C'è
qualcosa di intimamente grottesco e tuttavia rivelatore dello stato di
cose presente nella nuova querelle che ha opposto Mario Monti a Susanna
Camusso. Con il primo a spiegare, con inconsueta ruvidezza, che nella
defunta “concertazione” fra le parti sociali c'è l'origine dei peccati
capitali. E con la seconda ad esaltare le virtù salvifiche di un metodo
che avrebbe permesso – ad esempio nella crisi del '92-'93 – di sottrarre
l'Italia al rischio di un devastante tracollo finanziario.
Il lato grottesco sta nel fatto che la concertazione – proprio nel
frangente evocato dalla segretaria della Cgil – segnò un punto
pesantemente negativo di svolta nei rapporti sociali del Paese. Nel '92
il sindacato uscì con le ossa rotte da un negoziato col governo che
assunse le caratteristiche di un diktat. Giuliano Amato, allora
presidente del consiglio, calò una scure di inaudita pesantezza sui
lavoratori. I risultati furono, nell'ordine: l'abolizione della scala
mobile, l'azzeramento dell'intero sistema di relazioni industriali e del
modello contrattuale sino allora vigente, l'allungamento dell'età
pensionabile e la riduzione delle rendite da pensione attraverso
l'introduzione del metodo contributivo. Poi, per sovrapprezzo, Amato
decise la svalutazione della lira, contribuendo ad una ripresa
inflazionistica che assestò il colpo di grazia ai salari, da quel
momento in caduta libera. La crisi fu dunque scavallata attraverso una
manovra interamente a carico del lavoro e del sistema di protezione
sociale.
Ma allora, qual è il senso della polemica messa in scena in queste
ore sull'intramontabile mercato della chiacchiera? Per Monti la
spiegazione è molto semplice: l'uomo della Trilateral, l'insuperabile
campione del “finanzcapitalismo”, considera i corpi sociali intermedi (e
primariamente il sindacato) un impaccio, un fastidioso intralcio alla
competitività d'impresa, alla società di mercato e all'onnipotente
potere tecnocratico che traccia la rotta. Una rotta seguita
inflessibilmente, senza mediazioni, neppure marginali e – se mi è
consentito – senza fare prigionieri, come si è visto per l'articolo 18.
Nella replica di Camusso c'è invece tutta l'impotenza, tutta la
confusione propria di una cultura politica e sociale che ha
completamente smarrito la bussola. Quella di un sindacato che paga la
sudditanza ad un Pd totalmente ripiegato sul governo più
irriducibilmente liberista che l'Italia abbia mai avuto e che non riesce
ad imbastire la benché minima risposta di opposizione e di lotta al
processo in pieno dispiegamento di una rapida, radicale demolizione
delle conquiste del lavoro. In campo, sotto i riflettori, non rimane
allora che il bisticcio verbale, succedaneo del conflitto che non c'è,
innocuo e tristemente patetico. Intanto, piovono pietre.
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