mercoledì 31 ottobre 2018

M5S e la metafora della rana bollita di Elena Fattori, Vice presidente commissione Agricoltura Senato

Alessandro Di Battista nei suoi comizi raccontava una interessante metafora:
"Immaginate una pentola di acqua bollente. Una rana non ci entrerebbe mai e se qualcuno ce la buttasse dentro, darebbe un colpo di zampa e si salverebbe. Ora immaginate la stessa rana in una pentola di acqua fredda. Il fuoco è acceso e l'acqua si scalda poco a poco. La rana non si preoccupa. Ma la temperatura sale ancora, l'acqua inizia a scottare. La rana ormai è debole, non ha più forza di reagire. Prova a sopportare. Poi non ce la fa più e muore bollita. Abituarsi è deleterio. Sono gli 'abituati' i cittadini più amati dal Governo. Io credo che siamo ancora in tempo a dare quel colpo di zampa prima di finire bolliti. Dipende soltanto da noi. A riveder le stelle!".
Ecco, ora immaginate se in uno dei tanti comizi e convegni appena qualche mese fa avessi raccontato questo:
"Il Movimento 5 stelle non fa alleanze, ma noi cambieremo il termine, ci alleeremo con la Lega e chiameremo questa alleanza "Contratto". Ricordate la bella presentazione dei ministri 5 stelle che vi avevamo chiesto di votare? Perché il Movimento presenta la sua squadra prima delle elezioni così il popolo può scegliere i suoi ministri. Ecco, non c'entra niente con la squadra di governo che verrà, ma voi non ci farete troppo caso. Avremo un presidente del Consiglio non eletto dal popolo a voi totalmente sconosciuto, come ministro dell'Interno Matteo Salvini, e un ministro della Famiglia "tradizionale" forse un po' omofobo, ma pazienza. Poi diremo sì alla Tap, si all'Ilva, valuteremo costi/benefici per decidere sulla Tav e anche sul Ceta ci ragioneremo. Faremo un condono fiscale e uno edilizio. Ed eleggeremo come presidente del Senato una berlusconiana doc.
Per quanto riguarda il tema migranti scordatevi il saggio piano 5 stelle di accordi con i paesi di provenienza, lo smantellamento dei grandi e orribili centri di accoglienza che generano conflitti sociali e disagi per i cittadini. Scordatevi la gestione pubblica dell'accoglienza diffusa, i tempi rapidi per le domande di asilo che consentano di rimpatriare chi non ha diritto ed accogliere con dignità i rifugiati. Toglieremo la gestione di migranti ai Comuni e la affideremo ai privati senza gara di evidenza pubblica raddoppiando i tempi di permanenza da nove a diciotto mesi, favorendo così il business dell'immigrazione. Doneremo 150.000 nuovi clandestini alla criminalità organizzata per il lavoro nero e lo spaccio. Chi invocherà il rispetto del programma 5 stelle rischierà sanzioni e persino di essere espulso per non contrariare l'alleato Salvini".
Mi avrebbero preso per folle o per lo meno mi avrebbero rincorso con torce e forconi. Ma si sa, le rane saltano solo se le butti nell'acqua bollente. Se accendi il fuoco nel pentolone e la temperatura sale piano piano...

giovedì 18 ottobre 2018

La sinistra europea sta morendo: e se lo merita di Aldo Giannuli




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Di fronte al processo di globalizzazione neo liberista la sinistra europea (limitiamoci a questa area) si è divisa in tre aree:

