martedì 19 dicembre 2017

La "via italiana" di Potere al popolo.

potere al popolo
 
di Roberto Musacchio
Quasi un coupe de theatre quello con cui sulla scena politica tormentata della sinistra italiana irrompe la proposta di Je so pazzo. La scena e', appunto, tormentata con l'ultimo atto che era appena andato in onda sotto il titolo del Brancaccio, il nome del teatro romano che per alcuni mesi ha rappresentato la speranza di realizzare una sola lista di sinistra e alternativa. Infranto il sogno del Brancaccio la scena viene presa da un altro Teatro di Roma, l'Ambra Jovinelli, dove si concretizza la nuova proposta e cioè la lista di Potere al popolo. Intanto sono nati i liberi e uguali di Grasso con la confluenza di tre soggetti: l'Mdp, Sinistra Italiana e Possibile.
Questi eventi dicono che in Italia avvengono cose che da un lato hanno attinenza a ciò che succede in tutto il resto d'Europa ma per altri versi si discostano.
Partiamo dalle attinenze. È ormai evidente che i sistemi politici di tutta Europa sono in fibrillazione, quando non in piena destrutturazione. Financo la Germania conosce una instabilità. In Francia i principali partiti sono saltati per aria. In Gran Bretagna c'è stata la Brexit. In Spagna la vicenda catalana. E cosi' via. In realtà in Italia la destrutturazione e' ancora più antica e ci ha consegnato una transizione infinita in quella che si è chiamata seconda Repubblica.
La diversità, e il tormento, sta nel non realizzarsi in Italia di una Sinistra dichiaratamente alternativa che c'è ormai quasi ovunque in Europa. Qui il processo stenta. Non trova ne' unità ne' linearità. Il "fallimento" del Brancaccio ne è una ulteriore dimostrazione.
Nello sconcerto lasciato da questo fallimento, avviene il coupe de theatre di quello che si definisce non un centro sociale ma un soggetto politico, e cioè il collettivo di Je so pazzo, in un mese va ad occupare uno spazio in un modo imprevisto e con una sua forza. Il 18 di novembre, data lasciata "libera" dalla sconvocazione del Brancaccio, fa il suo esordio al Teatro Italia con il lancio di un video che "accetta la sfida" e buca le oltre 100 mila visioni. Il Teatro si riempie. Soggetti politici che avevano lavorato nel Brancaccio, come il Prc, ma anche singoli di quel percorso si ritrovano con altri che invece al Brancaccio non avevano creduto.
Dal Teatro Italia si dipana ancora una volta una 'tournée" di assemblee che crescono e si moltiplicano e riconfluiscono nell'appuntamento dell'Ambra Jovinelli che rappresenta sostanzialmente il lancio della lista Potere al popolo. La sfida è accettata. Ma quale sfida? E chi è che l'ha accettata. Come in tutti i coupe de theatre alla sorpresa segue il dispiegarsi e la comprensione dell'evento. Per altro il finale è tutto ancora da scoprire.
Ne parlo da spettatore partecipante, come era per il teatro d'avanguardia ad esempio della Comune di Baires. Uso così un riferimento sessantottino e non a caso. Ci sono aspetti della cultura messa in campo nel lanciare la sfida che me lo richiamano. La citazione di Fortini, "Dove sta il no faremo il si" evocata nell'intervento introduttivo al Teatro Italia. E quella di Fanon nella conclusione all'Ambra Jovinelli. Ma poi la volontà di riprendersi la politica tornando alla critica radicale del sistema sociale capitalistico e alla rappresentanza di classe antagonista. Coniugati con la attualità del mutualismo e del richiamo al "popolo" che può riecheggiare esperienze e riflessioni attuali.
"Sono leninisti", si dice del collettivo di Je so pazzo. Forse semplificando ma dando il senso di un ritorno alla discussione sui "fondamentali" che si accompagna per altro con una grande "modernità". E una forza vitale, sia intellettuale che "militante", che ha fatto scattare in me una "connessione sentimentale".
Si rischia il "minoritarismo"? L'"allestimento" può mostrare asincronie e stonature, un patchwork di elementi? Rischi reali. Per me da correre a fronte del vicolo cieco in cui sta una ricostruzione politicista della sinistra italiana. Ci sono punti di diversità ad esempio sull'Europa tra le soggettività che si ritrovano nella impresa. Ma se c'è una convergenza sulla libera circolazione dei migranti come era nella grande manifestazione di fight for the right per me si può e si deve discutere stando insieme.
Certo la costituzione di una nuova soggettività politica, ma anche una campagna elettorale efficace, chiedono che si cerchi sia di affinare sia di dare forza ad un messaggio. Tanto più perché dopo le elezioni nazionali ci saranno quelle europee con il tema di costruire una convergenza di forze su quella dimensione.
Ma l'assemblea dell'Ambra ha trasmesso una energia che non era casuale. Veniva dal riconnettersi con "la ragione antica" quella della "Rivoluzione" e del "comunismo". Parole quasi impronunciabili oggi, per "decenza" che viene dai propri limiti e dalle proprie sconfitte. Ma anche per paura. E se allora la decenza e' bene averla, soprattutto per chi come me ha cumulato errori, della paura invece dobbiamo liberarci.

