giovedì 12 luglio 2012

Indigniamoci! Di nuovo. E meglio di Lelio Demichelis, Micromega

Indignatevi! (di nuovo). Indigniamoci! (di nuovo). Perché la nostra indignazione dei mesi scorsi contro la finanza, le banche, la speculazione finanziaria, Angela Merkel, Manuel Barroso, Olli Rehn, la troika e Silvio Berlusconi non è bastata e non basterà se non recupereremo una nuova indignazione e – da questa e con questa – una diversa capacità di impegnarci perché cambino davvero le cose. Perché la rassegnazione e l’indifferenza che oggi tornano a contagiare e a bloccare le società europee sono il peggiore di tutti gli atteggiamenti. E dire, come oggi stiamo facendo (secondo Stéphan Hessel): io che ci posso fare, mi arrangio, è fare il gioco del potere; è abbassare la testa e accettare lo stato delle cose (la recessione) convincendosi che non ci possano essere ricette economiche alternative (ci sono, eccome! – si chiamano nuovo new deal verde, Piano Marshall intra-europeo, politiche neo-keynesiane); è cercare di sopravvivere individualmente in qualche modo; è accondiscendere alla sua (falsa) – del potere, di Monti, dei mass media, della Commissione Ue – interpretazione dei fatti (la crisi è colpa nostra che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità); è subire senza reagire le sue – del potere egemone – ricette economiche e sociali (ancora e sempre: neoliberismo, privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica, licenziamenti facili).

Indigniamoci!, allora: contro Mario Monti, contro il suo governo, contro tutti coloro che ci invitano a fare (a dover fare) coesione sociale, ma che nello stesso tempo accusano – ancora Mario Monti – la concertazione (in realtà un modo virtuoso e consapevole di fare appunto coesione sociale attraverso il dialogo) delle colpe della crisi italiana. Indigniamoci!: contro Mario Monti, che all’assemblea dei banchieri dell’Abi dice loro che la causa della crisi è stata soprattutto (appunto) la concertazione tra parti sociali praticata in Italia per troppo tempo e non di loro banchieri che hanno giocato irresponsabilmente alla speculazione, che hanno favorito l’indebitamento privato inducendoci a vivere – per i loro profitti – al di sopra delle nostre possibilità appunto indebitandoci (e l’Abi, contraddicendo se stessa dice che “non esiste un modello di crescita basato sul debito”) – banchieri e finanzieri che hanno chiesto e ottenuto dai governi di destra e di sinistra la deregolamentazione dei mercati finanziari. Indignamoci!: contro Mario Monti (e la Merkel e Barroso e Olli Rehn e Mario Draghi), perché fino ad oggi non ha fatto nulla per regolamentare il mercato finanziario e bancario, per separare nuovamente e doverosamente le banche d’affari dalle banche commerciali e la sua prima azione di governo è stata sulle pensioni e poi, seconda, sul mercato del lavoro, come se, appunto, la crisi che viviamo dal 2008 (una crisi provocata dai mercati deregolamentati; dalla speculazione lasciata libera di agire indisturbata; dalla finanza fatta crescere enne volte rispetto all’economia reale; da istituti che ancora oggi – la denuncia è della Banca dei regolamenti internazionali – puntano sulla speculazione dopo essere state salvati con i soldi pubblici di tutti), come se appunto la crisi fosse stata provocata dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, dalle pensioni, da un mercato del lavoro poco flessibile (ma l’Ocse ha appena ricordato che in Italia un giovane su due è precario, di fatto confermando la tesi del sociologo francese Pierre Bourdieu, cioè che la precarietà non sia una fatalità economica, identificata con la globalizzazione, ma una precisa volontà politica).

Allora, indigniamoci!: contro il potere, contro questo potere; e indigniamoci! soprattutto contro noi stessi che abbiamo permesso che tutto questo accadesse. E indigniamoci! perché abbiamo lasciato che il neoliberismo mettesse deliberatamente in ginocchio – quasi come dopo una guerra – l’Europa. Indigniamoci!, perché all’Europa non bastano ancora (evidentemente ne vuole di più!) 25 milioni di disoccupati (nell’Europa a 27). Indignamoci!, perché da quattro anni questa Europa si aggroviglia su se stessa cercando di salvare le banche, salvare i crediti delle banche (soprattutto tedesche), salvare l’Euro, imponendo politiche recessive nella illusione, nella perversione intellettuale, nella paranoia sistemica di poter così arrivare al mitico pareggio di bilancio: e questo (incredibile, eppure vero) tagliando ricchezza e lavoro, e facendo invece nulla di nulla per risolvere il problema della disoccupazione (il problema dei problemi, oggi in Europa). Indigniamoci!, perché questa classe dirigente europea è manifestamente incapace e senza un’idea, un progetto diverso da quello di salvare le banche senza modificare un sistema finanziario corrotto e corruttore della società; un’Europa di passioni tristi prodotte da politici tristi e da un’ideologia economica triste di per sé.

