Mentre Marchionne non investe, il governo tace: tutti gli impianti sono a rischio, in teoria salva solo Melfi
Voleva
mano libera sulla forza lavoro, Sergio Marchionne, e se l’è presa. Con
le buone e, soprattutto, con le cattive. Ha cancellato il diritto di
sciopero e persino alla mensa – spostata a fine turno e condizionata
all’andamento della domanda (non di cibo ma di automobili); ha
stracciato il contratto nazionale, imposto i 18 turni settimanali e 200
ore di straordinario non contrattate; oggi in Fiat anche ammalarsi mette
a rischio salario e posto di lavoro. Adesso che Marchionne può
finalmente vantarsi di avere l’azienda più competitiva sulla piazza, ha
portato la Fiat fuori dalla competizione italiana ed europea.
Aveva
promesso 1 milione e 600 mila vetture costruite in Italia ma quest’anno,
se va bene, se ne produrranno 450 mila. L’unico modello nuovo – si fa
per dire – è la Panda fatta in una Pomigliano defiommizzata, peccato che
il nuovo nato abbia già cominciato a battere in testa: anche sotto il
Vesuvio la produzione si fermerà ad agosto, dopo le ferie, per due
settimane di cassa integrazione.
L’annuncio del Lingotto all’indomani dei tragici dati sulle vendite in Europa ha fatto cadere l’ultimo velo sull’imbroglio di Marchionne. Pomigliano doveva segnare la nuova era della multinazionale torinese, il mitico anno primo dopo Cristo. Per farla ripartire era stato imposto il nuovo regime di relazioni sindacali spaccando le organizzazioni, isolando e poi espellendo la Fiom e i suoi militanti a cui è negato persino il lavoro. La sentenza del giudice che condanna la Fiat per aver discriminato il sindacato di Landini e impone l’assunzione di 145 iscritti Fiom è finita nel dimenticatoio, nonostante dovesse essere immediatamente esecutiva. Ma le vendite vanno a picco e persino i 2.100 riassunti sui 5.000 previsti, dipendenti della vecchia fabbrica prima della cura, sono diventati di troppo.
Pomigliano, è la considerazione amara di Giorgio Airaudo, segretario nazionale Fiom, rappresenta il fallimento della strategia di Marchionne che ha sbagliato le analisi del mercato, non ha previsto i tempi della crisi, non ha fatto gli investimenti promessi e non ha messo in produzione alcun nuovo prodotto, Panda a parte.
Un dirigente così, che guadagna 500 volte più dei suoi operai, dovrebbe tornarsene a casa.
L’annuncio del Lingotto all’indomani dei tragici dati sulle vendite in Europa ha fatto cadere l’ultimo velo sull’imbroglio di Marchionne. Pomigliano doveva segnare la nuova era della multinazionale torinese, il mitico anno primo dopo Cristo. Per farla ripartire era stato imposto il nuovo regime di relazioni sindacali spaccando le organizzazioni, isolando e poi espellendo la Fiom e i suoi militanti a cui è negato persino il lavoro. La sentenza del giudice che condanna la Fiat per aver discriminato il sindacato di Landini e impone l’assunzione di 145 iscritti Fiom è finita nel dimenticatoio, nonostante dovesse essere immediatamente esecutiva. Ma le vendite vanno a picco e persino i 2.100 riassunti sui 5.000 previsti, dipendenti della vecchia fabbrica prima della cura, sono diventati di troppo.
Pomigliano, è la considerazione amara di Giorgio Airaudo, segretario nazionale Fiom, rappresenta il fallimento della strategia di Marchionne che ha sbagliato le analisi del mercato, non ha previsto i tempi della crisi, non ha fatto gli investimenti promessi e non ha messo in produzione alcun nuovo prodotto, Panda a parte.
Un dirigente così, che guadagna 500 volte più dei suoi operai, dovrebbe tornarsene a casa.
Un governo responsabile dovrebbe convocarlo e
chiedere ragione della fuga dall’Italia dell’azienda che per 110 anni ha
succhiato risorse pubbliche. Invece tace. Come ha taciuto sulla
chiusura della Irisbus di Avellino, l’unica azienda produttrice di
autobus in un paese che ha 20 mila mezzi pubblici obsoleti che ci
costano multe salate all’Europa: da due giorni i 750 (ex) dipendenti
occupano il comune di Flumeri, in Campania. Il governo balbetta sul
destino di Termini Imerese dopo un accordo inevaso che prevedeva
l’ingresso nella fabbrica abbandonata dalla Fiat di un nuovo
costruttore, De Risio, praticamente uscito di scena mentre il cinese
Chery di cui si ventila l’arrivo non ha i requisiti per commercializzare
in Italia le sue vetture. Gli ammortizzatori sociali stanno saltando
per tutte le aziende dell’indotto e centinaia di operai hanno come
ultima speranza la cassa in deroga dalla Regione Sicilia, che com’è noto
è a un passo dal default. Il confronto è rimandato a settembre.
