di Giorgio Lunghini
In molti paesi civili, di là e di qua
dall’Atlantico, dagli stessi Stati uniti alla Germania, il Ttip è
oggetto di critiche severe e ben fondate.
Nel nostro paese (“Ahi serva Italia!” era l’invettiva di Paolo Sylos
Labini) le critiche sono rare e minoritarie. Molti, invece, i
giudizi entusiastici; dalla Confindustria al Presidente del
Consiglio. Matteo Renzi ha definito «vitale» il Trattato e
sostenuto che «la sua mancata conclusione sarebbe un gigantesco
autogol per il nostro continente».
Sia ai critici sia ai sostenitori del Ttip, e soprattutto a
questi, sarebbe utile la lettura di un documento delle Nazioni
Unite: Fourth report of the Independent Expert on the promotion of a democratic and equitable international order. È un documento circa
le conseguenze giuridiche del Ttip, conseguenze non meno gravi —
la privatizzazione del diritto — di quelle immediatamente
economiche. Ne riprendo qui alcuni passi.
«È forse ammissibile che a un investitore che specula o a una banca che concede prestiti senza garanzie sia comunque assicurato un profitto? No: qualche volta gli investitori vincono, qualche volta perdono. Ciò che è anormale è che un investitore pretenda la garanzia di un profitto, e che si crei un sistema parallelo di risoluzione stragiudiziale delle controversie, un sistema che normalmente non è indipendente, trasparente, affidabile o almeno impugnabile, e soprattutto che si cerchi di usurpare le funzioni dello Stato. Si tratterebbe di una privatizzazione dei profitti e di una socializzazione delle perdite (all’Onu si ricordano di Ernesto Rossi!)».
Nonostante le analisi dell’Unctad, di J. Stiglitz, P. Krugman e J. Capaldo, le società transnazionali continuano a spingere i governi verso nuovi accordi di investimenti internazionali con clausole di Risoluzione delle controversie tra investitore e Stato (Investor-state dispute settlement: Isds), clausole che potrebbero portare a gravi crisi internazionali. La ragione addotta è che gli investitori non si fidano dei sistemi giudiziari nazionali, e preferiscono creare una giurisdizione separata per le controversie commerciali; tuttavia è difficile capire perché mai uno Stato dovrebbe accettare l’implicita squalificazione dei suoi tribunali nazionali e consentire la creazione di un sistema privatizzato di risoluzione delle controversie: piuttosto che andare in causa davanti ai tribunali nazionali, gli investitori si affidano a tre arbitri che decideranno se i loro diritti sono stati violati da uno Stato.
Ciò è tanto più grave quando si tratta di attività economiche e finanziarie che possono violare i diritti umani, in quanto comportino disoccupazione, danni alla agricoltura e frodi alimentari, devastazione dell’ambiente, inquinamento delle acque, contaminazione radioattiva, deformazioni genetiche.
Di qui una prima raccomandazione: «Gli Stati dovrebbero abolire il sistema di risoluzione delle controversie tra investitori e Stato, e sostituirlo con una Corte degli investimenti internazionali».
Il documento dell’Onu si può trovare a questo indirizzo internet: http://www.refworld.org/pdfid/55f28f2e4.pdf. Un cenno, tuttavia, a questi «investitori» internazionali, tanto corteggiati dal governo italiano e che sono grandi imprese multinazionali e grandi speculatori finanziari quali BlackRock e Goldman Sachs — ben conosciuti e ben introdotti in Italia.
Ora un investimento è davvero tale se aumenta lo stock di capitale di un paese, per esempio se si costruisce una nuova fabbrica, si impiegano nuove macchine e si assumono nuovi lavoratori. Se un «investitore» di un altro paese compera una impresa italiana, si tratta soltanto di un passaggio di proprietà e di poteri, con conseguenze ovvie e aggravate dalla privatizzazione del diritto di cui si è detto.
«È forse ammissibile che a un investitore che specula o a una banca che concede prestiti senza garanzie sia comunque assicurato un profitto? No: qualche volta gli investitori vincono, qualche volta perdono. Ciò che è anormale è che un investitore pretenda la garanzia di un profitto, e che si crei un sistema parallelo di risoluzione stragiudiziale delle controversie, un sistema che normalmente non è indipendente, trasparente, affidabile o almeno impugnabile, e soprattutto che si cerchi di usurpare le funzioni dello Stato. Si tratterebbe di una privatizzazione dei profitti e di una socializzazione delle perdite (all’Onu si ricordano di Ernesto Rossi!)».
Nonostante le analisi dell’Unctad, di J. Stiglitz, P. Krugman e J. Capaldo, le società transnazionali continuano a spingere i governi verso nuovi accordi di investimenti internazionali con clausole di Risoluzione delle controversie tra investitore e Stato (Investor-state dispute settlement: Isds), clausole che potrebbero portare a gravi crisi internazionali. La ragione addotta è che gli investitori non si fidano dei sistemi giudiziari nazionali, e preferiscono creare una giurisdizione separata per le controversie commerciali; tuttavia è difficile capire perché mai uno Stato dovrebbe accettare l’implicita squalificazione dei suoi tribunali nazionali e consentire la creazione di un sistema privatizzato di risoluzione delle controversie: piuttosto che andare in causa davanti ai tribunali nazionali, gli investitori si affidano a tre arbitri che decideranno se i loro diritti sono stati violati da uno Stato.
Ciò è tanto più grave quando si tratta di attività economiche e finanziarie che possono violare i diritti umani, in quanto comportino disoccupazione, danni alla agricoltura e frodi alimentari, devastazione dell’ambiente, inquinamento delle acque, contaminazione radioattiva, deformazioni genetiche.
Di qui una prima raccomandazione: «Gli Stati dovrebbero abolire il sistema di risoluzione delle controversie tra investitori e Stato, e sostituirlo con una Corte degli investimenti internazionali».
Il documento dell’Onu si può trovare a questo indirizzo internet: http://www.refworld.org/pdfid/55f28f2e4.pdf. Un cenno, tuttavia, a questi «investitori» internazionali, tanto corteggiati dal governo italiano e che sono grandi imprese multinazionali e grandi speculatori finanziari quali BlackRock e Goldman Sachs — ben conosciuti e ben introdotti in Italia.
Ora un investimento è davvero tale se aumenta lo stock di capitale di un paese, per esempio se si costruisce una nuova fabbrica, si impiegano nuove macchine e si assumono nuovi lavoratori. Se un «investitore» di un altro paese compera una impresa italiana, si tratta soltanto di un passaggio di proprietà e di poteri, con conseguenze ovvie e aggravate dalla privatizzazione del diritto di cui si è detto.
fonte: il manifesto
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