domenica 10 dicembre 2017

“Potere al popolo” lancia la sfida. Il manifesto


Abbiamo aspettato troppo… Ora ci candidiamo noi!
Siamo le giovani e i giovani che lavorano a nero, precari, per 800 euro al mese perché ne hanno bisogno, che spesso emigrano per trovare di meglio.
Siamo lavoratori e lavoratrici sottoposte ogni giorno a ricatti sempre più pesanti e offensivi per la nostra dignità.
Siamo disoccupate, cassaintegrate, esodati.
Siamo i pensionati che campano con poco anche se hanno faticato una vita e ora non vedono prospettive per i loro figli.
Siamo le donne che lottano contro la violenza maschile, il patriarcato, le disparità di salario a parità di lavoro.
Siamo le persone LGBT discriminate sul lavoro e dalle istituzioni.
Siamo pendolari, abitanti delle periferie che lottano con il trasporto pubblico inefficiente e la mancanza di servizi. I malati che aspettano mesi per una visita nella sanità pubblica, perché quella privata non possono permettersela. Gli studenti con le scuole a pezzi a cui questo paese nega un futuro. Siamo le lavoratrici e i lavoratori che producono la ricchezza del paese.
Ma siamo anche quelli che non cedono alla disperazione e alla rassegnazione, che non sopportano di vivere in un’Italia sempre più incattivita, triste, impoverita e ingiusta. Ci impegniamo ogni giorno, organizzandoci in comitati, associazioni, centri sociali, partiti e sindacati, nei quartieri, nelle piazze o sui posti di lavoro, per contrastare la disumanità dei nostri tempi, il cinismo del profitto e della rendita, le discriminazioni di ogni tipo, lo svuotamento della democrazia.
Crediamo nella giustizia sociale e nell’autodeterminazione delle donne, degli uomini, dei popoli. Pratichiamo ogni giorno la solidarietà e il mutualismo, il controllo popolare sulle istituzioni che non si curano dei nostri interessi. In questi anni abbiamo lottato contro i licenziamenti, il Jobs Act, la riforma Fornero e quella della Scuola e dell’Università; contro la privatizzazione e i tagli della Sanità e dei servizi pubblici; per la difesa dei beni comuni, del patrimonio pubblico e dell’ambiente da veleni, speculazioni, mafie e corruzione, per i diritti civili; contro le politiche economiche e sociali antipopolari dell’Unione Europea; contro lo stravolgimento della Costituzione nata dalla Resistenza e per la sua attuazione. Per un mondo di pace, in cui le risorse disponibili siano destinate ai bisogni sociali e non alle spese militari. E ogni giorno ci impegniamo a costruire socialità, cultura e servizi accessibili a tutte e tutti.
