Intorno a Monti è stato costruito un cerchio di ferro che mette al bando qualsiasi tono dissonante.
E’ stato decisamente impressionante
vedere il rubicondo neopresidente della Confindustria messo in croce
dai giornali "che contano" e dalla ridda di dichiarazioni che lo
invitavano a tacere per non stuzzicare il demone dei nostri tempi: lo
spread.
Il povero Squinzi, industriale minore e
rappresentante di una industria preoccupata dagli effetti della
recessione e delle misure antisociali sul mercato interno, sta pagando
un doppio “torto”: Il primo è quello di aver vinto in Confindustria
contro Bombassei, il candidato dei grandi “prenditori” (da Marchionne a
Montezemolo a Tronchetti Provera); il secondo di aver detto pane al pane
quello che pensava delle misure adottate dal governo Monti in materia
di lavoro e spesa pubblica: “una boiata” (la controriforma del mercato
del lavoro), “una macelleria sociale” (il decreto sulla spending
review). Parole che avremmo dovuto sentire da Bersani e dalla Cgil sono
state invece pronunciate dall’attuale presidente degli imprenditori
italiani.
Non si è rovesciato il mondo. Al contrario,
dentro la crisi gli interessi materiali entrano in campo cercando di
imporre soluzioni “confacenti”. Non a un “interesse generale” sempre
meno tangibile, ma a quelli di gruppi ben delineati e potenti. Solo i
lavoratori pubblici e privati non hanno avuto voce in capitolo dentro il
Parlamento. Ma anche le “imprese che non possono delocalizzare” e che
quindi devono stare attente al mercato interno si ritrovano davanti
problemi irrisolvibili e che questo governo non ha interesse a
risolvere. Squinzi rappresenta soprattutto quest'anima.
Intorno al governo Monti e alla sua
sintonia con i poteri decisionali a livello europeo (e transatlantico),
si è stretto un cordone di protezione, anzi un cerchio di ferro, che non
ammette dissonanze, neanche nei piani inferiori dei poteri forti.
Tant’è che lo stesso Monti, conversando amabilmente in uno splendido
giardino provenzale, ha lasciato intendere che non disdegna l’idea di
rimanere al potere anche dopo le elezioni del prossimo anno. Ciò
significa che a quel "posto lì" non potrà andarci neanche un Bersani, ma
solo personaggi assolutamente integrati con l'establishment
sovranazionale.
E’ evidente come il garante politico e
istituzionale di questo governo unico delle banche sia il Presidente
della Repubblica Giorgio Napolitano. L’ultima entrata a gamba tesa sulla
riforma elettorale che va fatta subito, costi quel che costi. Al
confronto, le “picconate di Cossiga” erano amichevoli suggerimenti.
Una riforma elettorale approvata a
maggioranza, che premia i partiti disposti ad assicurare la continuità
del governo Monti anche dopo il 2013, potrebbe essere definita anche
come un golpe senza spargimento di sangue. I partiti esclusi e
penalizzati dalla nuova legge sarebbero costretti a concorrere alla vita
politica del paese con una o anche due mani legate dietro la schiena.
L’obiettivo dichiarato è buttar fuori in modo permanente le
rappresentanze politiche “inaffidabili” rispetto ai “programmi”
prescritti dalla troika (Bce, Ue, Fmi). Fuori anche da un luogo svuotato
di qualsiasi potere decisionale, ma tutto sommato indispensabile per
salvare le apparenze della democrazia formale. Neanche il “diritto di
tribuna”, insomma. Non si sa mai come potrebbe esser usato...
Se il governatore della Bce Draghi qualche
mese ha mandato in soffitta il “modello sociale europeo”, incompatibile
con la competizione globale del XXI Secolo, il cerchio di ferro tra
Monti, Napolitano ed eurocrazia sta mandando invece in soffitta la
democrazia rappresentativa conosciuta dal primo dopoguerra ad oggi.
Come mettersi di traverso? Sicuramente
definendo uno spazio e un soggetto politico alternativo e conflittuale a
quello oggi dominante e che vorrebbe rimanere tale anche dopo le
elezioni del 2013.
Con
la nuova legge elettorale, diversi soggetti saranno costretti ad essere
indipendenti dal Pd e dalle sue scelte strategiche. Tale definizione di
campo, dunque, appare dunque ormai la condizione minima, ma non più
sufficiente, a delineare un progetto politico alternativo e fondato
sugli interessi popolari. I contenuti e la pratica del conflitto saranno
quelli che faranno la differenza, a cominciare dal fatto se si vuole
rimanere o meno ingabbiati nell’Eurozona fino al non pagamento del
debito e alla nazionalizzazione di banche e industrie strategiche come
punto di discrimine tra alternativa e subalternità.
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