Sono 21 mila miliardi di euro i soldi custoditi
nei paradisi fiscali da meno di 100 mila persone. Quanto basterebbe per
sanare la crisi finanziaria dell'intero pianeta (e far avanzare anche
qualcosa)
di Luca Manes
L’elite globale dei super ricchi nasconderebbe nei paradisi fiscali
sparsi per il Pianeta ben 21 trilioni di dollari (circa 17 trilioni di
euro, cioè 17 mila miliardi). È il dato più eclatante che emerge dal
libro “The Price of Offshore Revisited”, scritto
dall’economista James Henry, il quale dimostra in maniera molto
circostanziata e documentata come, alla fine del 2010, i capitali
“nascosti” ammontassero al valore dell’economia statunitense e di quella
giapponese messe insieme.
Henry, ex figura di spicco della società di consulenza McKinsey, ha realizzato il tomo per conto del Tax Justice Network, la rete internazionale che da anni si batte per l’eliminazione dei paradisi fiscali.
Sebbene alcuni esperti britannici, tra cui il consulente governativo
John Whiting, siano molto scettici sulle cifre presentate nel libro, è
lo stesso Henry ad avvertire che la sua è una valutazione di natura
conservativa. Il “bottino”, infatti, potrebbe addirittura attestarsi sui
32 trilioni.
Per circostanziare le sue affermazioni, Henry ha impiegato dati
pubblici reperibili nei documenti di Banca mondiale, Fondo monetario
internazionale e di numerosi governi. Sono stati presi in esame solo i
flussi di denaro depositati in banche e fondi di investimenti offshore,
non quelli adoperati per acquistare beni immobili o yacht.
“I super ricchi muovono i loro soldi in giro per il mondo grazie a un
nutrito contingente di professionisti che operano nel settore bancario,
fiscale e delle consulenze su materie giuridiche” ha dichiarato Henry
alla BBC, evidenziando come la quantità di risorse sottratte alle
finanze degli Stati potrebbe “fare la differenza” nella maggior parte
dei casi.
Secondo l’economista, però, tutto sommato in questi tempi di crisi
nera sapere che c’è una così grande quantità di denaro che potrebbe
essere utilizzata per risolvere i più impellenti problemi globali non è
una cattiva notizia. Il problema, aggiungiamo noi, è riuscire a mettere
le mani su quelle risorse. Anche alla luce di vari vertici
internazionali di peso, tra cui lo strombazzatissimo G20 di Londra del
2009, si può affermare senza timore di smentita che gli esecutivi dei
principali Paesi ricchi non hanno fatto abbastanza per porre un freno al
fenomeno dei paradisi fiscali.
Detto che una buona fetta di risorse occultate nelle Cayman piuttosto
che a Jersey viene sottratta alle autorità fiscali delle realtà in via
di sviluppo, che così trovano sempre più difficile il compito di
superare il loro stato di indigenza, val la pena rammentare qualche alta
cifra contenuta nel libro di Henry. Sempre alla fine del 2010, si è
calcolato che i 50 principali istituti di credito mondiali avevano
gestito poco più di 12 trilioni di dollari in fondi di clienti privati
per investimenti in asset transfrontalieri. Le banche più attive
offshore sono UBS, Credit Suisse e Goldman Sachs. Per finire, 9,8
trilioni di ricchezza preservata nei paradisi fiscali farebbero capo a
un totale di meno di 100mila persone.
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