg­gere l’alleanza con la dimen­sione locale del «par­tito dei padroni»?

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