a. la sinistra “riformista” (o, se volete, socialdemocratica) che ha accettato supinamente la rivoluzione neo liberista, non opponendo alcuna resistenza e cercando maldestramente di ritagliarsi uno spazio di sinistra interna al sistema. In questo processo di omologazione, questa sinistra ha cessato di essere socialdemocratica (e lo ha dimostrato accettando la demolizione un pezzo alla volta del welfare) per diventare semplicemente liberale, pur se con vaghissime aspirazioni socialeggianti.
La cosa è andata avanti per un quindicennio, sinché la creazione di denaro bancario ha dato la sensazione di un sostitutivo del welfare state, poi è arrivata la grande crisi e, con essa, la stretta che ha frantumato il ceto medio, spinto sotto la soglia di povertà gran parte delle classi lavoratrici e precarizzato tutta la forza lavoro giovanile. Ed in breve è stato evidente che nell’ordinamento neo liberista non c’è spazio per una sinistra riformista. I vari partiti dell’Internazionale “Socialista”, per salvare il sistema, hanno abbracciato senza fiatare le politiche di austerity che hanno massacrato la loro base sociale che, a lungo andare, li hanno abbandonati riducendoli sotto il 15% (e talvolta sotto il 10%) in Grecia, Austria, Francia Spagna e, fra non molto, Italia.
Il deflusso è andato ad alimentare la rivolta “populista” che accomuna cose molo diverse fra loro. Di fatto, l’unica sinistra possibile in questa fase storica è la sinistra antisistema: se vuoi sostenere decenti politiche sociali, non puoi accettare questo ordinamento e devi predisporti alla battaglia fontale contro l’ipercapitalismo finanziario, magari sperando di poterci arrivare con i mezzi usuali della lotta politica.
b. la seconda area è stata quella semi radicale (Rifondazione Comunista, Linke, Izquierda Unida, Siryza ecc.) che ha ritenuto non ci fossero le forza per una scontro frontale con il sistema ed ha scelto una linea di “guerra di posizione”, cercando di cedere meno terreno possibile e, a questo scopo, ponendosi come “gruppo di pressione” verso la sinistra riformista, con la quale tentare una qualche alleanza.
Schema non meno sbagliato del precedente: in primo luogo perché noi siamo una fase di guerra di movimento, nella quale non ci sono trincee nelle quali resistere. In secondo luogo perché non comprendeva la natura sociale e politica della ex sinistra socialista diventata ormai liberale ed interna al sistema liberista. Il risultato è stato che la sinistra semiradicale non ha fatto alcuna alleanza con quella “riformista” ma ha fatto solo da sgabello ad essa (basti citare l’esperienza del governo Prodi, costata la pelle a Rifondazione Comunista che prosegue in una inutile esistenza senza riuscire neanche a chiedersi dove ha sbagliato e perché). Soprattutto, l’errore bi base è stata la mancata comprensione delle caratteristiche di questo nuovo capitalismo, che, a sua volta ha determinato la totale incomprensione della crisi, verso la quale questa area non ha saputo proporre alcuna politica. E lo dimostra il fatto che la protesta montante ha premiato le nuove formazioni “populiste” e non questa sinistra semi radicale che non interessa nessuno. In Italia è ridotta a brandelli insignificanti, in Spagna e in Germania vivacchia.
Il caso più clamoroso è quello della Grecia, dove la formazione semi radicale è giunta al governo, promettendo il superamento dell’austerity salvo vendersi anima e corpo ed eseguire fedelmente i diktat della Troika, per non aver avuto il coraggio di andare allo scontro. E la conseguenza di questa disfatta morale prima ancora che politica è stata l’infelice esperienza della lista Tsipras varata in Italia, della cui esistenza non abbiamo avuto modo di accorgerci in questi quasi cinque anni per la totale assenza di ogni iniziativa.
c. la terza area è stata quella che definiamo “sinistra radicale” (centri sociali, gruppuscoli di radice maoista o trotskjista, vecchi Pc come quello portoghese o quello greco, pezzi di sindacato ecc.) che hanno assunto una posizione dichiaratamente antisistema, ma, haimè, puramente verbale e declamatoria. Non sono mancati sporadici movimenti di protesta, rivendicativi o territoriali (vedi il movimento No Tav o singole ondate di protesta salariale in Francia ecc.) ma tutto questo non fa una politica. E’ la riproposizione del vecchio “basismo” sessantottino, tentativo generoso ma votato alla sconfitta. Ed anche questa area, come la precedente, deve chiedersi perché la protesta ha premiato i “populisti” e non ha riversato neppure un rivolo di consensi in questa direzione.
Di fatto questa area non si dimostra in grado di uscire da un disperato minoritarismo e di darsi una cultura politica degna di questo nome.
Tutte tre queste aree pagano il prezzo di aver cessato qualsivoglia lavoro teorico: ma senza teoria non c’è cultura politica e, senza cultura, non c’è né analisi né progetto. I “riformisti” hanno sostituito il pensiero politico con le serate nei salotti della finanza o frequentando i Think Tank del potere (come l’Aspen, la Trilateral o i loro più modesti succedanei nazionali). La sinistra semi radicale si occupa solo di formazione di liste, di organigrammi e di distribuzione delle sempre più magre risorse. La sinistra radicale ha conati in questo senso ma che si spengono subito per l’incapacità di interloquire con chi non faccia parte della ristrettissima cerchia di ciascun gruppo.
Qualche novità positiva non manca: Corbyn in Inghilterra, Melenchon in Francia ad esempio, ma speriamo non rifacciano gli errori di chi li ha preceduti. Ne riparleremo, per ora le espressioni conosciute della sinistra, chi per un motivo e chi per un altro, possono tranquillamente dichiarare bancarotta.

