Perché
le scelte del governo si indirizzano con tanto accanimento contro il
residuale ruolo della contrattazione collettiva? Quando viene ventilato
il salario minimo per legge è chiaro che il bersaglio è il sindacato. Il
modello di relazioni sociali sognato dall’esecutivo prevede
retribuzioni in discesa e sindacato in soffitta. Questa opzione nasconde
un dominio esplicito, mai così forte, dei poteri economici e una
politica succube rispetto ai desideri dei signori del capitale, dei
media e della finanza.
Sempre
meno contano nei partiti la partecipazione politica, i congressi, le
discussioni programmatiche, le idealità. Smarrita la loro anima
popolare, i partiti sono semplici sigle per le manovre di ceti politici
indipendenti, che vagano senza un consenso strutturato (militanza,
organizzazioni collaterali, associazioni) e all’organica dipendenza
rispetto ai garanti degli appoggi di media e denaro.
Per decifrare i movimenti che, da dietro le quinte, determinano le
carriere e indirizzano le scelte di classe dei governi occorre puntare i
riflettori sul connubio tra ceto politico e mondo della finanza e
dell’impresa, che prende il posto dei partiti ormai defunti.
Nell’ormai
celebre matrimonio di Marco Carrai, socio in affari di Franco Bernabè,
dipinto dalla stampa come tessitore di rapporti di influenza pervasivi
che vanno dalla Compagnia delle opere alle banche, alla finanza
americana, insieme a un drappello di politici al governo era convenuta
la rete dei poteri visibili e invisibili che davvero contano: da Paolo
Fresco (ex amministratore Fiat) al finanziere Davide Serra, a Paolo
Mieli, per finire al vicepresidente di Unicredit Fabrizio Palenzona,
oggi caduto nelle maglie di un’inchiesta su affari e poteri mafiosi.
Torino,
Roma e Firenze sono i luoghi simbolici dell’intreccio egemonico tra
politica debole e poteri economici forti. A Torino, a dirigere le danze,
si trova un ceto politico che passa con estrema tranquillità dalle
cariche amministrative alle fondazioni bancarie, per poi recuperare le
funzioni amministrative. Nella coalizione dominante torinese conta la
regia di Sergio Marchionne, l’Intesa San Paolo (che inviò Elsa Fornero
come ministro nel governo tecnico). Senza contare la figura di Guido
Ghisolfi, alla testa di un’impresa che fattura 3 miliardi di dollari,
assiduo della Leopolda, di cui è il secondo finanziatore dopo Serra. I
politici locali sono i garanti sotto la Mole di una piena funzionalità
tra amministrazioni e finanza.
I
propri referenti politici nazionali, questa coalizione di potenze
economiche e mediatiche li ha però scovati a Firenze. In riva all’Arno,
l’alta finanza, le banche, l’Ente cassa di Firenze, il Corriere
Fiorentino, Lorenzo Bini Smaghi, hanno edificato un solido blocco di
potere. La fondazione Open (Lotti, Bianchi, Boschi) è la coperta che
protegge un granitico intreccio di media, finanza, impresa che si è
mostrato in grado di orchestrare le scalate ai partiti con il bagno di
folla dei gazebo. Mentre a Roma questa coalizione, cui si aggiunge il
supporto di Caltagirone (costruzioni, stampa, Acea), penetra nei gangli
del potere con le nomine nei consigli di amministrazione, nei vertici
delle banche, della Rai. La politica capitolina è un misto tra piccole
ambizioni di famiglie locali (che cumulano cariche elettive e le
trasmettono a figli e a consorti), e grandi appetiti dei costruttori,
che hanno ottenuto miniere d’oro con revisioni dei piani regolatori, con
un mitico miracolo del “modello Roma” all’insegna di un cemento
infinito.
Luca
Odevaine, ripreso dalle telecamere mentre contava pacchetti di
banconote, è il simbolo di una carriera inarrestabile all’ombra di una
rete politica e amicale che da vent’anni controlla Roma e la politica
nazionale. Il connubio tra politica e affari è ormai totale. Gli
scontrini di Marino sono solo un’inezia rispetto alle gigantesche
contiguità tra economia e governi. Anzi, gli scontrini delle cenette
indigeste forniscono un’occasione ghiotta alle grandi potenze oggi
dominanti per eliminare unoutsider rivelatosi poco scaltro nei segreti
dell’amministrazione ed estendere e perfezionare ancora di più il loro
controllo. Dopo le concessioni, le privatizzazioni, la Tasi, le
decontribuzioni, la decapitazione dell’Ires, il capitale può finalmente
brindare: il governo è tornato a essere un comitato d’affari della
borghesia.
Fonte: Rassegna sindacale
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