Le bugie e le colpe del governo. Ma anche il sindacato e il Pd hanno le loro
Questa
spending review rappresenta un vero e proprio rosario della vergogna.
Vergogna numero uno: la bugia del governo nel presentare come taglio
degli sprechi una manovra economica, né più né meno uguale a quelle
precedenti, pesantissima e con effetti strutturali di lungo periodo. Non
tagli lineari? Che cosa sono i tagli lineari? Quando si tagliano
servizi, posti di lavoro, risorse per lo sviluppo, si taglia e basta, in
modo lineare o mirato, è la stessa cosa!
E ci voleva un
consulente, lautamente pagato (140mila euro!, anche se lui voleva
rifiutarli), per fare una cosa che da vent’anni a questa parte, più o
meno, ogni governo fa e che tanti funzionari dello stato avrebbero
saputo fare “meglio”?
Vergogna numero due:
quella particolare e personale del Presidente Monti, che per mesi ha
negato che l’Italia avesse bisogno di una manovra correttiva. Ebbene la
manovra eccola qui, servita e di che tinta! Questa bugia fa il paio con
quella sull’Iva, perché col nuovo intervento l’aumento dell’Iva non è
definitivamente scongiurato, ma solo allontanato nel tempo, a luglio
2013. Il tempo, diceva Andreotti, è galantuomo. Vedrete, purtroppo, che
tra un anno, forse prima, anche a causa dell’effetto depressivo di
questa ultima manovra, si dovrà necessariamente mettere mano anche
all’aumento dell’Iva. Ma allora Monti (forse) non ci sarà più…
Vergogna numero tre:
l’informazione. Si un’informazione tutta sostanzialmente piegata
(specialmente la cosiddetta grande stampa e i maggiori talk show
televisivi) ad accreditare la versione del governo sul carattere della
manovra (spending review) e la sua bontà, senza il minimo vaglio critico
e una minima capacità (o volontà) di reale e autonomo esame di merito.
Il capitalismo liberista è compatibile con la democrazia?
Vergogna numero quattro:
i contenuti della manovra. Lasciamo perdere l’attacco ai diritti della
persona (il taglio dei posti letto negli ospedali e di altri servizi
essenziali, la possibilità di licenziamento dei dipendenti pubblici e la
diminuzione del loro stipendio; il buono pasto congelato o ridotto a 7
euro che cos’è?), lasciamo perdere i tagli, più o meno significativi,
alla giustizia, all’Università, a centri di ricerca di eccellenza,
l’umiliazione che viene inflitta alle amministrazioni locali (ne
trattiamo nel paragrafo successivo) il fatto è che la manovra nel suo
complesso si profila come recessiva. Non ci stancheremo mai di ripetere
che in una economia come quella italiana (tradizionalmente debole di
capitali e investimenti privati) anche le spese che, in una logica
aziendalista, vengono definite improduttive, hanno, in realtà, una
funzione di stimolo e sostegno allo sviluppo dell’economia o quantomeno
di contrasto ad una ulteriore caduta dei consumi (che costituisce il
problema della crisi attuale). Questa funzione della spesa pubblica è
ancora fondamentale in vaste aree del Centro del Paese e del
Mezzogiorno. Di conseguenza anche le spese correnti, che sono certo
tendenzialmente da ridurre, vanno però “maneggiate” con equilibrio e
realismo e non con quella furia monetarista dogmatico-ideologica,
staccata dalla realtà, di cui Monti è il sommo sacerdote.
Il taglio deciso alle
risorse per gli enti locali, se abbiamo capito bene, sarà “applicato” in
maniera “selettiva” in relazione al rispetto, da parte loro, di
parametri, studiati a tavolino e imposti dal governo, che ne dovrebbero
attestare livelli diversi di “buona amministrazione”. Ma, in questo
modo, dove va a finire quel poco che rimane di autonomia e potere
decisionale locale e quindi di “vicinanza ai cittadini”? Altro che
federalismo! Si rischia, senza dirlo e scriverlo, di annullare
definitivamente una intera stagione, di chiudere un’epoca e una grande
ipotesi, quella dell’autonomia e del decentramento istituzionale, che ha
caratterizzato la vita politica di decenni del nostro Paese.
Dopo le vergogne,
passiamo a quelli che, per carità di patria, chiameremo interrogativi.
Primo: i sindacati. La Uil e la Cisl, quest’ultima credo ancora la più
rappresentativa tra gli statali, hanno accettato che, negli ultimi anni a
partire da quando ministro era Brunetta, si dicesse di tutto contro i
dipendenti pubblici”, additati, in quanto “vagabondi e fannulloni”, come
responsabili dell’inefficienza della macchina pubblica. Non ci può
meravigliare se, al culmine di questa campagna di denigrazione e quasi
criminalizzazione, senza reazioni all’altezza, si sia arrivati a questi
ultimi provvedimenti. E’ inteso che, proseguendo nella politica dei
cedimenti, peggio ancora potrà venire da un governo che, predicando a
parole la coesione, si è dimostrato maestro nel seminare divisioni e
conflitti tra i lavoratori, le categorie e le generazioni.
Interrogativo secondo:
la Cgil. Che senso ha proclamare uno sciopero generale per settembre, a,
per così dire, cose fatte!? Dopo, tra l’altro averne già deciso e
annullato uno a primavera. Chi parteciperà allo sciopero a settembre,
quando tutti i principali provvedimenti del governo saranno già legge?
Per chi conosce la sua storia, la Cgil sembra tornata alle sue peggiori
stagioni “riformiste”, quando un evidente eccesso di moderazione la
spingeva ad assumere iniziative che sembravano studiate apposta per
farle fallire. In questi ultimi anni la CGIL, pur con tutti i limiti, è
apparsa l’unica ancora di salvezza ancora in campo contro, come si
diceva una volta, l’offensiva governativa e “padronale”. Se cade anche
quella…
Interrogativo terzo: il
Pd. Non sappiamo come e se riuscirà anche stavolta a cavarsi d’impaccio,
stretto (sempre più stretto) tra l’appoggio a Monti, la protesta dei
suoi amministratori e un disorientamento crescente della base. Forse,
come è stato per la sedicente riforma del mercato del lavoro, presenterà
come “sostanziali” modifiche, che tali non saranno, ottenute in
Parlamento a quest’ultima manovra di Monti. Ci riuscirà? Il substrato di
senso comune dei suoi elettori, sui quali gioca il Pd , è che i
provvedimenti di Monti sono un male necessario, ma “transitorio” e che,
una volta trascorsa l’”emergenza”, ci sarà la “ricostruzione”, con una
politica di sinistra. Bisognerebbe spiegargli che si tratta di una
illusione ingenua e di un fatale errore. I provvedimenti di Monti hanno
un carattere “definitivo” e strutturale, stabile nel tempo. Hanno
cambiato l’Italia (in peggio!) come neanche Berlusconi era riuscito a
fare e l’hanno vincolata a politiche di rigore monetarista che
impediranno per un bel numero di anni al nostro Paese di mettere in
campo, attraverso una ripresa selettiva e qualificata degli investimenti
pubblici, una vera politica di espansione sviluppo.
Interrogativo ultimo:
non sarebbe il caso di mandare via Monti e il suo governo prima che
finiscano l’opera e compromettano qualsiasi “ricostruzione”?
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