Siamo tra i paesi europei che pagano
meno i lavoratori, mentre abbiamo gli orari di lavoro più lunghi.
Nonostante ciò la competitività delle nostre imprese è tra le più basse.
Il quadro di un paese che ha sbagliato obiettivi e che si appresta a
commettere ulteriori errori.
Ieri e oggi i quotidiani hanno riferito
la diffusione dei dati Eurostat sui salari medi lordi nei paesi
dell’Unione. Tuttavia i dati diffusi, per ciò che riguarda l’Italia, si
riferiscono al 2006, mentre per altri paesi si arriva al 2009. Inoltre i
dati italiani riguardano le aziende con più di 10 dipendenti, mentre
per altri paesi il campione è l’intero mondo del lavoro.
Evitiamo quindi di riportare statistiche
così disomogenee e ci affidiamo invece all’OCSE che fornisce dati più
aggiornati e uniformi.
Salari medi lordi
Questo grafico rappresenta la situazione al 2002:
OCSE: salari medi anno 2002, in US$ 2009 a parità di potere d’acquisto, prezzi correnti
Come si può notare l’Italia è una posizione defilata, ben lontana dal “centro” dell’Europa e vicina ai paesi meno ricchi.
La situazione al 2010 è invece questa:
OCSE: salari medi anno 2010, in US$ 2009 a parità di potere d’acquisto, prezzi correnti
Si può notare che la situazione è
peggiorata negli 8 anni trascorsi. L’Italia viene scavalcata dalla
Spagna e dalla Finlandia e viene avvicinata dalla Slovenia. In sostanza,
l’Italia da ultimo paese dell’Europa “ricca” nel 2002 passa ad essere
il secondo dell’Europa “povera”. Da notare anche il modesto incremento
dei redditi da lavoro in Germania, paese che ha adottato una politica di
stabilità salariale, ma che continua a mantenere un differenziale
importante con l’Italia e il resto dei “Pigs”.
Ore lavorate
Mentre i lavoratori italiani sono tra i
peggio pagati d’Europa, il numero di ore di lavoro per anno per addeto
risulta fra i più alti.
OCSE: ore lavorate per addetto in un anno, anno 2010
Anche qui, si può notare come il nostro
paese risulti vicino alle nazioni meno sviluppate d’Europa, piuttosto
che alle maggiori economie. Si noti inoltre come la Grecia, spesso
dipinta come paese di “fannulloni” risulti invece in testa tra i paesi
considerati.
Costo del lavoro
Il costo del lavoro in Italia, inteso
come retribuzione, oneri sociali e altre spese, risulta minore rispetto
alle grandi economie europee, come si evince da questo grafico:
Eurostat: costo del lavoro totale orario, anno 2010
L’Italia si colloca al di sotto della
media della zona Euro. E’ quindi privo di fondamento l’assunto che le
imprese italiane paghino il lavoro più di quelle delle economie avanzate
europee, ad eccezione della sola Gran Bretagna (dove è particolarmente
bassa la componente degli oneri sociali).
Produttività
Il quadro è ribaltato invece quando si
considera la produttività. Qui mostreremo la produttività come calcolata
dall’OCSE, Prodotto interno lordo (in Euro) per ora lavorata:
OCSE: Produttività (Pil in euro / ore di lavoro) a prezzi costanti
Come si può notare, la produttività
italiana risulta bassa in valore assoluto e stagnante, quella Greca è
addirittura calante, mentre tutte le altre sono crescenti, sia pure con
inclinazioni differenti.
In altre parole, l’Italia è un paese
fermo da molti anni. La sua produzione, intesa nel senso più generale, è
rimasta poco remunerativa, mentre i partner europei hanno saputo
migliorare la capacità di produrre reddito.
Da notare che nel 2003 è intervenuta una
significativa modifica del mercato del lavoro, con l’introduzione di
nuove forme di lavoro flessibile, ampiamente sfruttate dalle imprese.
Ciò però non ha avuto effetti significativi sulla produttività del
lavoro.
Conclusioni
Mentre il dibattito pubblico appare
tutto concentrato sulla riduzione delle tutele del lavoro, le cui
conseguenze più immediate sono il contenimento salariale e l’aumento
delle ore di lavoro effettive, i dati mostrano invece che le politiche
sinora adottate in questa stessa direzione non hanno avuto l’effetto di
ridurre il gap di produttività rispetto alle potenze economiche europee e
si sono pertanto dimostrate del tutto inefficaci rispetto agli
obiettivi enunciati.
Come abbiamo già evidenziato,
il problema della bassa produttività italiana non può addebitarsi al
fattore lavoro, che anzi risulta maggiormente a buon mercato che
altrove.
Secondo l’UE “la crescita della
produttività dipende dalla qualità del capitale fisico, dal
miglioramento delle competenze e della manodopera, dai progressi
tecnologici e dalle nuove forme di organizzazione.”
Le cause probabili delle scarse
performance italiane andrebbero ricercate nella scarsa “produttività del
capitale”, vale a dire dei mezzi di produzione, intesi nel senso più
ampio, obsoleti o sottoutilizzati, così come nella frammentazione del
capitale in moltissime microimprese che non riescono a realizzare quelle
economie di scala e quell’innovazione di processo e di prodotto che
permettono una maggiore competitività delle stesse e nella
specializzazione produttiva. Non sorprende quindi la bassa qualificazione dei lavoratori richiesta nel nostro paese dal tessuto produttivo, che abbiamo già evidenziato in passato.
La discussione pubblica si sta quindi
svolgendo sul lato sbagliato dei fattori produttivi. Riforme che
tendessero a precarizzare ulteriormente il lavoro e/o ridurre i salari
effettivamente percepiti, non avrebbero probabilmente impatti positivi
sulla produttività, come non li hanno avuti in passato, mentre
risulterebbero nocive sul lato della domanda aggregata.
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