A loro insaputa


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        La “manina” che strozza l’accordo Lega-M5S
                            di Alessandro Avvisato   

Che il governo a tre presentasse problemi di tenuta fin dall’inizio, ci era abbastanza chiaro. Mettere insieme blocchi di interessi sociali diversi (Lega e M5S), entrambi posti sotto tutele contabile da parte dell’Unione Europea (Tria, Mattarella, Moavero Milanesi), significava disporsi a camminare sul filo mentre soffia tramontana.


Però che il bubbone sarebbe esploso così presto, effettivamente, era un po’ difficile da prevedere, anche per il più speranzoso dei “gufi”.
Ieri sera il vicepremier e ministro Luigi Di Maio ha utilizzato il megafono tardo-democristiano di Bruno Vespa per buttare lì una bomba politica di prima grandezza: «Non è possibile che vada al Quirinale un testo manipolato» che riguarda la pace fiscale. «Domani sarà depositata una denuncia alla procura della Repubblica».
Stiamo parlando della più importante legge dello Stato – quella di “stabilità”, che regola entrate e uscite per il prossimo anno – su cui già ora la Commissione Europea ha anticipato il veto, aprendo quindi un contenzioso dalle incerte conseguenze (è la prima volta che accade, nella Ue). Una legge che, garantisce il Quirinale, non è neppure ancora arrivata sul tavolo del presidente della Repubblica, come se in due giorni il “camminatore” non fosse riuscito a coprire i 500 metri che separano Palazzo Chigi dal Colle. Una legge che – una volta approvata dal Consiglio dei ministri – nessuno può azzardarsi a modificare senza aprire un confronto politico nel governo.
I problemi sono parecchi, ma di due tipi, fondamentalmente.
Il merito della “manipolazione”. Su questo Di Maio è stato chiaro. «Nel testo che è arrivato al Quirinale c’è lo scudo fiscale per i capitali all’estero. E c’è la non punibilità per chi evade. Noi non scudiamo capitali di corrotti e di mafiosi. E non era questo il testo uscito dal Cdm. Io questo testo non lo firmo e non andrà al Parlamento. Questo è un condono fiscale come quello che faceva Renzi, io questo non lo faccio votare. Non abbiamo mai chiesto né parlato di scudare capitali all’estero e tanto meno di prevedere l’impunità per gli evasori. Non abbiamo mai discusso di questi temi e soprattutto mai pensato a dare l’impunità per il reato di riciclaggio».
Si tratta di temi contro cui i Cinque Stelle hanno costruito gran parte della loro fortuna politica, quindi impossibili da avallare senza perdere automaticamente l’aura di “onestà” che li ha portati a diventare il primo partito nel paese.
La “manina” che avrebbe apportato le modifiche è certamente competente, sia in in materia economico-legale, sia in equilibri politici.
Secondo la denuncia (solo politica, per ora) di Di Maio la possibilità di “pace fiscale” (pagando il 20% del dovuto, senza sanzioni e interessi) sarebbe stata in modo fraudolento estesa a due imposte che riguardano proprietà e attività fiscali extra-confine (Ivie e Ivafe), che riguardano gli immobili all’estero e l’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero. Insomma, una specie di “scudo fiscale” per i capitali oltre confine.
Proprio come quello varato a suo tempo – con dettagli leggermente diversi – da Berlusconi-Tremonti, Renzi-Padoan, ecc. Come “governo del cambiamento” non c’è male…
In questi ultimi anni, quelli renziani, si chiamava voluntary disclosure, anzi è ora persino più benevola (la vecchia voluntary prevedeva il pagamento di tutto il dovuto, mentre ora gli evasori pagherebbero solo il 20%; bello sconto, vero?).
Ma c’è ovviamente di peggio, visto che la stessa “manina avrebbe” autorizzato anche uno scudo penale per chi presenterà la dichiarazione integrativa. Se, come c’è scritto nel testo “taroccato”, non c’è punibilità per “dichiarazione infedele, omesso versamento di ritenute e omesso versamento di Iva”, questa “facilitazione” varrebbe automaticamente anche in caso di riciclaggio o impiego di proventi illeciti. Un po’ troppo sfacciati, dài…
Altri argomenti spinosi già non mancavano, visto che la formula usata per delimitare la sanatoria di fatto esclude gli “evasori per necessità” (di cui si riempiono la bocca tutti i leghisti ospitati nei talk show), mentre ci rientrerebbero gli evasori totali, quelli che non vogliono pagare nemmeno davanti a una pistola puntata. Lo sconto sulle imposte si applica infatti sul “maggior reddito dichiarato” (nascosto al fisco), ma non a chi ha dichiarato tutto e poi non ha versato le imposte perché non aveva i soldi.
Il secondo ordine di problemi è tutto politico, invece.
Se c’è stata davvero una “manina” competente che ha provato a far passare condoni non concordati tra i “tre governi in uno”, si tratta di scoprire a chi appartiene. Non è una indagine complessa, perché può essere stato solo un ministro o un vice, o il sottosegretario alla presidenza del consiglio (il leghista Giorgetti).
Se invece era già tutto scritto così come si legge oggi, allora i ministri grillini – e tutto il loro staff, Giuseppe Conte compreso – semplicemente non avevano capito che cosa stavano elaborando di concerto con la Lega e Tria.
In entrambi i casi, però, questo governo sta insieme con lo sputo. Perché nel primo caso i leghisti sarebbero i nuovi berlusconiani, interessati soprattutto a fare gli interessi delle imprese, qualsiasi cosa facciano (evasione fiscale compresa); disposti a tutto, anche a taroccare la prima legge dello Stato infilandoci nottetempo frasi opportunamente scelte. Nel secondo, perché i grillini sarebbero degli incompetenti totali che poi buttano per aria il tavolo quando si accorgono di essere stati presi per il naso.
Sia chiaro. Queste cose accadono nella normale dialettica politica di qualsiasi governo in qualsiasi paese, ma hanno altrove un esito obbligato: lo scioglimento dell’alleanza di governo e la formazione di uno nuovo, oppure elezioni anticipate. L’unica alternativa in mano al ministro o partito che si ritiene truffato è infatti una sola: tacere e dunque cercare di rifarsi in un’altra occasione (a parti invertite), oppure denunciare davvero tutto e far saltare l’alleanza.
L’unica cosa che non si può fare è proprio quella provata fin qui da Di Maio: denunciare e continuare ad andare avanti come prima.
Ci sembra perciò altamente utile il sarcasmo del commento di Giorgio Cremaschi alla vicenda.
E ADESSO POVER'UOMO? di Giorgio Cremaschi 