Abbiamo deciso di candidarci alle elezioni politiche del 2018. Tutte e tutti insieme. Perché questo pezzo di paese escluso è ormai la maggioranza, e deve essere ascoltato. Perché se nessuno ci rappresenta, se nessuno sostiene fino in fondo le nostre battaglie, allora dobbiamo farlo noi. Perché siamo stanchi di aspettare che qualcuno venga a salvarci…
Abbiamo deciso di candidarci per creare un fronte contro la barbarie, che oggi ha mille volti: la disoccupazione, il lavoro che sfrutta e umilia, le guerre, i migranti lasciati annegare in mare, la violenza maschile contro le donne, un modello di sviluppo che distrugge l’ambiente, i nuovi fascismi e razzismi, la retorica della sicurezza che diventa repressione.
Abbiamo deciso di candidarci facendo tutto al contrario. Partendo dal basso, da una rete di assemblee territoriali in cui ci si possa incontrare, conoscere, unire, definire i nostri obiettivi in un programma condiviso. Vogliamo scegliere insieme persone degne, determinate, che siano in grado di far sentire una voce di protesta, che abbiano una storia credibile di lotta e impegno, che rompano quell’intreccio di affari, criminalità, clientele, privilegi, corruzione.
Potere al Popolo significa costruire democrazia reale attraverso le pratiche quotidiane, le esperienze di autogoverno, la socializzazione dei saperi, la partecipazione popolare. Per noi le prossime elezioni non sono un fine bensì un mezzo attraverso il quale uscire dall’isolamento e dalla frammentazione, uno strumento per far sentire la voce di chi resiste, e generare un movimento che metta al centro realmente i nostri bisogni.
Vogliamo unire la sinistra reale, quella invisibile ai media, che vive nei conflitti sociali, nella resistenza sui luoghi di lavoro, nelle lotte, nei movimenti contro il razzismo, per la democrazia, i beni comuni, la giustizia sociale, la solidarietà e la pace.
Affronteremo questa campagna elettorale con gioia, umanità ed entusiasmo. Con la voglia di irrompere sulla scena politica, rivoltando i temi della campagna elettorale. Non abbiamo timore di fallire, perché continueremo a fare – prima, durante e dopo l’appuntamento elettorale – quello che abbiamo sempre fatto: essere attivi sui nostri territori. Perché ogni relazione costruita, ogni vertenza che avrà acquisito visibilità e consenso, ogni persona strappata all’apatia e alla rassegnazione per noi sono già una vittoria. Non stiamo semplicemente costruendo una lista, ma un movimento popolare che lavori per un’alternativa di società ben oltre le elezioni.
Insieme possiamo rimettere il potere nelle mani del popolo, possiamo cominciare a decidere delle nostre vite e delle nostre comunità. Chi accetta la sfida?
#accettolasfida #poterealpopolo
Per sottoscrivere il manifesto scrivi a accettolasfida2018@gmail.com