È tutto il mondo Fiat a ballare sui carboni ardenti. A rischio non c’è un solo stabilimento in Italia – ieri gli operai di Cassino si sono fermati per tutto il giorno e hanno partecipato a un’iniziativa pubblica con il segretario della Fiom Maurizio Landini – ma praticamente tutti. Se i numeri si attestassero sul livello attuale, sarebbe sufficiente il lavoro degli operai di Melfi a soddisfare la domanda. Poi non sarà così, è ovvio, perché i pochi modelli residuali sono dislocati in sedi produttive diverse ma è certo che, una volta persi diritti e democrazia, ora ogni dipendente Fiat rischia di perdere tutto. Persino agli Enti Centrali, dove si progettano nuovi modelli, sarà cassa integrazione. A Mirafiori non si contano più i giorni in cig ma quelli di lavoro: solo tre giorni al mese.
Non sono soltanto le aziende dell’indotto siciliano a rischiare l’esaurimento degli ammortizzatori sociali. Lo stesso accade a Torino, a Melfi, a Cassino, a Termoli. L’abbandono dell’Italia praticato da Marchionne, insieme all’assenza totale di un’azione del governo Monti, sta trasformando l’Italia in un supermercatino dell’usato, dice Airaudo: «La VolksWagen sta facendo shopping a Torino in alto con l’acquisto della Giugiaro e in basso con i fornitori. E chi ci garantisce che i tedeschi non decidano di trasportare tutto in Germania, o dove fa loro più comodo?». Secondo Michele De Palma, che per la Fiom segue l’auto, il sistema di imprese legato a Fiat non regge più, mettendo a rischio l’intera filiera dell’auto italiana. Per Airaudo serve un piano nazionale per l’auto, senza escutere l’ipotesi di coinvolgere produttori diversi da Fiat.
Non solo Marchionne, preso atto del suo fallimento o forse delle sue lucide e ciniche scelte di abbandonare l’Italia e l’Europa puntando tutti sugli Usa e sui paesi generosi in sostegni pubblici come la Serbia o la Polonia, resta al suo posto e continua la sua politica omicida senza alcun intervento del governo Monti. Il dramma è che ha fatto scuola indicando la strada a tutto il padronato. Federmeccanica, per esempio, invece di prendersela con Marchionne che ha fatto marameo alle associazioni degli industriali, ne imita l’operato: per discutere il rinnovo contrattuale di categoria ha convocato soltanto Fim e Uilm. La Fiom dev’essere diventata sieropositiva per tondinari, siderurgici e meccanici in generale. E dire che in Italia, anche a sinistra, c’è chi predica la pace sociale perché siam tutti sulla stessa barca.
È tutto il mondo Fiat a ballare sui carboni ardenti. A rischio non c’è un solo stabilimento in Italia – ieri gli operai di Cassino si sono fermati per tutto il giorno e hanno partecipato a un’iniziativa pubblica con il segretario della Fiom Maurizio Landini – ma praticamente tutti. Se i numeri si attestassero sul livello attuale, sarebbe sufficiente il lavoro degli operai di Melfi a soddisfare la domanda. Poi non sarà così, è ovvio, perché i pochi modelli residuali sono dislocati in sedi produttive diverse ma è certo che, una volta persi diritti e democrazia, ora ogni dipendente Fiat rischia di perdere tutto. Persino agli Enti Centrali, dove si progettano nuovi modelli, sarà cassa integrazione. A Mirafiori non si contano più i giorni in cig ma quelli di lavoro: solo tre giorni al mese.
Non sono soltanto le aziende dell’indotto siciliano a rischiare l’esaurimento degli ammortizzatori sociali. Lo stesso accade a Torino, a Melfi, a Cassino, a Termoli. L’abbandono dell’Italia praticato da Marchionne, insieme all’assenza totale di un’azione del governo Monti, sta trasformando l’Italia in un supermercatino dell’usato, dice Airaudo: «La VolksWagen sta facendo shopping a Torino in alto con l’acquisto della Giugiaro e in basso con i fornitori. E chi ci garantisce che i tedeschi non decidano di trasportare tutto in Germania, o dove fa loro più comodo?». Secondo Michele De Palma, che per la Fiom segue l’auto, il sistema di imprese legato a Fiat non regge più, mettendo a rischio l’intera filiera dell’auto italiana. Per Airaudo serve un piano nazionale per l’auto, senza escutere l’ipotesi di coinvolgere produttori diversi da Fiat.
Non solo Marchionne, preso atto del suo fallimento o forse delle sue lucide e ciniche scelte di abbandonare l’Italia e l’Europa puntando tutti sugli Usa e sui paesi generosi in sostegni pubblici come la Serbia o la Polonia, resta al suo posto e continua la sua politica omicida senza alcun intervento del governo Monti. Il dramma è che ha fatto scuola indicando la strada a tutto il padronato. Federmeccanica, per esempio, invece di prendersela con Marchionne che ha fatto marameo alle associazioni degli industriali, ne imita l’operato: per discutere il rinnovo contrattuale di categoria ha convocato soltanto Fim e Uilm. La Fiom dev’essere diventata sieropositiva per tondinari, siderurgici e meccanici in generale. E dire che in Italia, anche a sinistra, c’è chi predica la pace sociale perché siam tutti sulla stessa barca.
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