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Questa davvero è un cambiamento, robe così non risultano agli archivi. Di Maio annuncia che denuncerà alla Procura della Repubblica la manipolazione del suo decreto fiscale del suo governo. Egli stesso ammette che quel testo contiene uno scandaloso condono, e anche una salvaguardia sul piano penale, per chi ha riciclato all’estero capitali sporchi. Mafie, corruttori e corrotti vari ringraziano.
Di Maio annuncia solennemente in TV che tutto questo è avvenuto a sua insaputa e che per questo andrà dal giudice. Ma chi denuncerà il vice presidente del consiglio? Salvini che conferma integralmente il provvedimento? Conte che come al solito non sa nulla? Tria che complotta nel buio? Castelli che non ha controllato i testi? O sé stesso per manifesta incapacità? Non lo sa Di Maio cosa approva? Non ha dei collaboratori che leggano i testi per lui? Non lo sa, il pover’uomo, che condono chiama condono? Che questa sanatoria sempre più vergognosa non riguarda solo l’evasione fiscale, ma anche quella dell’IVA e dei contributi previdenziali?
E siccome il testo non è ancora pubblico, finora neppure è arrivato al Quirinale, chissà quante altre porcherie contiene, come il decreto Genova nel quale una manina a cinquestelle – così dichiara Salvini – ha inserito la sanatoria per le case abusive di Ischia.
Che scambio di gelide manine tra Di Maio e Salvini: io metto una cosa a te, tu metti una cosa a me.
Ora però Di Maio annuncia, il che vuol dire che non è proprio detto che lo faccia, una denuncia in Procura.
Pover’uomo o ci fa o ci è, se fosse un concorrente de La Corrida a questo punto sarebbe travolto dai campanacci, ma come vicecapo del governo gode ancora del residuo credito che gli deriva dal discredito dei suoi predecessori. Di Maio deve tutto a Renzi, che come lui aveva inizialmente maturato un grande consenso, ma questa eredità si sta consumando rapidamente.
A sua insaputa.