venerdì 8 dicembre 2017

Gentilissimo Walter Veltroni,

Gentilissimo Walter Veltroni,
non ho mai avuto la fortuna di conoscerla, e probabilmente lei non ha idea di chi io sia. Sono una persona della sua generazione, un insegnante che da molti anni rivolge attenzione soprattutto ai giovani.
Leggo nell’intervista a “La Repubblica” che Lei è molto preoccupato per l’avanzata della destra e per i pericoli di crescente aggressività fascista. La capisco. Dirò di più, io credo che coloro che (come me, non come lei) hanno partecipato alle lotte sociali e si sono attivate per l’accoglienza degli stranieri e hanno alzato la voce contro il razzismo, debbano preoccuparsi non solo per la democrazia in generale, ma anche per la vita quotidiana.
Diversamente da lei non ho aspettato il dicembre 2017 per vedere l’onda nera. La vedo da quando, nel 1993 la Germania di Kohl e il Vaticano di Wojtila spinsero la Yugoslavia verso la guerra civile e verso il fascismo. Ora, finalmente, la vede anche lei, e di questo mi congratulo. Ma se posso chiederle qualcosa, mi perdoni, le chiederei di starsene zitto, magari di andare in Africa come aveva promesso di fare qualche anno fa.
Il problema è che tra i giovani senza futuro tra i cinquantenni scaraventati fuori dal mondo del lavoro, e i sessantenni costretti a continuare a lavorare fino allo sfinimento, la decisione di votare a destra è anzitutto una vendetta contro quelli come lei.
“Quelli come me?” la vedo chiedermi “Cosa vuol dire quelli come me?”
Glielo spiego subito: quelli come lei sono coloro che ci hanno presentato Sergio Marchionne come un esempio da seguire.
Se c’è qualcuno che ha preparato l’affermazione del fascismo che ora dilaga inarrestabilmente in tutta Europa, è lei, e quelli come lei. Come Tony Blair che ha portato a conclusione l’opera di Thatcher di distruzione del sistema pubblico inglese. Come Gerhardt Schroeder che prima di fare il consulente per Gazprom ha provocato un’ondata di precarietà e miseria tra i lavoratori giovani tedeschi con la legge HarzIV. Come François Hollande che ha promesso di difendere il salario e i diritti dei lavoratori poi una volta eletto ha imposto con la forza la legge El Khomri, che attacca i diritti acquisiti dai lavoratori e punta a imporre condizioni di precarietà.
Gentilissimo Walter Veltroni, se trova il tempo per farlo, le consiglio di ascoltare con attenzione il proclama letto dal giovane nazi skin che è entrato nei locali di Como senza Frontiere. Lo ascolti bene, perché se lo ascolta con attenzione capirà. Capirà che quel povero ragazzo ignorante esprime la frustrazione di milioni di persone che i “democratici” hanno consegnato alla violenza finanziaria, e trasforma la frustrazione in rabbioso razzismo dei perdenti (proprio come accadde in Italia e in Germania circa novant’anni fa).
Capirà che la ragione per cui milioni di giovani odiano lei, la democrazia e la stessa umanità, sta nel fatto che il salario di oggi è la metà di quello che era venti anni fa grazie ai governi di centrosinistra e grazie ai partiti democratici.
Capirà che in Europa come in America quel che i lavoratori e i giovani vogliono oggi è solamente la vendetta: la vendetta contro chi venti, dieci, cinque anni fa è andato al governo con i loro voti, e in cambio gli ha tolto tutto: i soldi per mandare i figli a scuola, la scuola pubblica, la sanità pubblica, la pace, il futuro e la speranza. Questo è quello che avete fatto voi democratici col vostro amico Sergio Marchionne.
La vendetta, purtroppo, non vuole sentire ragioni, e per questo ha già vinto. La vendetta è foriera di disastri, ma di quei disastri dobbiamo fin da ora ringraziare quelli come lei.
E’ quindi inutile fare appelli ragionevoli e continuare le politiche di devastazione sociale. Hanno vinto, io lo capisco ascoltando i discorsi degli studenti, leggendo i messaggi che ricevo in Facebook.
E’ bene sapere che la bestia è riemersa, e prepararsi. Prepararsi come? Inventando una cultura e una comunicazione che siano capaci di comprendere il nazi e di parlargli, e soprattutto battendosi per la redistribuzione del reddito, per il salario di cittadinanza, per la riduzione del tempo di lavoro-vita. A questo scopo occorre chiudere col fiscal compact e riprendersi le risorse che quelli come lei hanno consegnato al sistema bancario. Con quelle risorse potremmo ricostruire una società solidale, e  potremmo sostenere una politica di accoglienza che interrompa l’Olocausto che il suo collega Minniti ha scatenato nel bacino Mediterraneo.
Ecco, caro Veltroni: di lei non c’è bisogno. Lei è oggetto di odio e di disprezzo per la grandissima maggioranza delle persone per bene, e naturalmente anche di tutte le persone per male che sono diventate per male grazie a quelli come lei.
Franco Berardi Bifo

lunedì 4 dicembre 2017

Liberi e uguali, la sinistra di Grasso e quella che non si rassegna, di Francesca Fornario