Indignamoci!, contro le ossessioni hooveriane di Angela Merkel (e non solo), quella Merkel che, come il presidente americano del 1929 – Hoover, appunto, repubblicano – ripete che bisogna salvare le banche (tedesche), non aiutare i poveri e i disoccupati (imparino a fare da soli, al massimo ci pensino le organizzazioni caritative) e che soprattutto bisogna raggiungere il bilancio in pareggio. Indigniamoci!, perché non è vero che questa crisi era imprevista o che nei manuali di economia non ci sono le soluzioni, perché questa crisi somiglia come una goccia d’acqua alla crisi del 1929 e le cause che l’hanno provocata sono quasi identiche a quelle che provocarono la crisi di allora (se qualcuno non ci crede, rilegga “Il grande crollo” di Galbraith).

Indignamoci! Contro chi, complice la crisi, ci ha fatto dimenticare il tema ambientale e ha fatto fallire il vertice di Rio. Contro chi ci vuole far credere che lo scandalo Barclays sia solo un caso, una delle poche mele marce che non pregiudicano la tanta buona frutta esistente nel ricco cesto del capitalismo.
Indigniamoci!, contro chi (ancora il governo Monti) ci vuol far credere che la crescita arriverà, ma intanto taglia i fondi per la ricerca, per la scuola, per la cultura, per il patrimonio artistico, ma nulla taglia della spesa militare inutile (gli F35). Indignamoci! Allora, perché con queste politiche non si va da nessuna parte, si va solo indietro, ancora più indietro in termini di benessere, di diritti, di solidarietà, di sicurezza sociale, di dignità delle persone.

E invece: prima le persone, non le banche. Prima l’ambiente, non il mercato. Prima la cultura e la conoscenza, non i profitti. Prima la politica, poi l’economia. Prima il lavoro – lo diceva il democratico Roosevelt nel 1932, lo diceva il liberale Beveridge nel 1942 – poi il pareggio di bilancio. Perché è vero che anche Roosevelt – un moderato e non un rivoluzionario – attuò un piano di austerità con tagli del 15% ai salari federali e alle pensioni, ma insieme promosse un piano di sussidi per i disoccupati, aiutò gli agricoltori a liberarsi delle loro ipoteche, mise controlli alle banche e alle borse eliminando la speculazione, approvò il National industrial recovery act, aumentò i salari, favorì i contratti collettivi di lavoro, fece partire i lavori pubblici in termini di manutenzione del territorio, tassò le grandi ricchezze e investì nella cultura e nella formazione.

Se l’indignazione di molti, nei mesi passati sembrava promettere qualcosa di interessante, oggi il silenzio degli indignati (o le grida di troppo pochi, come i minatori spagnoli) – e soprattutto la mancanza di impegno politico, culturale, civile per un’idea diversa di politica, di società, di economia, di Europa soprattutto (c’è, ma non riesce a sfondare il muro di gomma dell’egemonia del pensiero unico) – sembra avere messo la parola fine a ogni impegno per il cambiamento. Con grande godimento – ovviamente – del potere (tecnico, economico, finanziario). Per cui, parafrasando Bourdieu, non solo la precarietà ma anche la recessione non è un accidente della storia, ma una deliberata scelta politica.

L’indignazione da sola non basta, non produce cambiamento, trasformazione, innovazione. Ma per l’impegno (per indignarsi e per l’impegno che ne consegue occorre uscire dall’indifferenza e dalla rassegnazione: ancora Hessel) occorre un’idea, un progetto, magari anche un po’ di utopia. In tempi di rete e di retoriche insistenti sulla condivisione è paradossale (ma questa è la triste realtà) che non si riesca a fare rete tra i tanti indignati europei. Per passare dall’indignazione all’impegno serve in realtà qualcosa di più. Che non è in rete e che può nascere solo fuori dalla rete. Che sta nella testa delle persone. Che si chiama progetto. E magari e appunto: utopia.

Nessun commento:

Posta un commento

Di la tua