domenica 29 luglio 2012

"Al di sopra dei propri mezzi" - "Fare i compiti a casa": Due formule infami di Dino Greco

Sono entrate nel lessico mediatico di questa stagione drogata dall'ideologia liberista due formule infami. La prima, propinata un giorno sì e l'altro pure dalla Bce, è l'intimazione di “fare i compiti a casa”, che allude ad imperativi indiscutibili, per troppo tempo elusi da cicale pigramente appollaiate sull'albero della cuccagna, dedite a consumare ciò che non producono e a vivere (ecco un altro luogo comune) “al di sopra dei propri mezzi”. I compiti a casa sono in realtà posti tutti a carico di quanti sgobbano senza tregua per raccattare i propri deboli “mezzi”, ormai neppure sufficienti ad assicurare loro almeno la sopravvivenza. Il volgare eufemismo “fare i compiti a casa” significa, semplicemente, sbaraccare ogni forma di protezione sociale universalistica, ogni pezzo di welfare espressione di diritti che la Costituzione vorrebbe garantiti e protetti. “Fare i compiti a casa” vuol dire, ancora, privatizzare tutto ciò che può essere ridotto a merce e messo sul mercato per essere acquistato da un pubblico solvibile, pagante. La seconda formula, di cui Angela Merkel detiene il copyright, dice: “Nessun pasto è gratuito”, dove il rovesciamento della realtà è diametrale poiché i parassitati sono lì trasformati in parassiti e gli sfruttati spacciati per ingoiatori ad ufo di risorse. Dei ricchi, invece, non si può né si deve parlare, se non per dire che se tali sono diventati è per merito proprio, non per una congiura ordita contro i poveri. Dunque, “crepi chi non ce la fa”, perché ognuno è responsabile delle proprie disgrazie. Con questo epitaffio sulla solidarietà sociale e sulla Costituzione si chiude un'epoca e se ne schiude un'altra dove barbarie sociale, spoliazione democratica e modernità tecnologica si fondono come nelle più ardite fantasie letterarie e cinematografiche, dove cessa ogni forma di diritto e dove la sola legge operante in via di fatto è il mantra competitivo che recita “Mors tua vita mea”, direttamente dettato dai proprietari universali saldamente insediati in plancia di comando.
Si tratta, a ben vedere, dell'applicazione delle teorie elaborate nei primi anni '70 del secolo scorso da Milton Friedman (insignito per questo del Premio Nobel per l'economia) e sperimentate dalla Scuola di Chicago nel Cile di Augusto Pinochet assurto al potere dopo avere liquidato il governo di Salvador Allende con un colpo di stato organizzato in partnership con gli Stati Uniti. Teorie che ora sono divenute, sotto forma di scienza economica, il Verbo che ispira la politica europea in gran parte del vecchio continente: la cavia è stata la Grecia, ora tocca alla Spagna e l'Italia è lì, ad un passo soltanto. Per mandare a compimento questo disegno occorrono due condizioni: da una parte un consenso di massa, convinto o passivo che sia, alla tesi che “non c'è alternativa” (letterale citazione dell'acronimo T.I.N.A, “There is no alternative”, desunto dalle regole d'oro fondate dalla Trilateral Commition) e che le classi subalterne vivano in uno stato di totale spaesamento e depressione; dall'altra che i ceppi resistenti ancora attivi e potenzialmente pericolosi siano del tutto inertizzati, messi nelle condizioni di non nuocere. Questo lo si fa in primo luogo usando la forza, in senso proprio, distruggendo la contrattazione collettiva, secondo gli insegnamenti di Von Hayek (ecco un altro genio insignito del Premio Nobel!), mutilando il potere di coalizione dei lavoratori, cacciando i reprobi e i sindacati non addomesticati dalle fabbriche, nonché reprimendo con la violenza ogni focolaio di opposizione che si manifesti nel Paese. Ecco perché Monti e Marchionne, per usare l'espressione più sintetica, rappresentano le due facce, perfettamente complementari, di un'identica politica: il colpo inferto, manu militari, ai lavoratori, la manomissione dell'intero impianto giuslavoristico e la demolizione del welfare. E poi lo si fa mettendo al lavoro un esercito di maitre a penser, di spin doctors,di giornalisti embedded, di esperti catechisti e apprendisti catecumeni, tutti impegnati in una colossale manipolazione mediatica, diretta ad istillare la convinzione che “ciò che è reale è assolutamente razionale” e che opporvisi è una passione pericolosa, oltre che inutile.
Sarebbe un errore letale sottovalutare quanto questo autentico, quotidiano bombardamento eserciti – anche su individui dotati di spirito critico e personalità indipendente – una funzione disciplinatrice del pensiero che si scopre prigioniero di tabù e di insospettabili recinzioni ideologiche. Sembrerebbe lecito pensare che una compromissione così estesa di diritti, di condizioni materiali e aspettative di vita spalancasse gli occhi anche di coloro che sono a lungo rimasti tramortiti dalla rapidità con cui si è consumata un'offensiva così devastante, per il successo della quale – è bene ricordarlo – erano tuttavia in incubazione tutte le premesse politiche e sociali. Eppure non è così o, perlomeno, non lo è necessariamente, come la storia drammaticamente ci ha insegnato. Le botte prese generano una reazione positiva solo quando si sa da che parte vengono, perché vengono, come è possibile evitarle e come sia possibile reagire. Ecco perché fra i nostri compiti più urgenti, insieme alla promozione e alla condivisione di tutti i conflitti antagonistici, c'è proprio da compiere questa doppia fatica: disvelare ciò che è occultato e mistificato, decostruire l'impianto ideologico liberista e ricostruire uno sguardo critico sulla realtà, condizione perché la proposta di un'altra rotta sia ritenuta plausibile, convincente, produttrice di lotta sociale e politica e di un'alternativa fatta non soltanto con le parole, ma con le forze reali che possono inverarla.

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