L’annuncio che anche alla newco di Pomigliano arriverà la cassa integrazione per tutti i 2150 lavoratori completa, se ancora c’è ne fosse bisogno, rappresenta il fallimento del piano Fabbrica Italia della Fiat.
Non
c’è il mercato, non ci sono i prodotti per quelle turnazioni, per
quella disponibilità comandata allo straordinario. Il taglio della pausa
di 10 minuti ha peggiorato le condizioni di lavoro ma non ha ridotto la
cassa integrazione e aumentato la produttività. Quegli
accordi separati sono stati scritti su ipotesi sbagliate. I nuovi
prodotti sono rinviati insieme agli investimenti. E dire che la crisi è
peggiore e che il mercato dell’auto cala per tutti in Europa non attenua
le responsabilità dei manager che sono lautamente e anche troppo
retribuiti per prevedere e superare le difficoltà non per spiegarcele a posteriori o per scaricarle sui lavoratori.
In particolare alla newco di Pomigliano
va in CIG l’unico nuovo prodotto Fiat realizzato in Italia, si
allontana la possibilità che tutti i lavoratori in CIG e tutti i
dipendenti ancora al lavoro nella vecchia società Fiat del Giovan
Battista Vico vengano riassunti in FIP (Fabbrica Italia Pomigliano).
Insieme a Pomigliano dopo le ferie la cassa integrazione proseguirà
anche agli enti centrali di Mirafiori, vecchio quartier
generale della Fiat per il mondo e continuerà in tutti gli altri
stabilimenti che inseguono con la CIG prodotti promessi e quote di
produzione sempre più lontane mentre il reddito delle lavoratrici e dei
lavoratori si logora.
Serve un nuovo piano per salvare in Italia la produzione dell’autoveicolo, serve discutere quali autoveicoli produrre per quale mobilità in Europa
ed è indispensabile verificare la possibilità dell’ingresso in Italia
di altri produttori automobilistici anche per salvaguardare una
componentistica che rischia di essere o smantellata, con gravi
conseguenze occupazionali e sociali, o acquistata nelle sue eccellenze e
trasferita verso altri paesi europei, a partire dalla Germania. Un
piano che veda il governo del Paese assumersi le proprie responsabilità di indirizzo senza abbandonare i lavoratori e il lavoro al loro ‘destino’ del mercato. Senza prodotti e produttori non si esce dalla crisi, non si paga il debito, non si resta in Europa.
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