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Ho seguito l’assemblea fondativa di quella che i giornali hanno definito per mesi la “lista unitaria”, anche se non sarà l’unica. Se non siete fan dei King Crimson faticherete a ricordare l’attuale formazione, poiché nei mesi sono stati sostituti diversi componenti: restano Sinistra italiana e Possibile, escono Rifondazione e i civici del Brancaccio riuniti da Tomaso Montanari e Anna Falcone, entrano Movimento democratico e progressista e Piero Grasso, resta in bilico Giuliano Pisapia, impegnato in un progetto solista, che sembrerebbe orientato a decidere con chi schierarsi dopo le elezioni, dato che prima non si sa chi vince.
In platea c’erano 1500 delegati dai territori a votare le proposte dell’assemblea ma non c’era niente da votare: né un programma – se ne parlerà a gennaio – né un nome, né un leader. Non c’erano mozioni, non ci saranno primarie. Roberto Speranza di Mdp, Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana, Giuseppe Civati di Possibile hanno dato per scontato che il capo politico del “quarto polo alternativo al Pd” sarà Piero Grasso, che fino a ieri era nel Pd.Grasso, intervenuto in quanto capo politico a chiusura dell’assemblea, ha a sua volta dato per scontato e che il nome della lista sarà “Liberi e Uguali”, declinato al maschile, per una lista di quattro maschi: le delegate – immagino lo scoramento – e i delegati devono averlo intuito incrociando le indiscrezioni dei giornali e lo slogan che Grasso ha scandito per tre volte alla fine del suo intervento.
Nessuno dei quattro ha però citato la legge Fornero, il Fiscal compact, il pareggio di bilancio frettolosamente inserito in Costituzione, l’abolizione della Buona Scuola, dello Sblocca Italia, del Jobs act. Nessuno di questi provvedimenti è stato mai evocato, per l’intera mattinata. Gli interventi hanno seguito la traccia del documento unitario di Mdp, Possibile e Sinistra Italiana che Tomaso Montanari aveva rispedito ai mittenti definendolo “inaccettabile”, incompatibile con gli scopi del Brancaccio, che non si dava l’obiettivo di fare il socialismo ma almeno quello di abolire la legge Fornero.
Probabile, ma non sono sicura che evitare l’argomento, come fanno i fidanzati che tornano insieme dopo un tradimento, sia una buona idea. O ci si pente per gli errori del passato e ci si scusa e si spera che gli elettori siano disposti a perdonare, o si rivendicano quelle scelte come fa Matteo Renzi, puntando però a un elettorato diverso da quello che dal Pd si è sentito tradito o mai rappresentato.
Nel racconto dell’Italia impoverita descritta da Grasso, Fratoianni, Speranza e Civati, nessuno dei quattro “Liberi e Uguali” ha indicato i responsabili dello sfruttamento dei lavoratori che andavano evocando. Nessuno si è scagliato contro le politiche neoliberiste che hanno smantellato le tutele dei lavoratori e rafforzato quelle della grande impresa. Nessuno ha promesso battaglia contro chi ha salvato le banche invece delle persone.
L’unica lavoratrice invitata a parlare è stata Laura, operaia Melagatti. Ha raccontato di come i dipendenti della ditta Veronese si siano avvicendati nel laboratorio per tenere vivo il lievito madre e riprendere la produzione nonostante l’azienda sia in concordato e i dipendenti dispensati dal lavoro: “La nostra non è stata una protesta – ha precisato mite – perché a Verona noi non.. beh, non…” e non trovava le parole per dire che a Verona non si usa, non si protesta davanti ai cancelli della fabbrica. Non era un picchetto, il loro era “Diciamo un presidio di resistenza”, ha concluso Laura con gentilezza, ringraziando tutti e ricordando che i lavoratori Melegatti sono ancora a rischio licenziamento.
“C’è un’onda nera che monta nelle periferie delle nostre città”, denuncia correttamente Grasso, ma non sono quattro fascisti che hanno impoverito e vessato milioni di italiani. Quattro fascisti cavalcano strumentalmente la rabbia e la paura come fa Salvini – che non a caso minimizza il gesto violento dei fascisti – ma non sono loro la causa della povertà che in dieci anni è triplicata, dell’esodo di massa dei giovani, della disoccupazione che in dieci anni è raddoppiata, dell’emergenza abitativa, del fatto che più di 11 milioni di italiani rinunciano alle cure mediche perché non hanno i soldi per pagarle.
È per questo che si stanno riunendo a migliaia, in tutta Italia, in risposta all’appello dei giovani dell’Ex Ospedale psichiatrico giudiziario – Je so pazzo. Non si riconoscono nella sinistra che non ha nemici e vogliono dare vita a una lista popolare che metta al centro la lotta alle politiche liberiste che hanno impoverito il 99 per cento a vantaggio dell’uno per cento. Hanno abbozzato un programma e si riuniranno ancora a Roma domenica 17, in un luogo da definire, perché le adesioni sono già migliaia e alla prima assemblea, convocata quando era saltata quella del Brancaccio, avevano riempito il Teatro Italia. Hanno aderito Rifondazione, l’Altra Europa, i consiglieri comunali e gli iscritti che in diverse città si sono autosospesi da Sinistra Italiana in polemica con la decisione del partito interrompere il percorso del Brancaccio. Hanno aderito l’Usb, il Partito comunista italiano, i No Tav, decine di collettivi universitari, i centri sociali, vecchi e giovani che non si erano mai visti e che non sapevano di lottare dalla stessa parte, per le stesse cose. 
“Pensate che sia una cosa fattibile?!” ho chiesto alla vigilia della prima assemblea, poiché avevano l’aria di non essersi posti la domanda. “Pensiamo che sia una cosa che va fatta”, mi hanno risposto, con l’aria di chi si era posto questa domanda qui. Spesso la sinistra fa le cose sbagliate, ho pensato, perché si fa le domande sbagliate: “Come facciamo a rientrare in Parlamento?”
Ho seguito tutte le assemblee di tutte le sinistre e solo lì mi sono sentita nel posto che troppo spesso, nella vita sono due. Quello dove bisogna stare e quello dove si sta bene. A scuola e a ricreazione, al lavoro e in vacanza. Sono una sentimentale? Sicuro, ma ne faccio una questione politica.
Da donna, ragiono spesso sulla fortuna che mi è toccata in sorte rispetto alle mie sorelle che in passato e ancora oggi in gran parte del mondo, vengono obbligate a sposare l’uomo che le famiglie scelgono per loro. Penso a quante poche di noi hanno avuto la fortuna di conoscere l’amore e viverlo.
«E Poi?», le ho chiesto. “Poi, ho sposato Giovanni”.
Sono tanti gli elettori di sinistra rassegnati a sposare Giovanni. Soprattutto i più anziani. Lo fanno in buona fede, per difendere il poco che resta. Alla prima generazione che guadagna meno dei padri, la prima senza il posto fisso, senza le ferie, senza la casa e la pensione, a loro che è rimasto poco da difendere e tutto da riconquistare rispetto ai genitori e nonni, tranne il fondamentale diritto a non sposare Giovanni, viene più naturale partire da qui: stare con chi ti fa battere il cuore. Non è fattibile finché non si fa. Con chi è in buona fede, da una parte e dall’altra, ci si ritroverà, perché non si sta insieme nelle liste, si sta insieme nelle battaglie.