Approfitto del vostro spazio per esprimere il mio pensiero riguardo
gli esiti dell’ultima Direzione Nazionale. Ho letto tutti e tre i
documenti, ( vedi
Ma poi c’è un’altra cosa ancora: torniamo a parlare di contenitori quando le esperienze passate, e neanche tanto lontane nel tempo, ci insegnano che i contenitori sono un’astrazione se non conosciamo e ci intendiamo sui contenuti e, come tutte le cose astratte, sono afflitte da respiro affannoso.
Sono convinto che per prima cosa dobbiamo dedicarci a noi senza ripiegarci ovviamente sul nostro ombelico. Dobbiamo, cioè, a partire dalla situazione data, dare un senso al nostro esistere, al nostro richiamarci al comunismo e questo lo potremo fare elaborando una strategia che ponga alcentro il superamento del capitalismo. Non riesco più a digerire frasi come. Ma cosa è questa benedetta alternativa? Vogliamo darle un contenuto? Il nostro esserci ridotti a quattro gatti (in vent’anni da centotrentamila iscritti a poco più di ventisettemila) non dipende forse dal fatto che in tutti questianni abbiamo navigato a vista? Che finché c’è stato un grande timoniere tutto sommato ce la cavavamo e riuscivamo a nascondere sotto il tappeto la nostrainsufficienza che, però, nella fase successiva è emersa tutta quando il grande timoniere è andato a sbattere contro gli scogli e ci ha mollato? Fuor di metafora, noi sta benedetta rifondazione comunista non l’abbiamo fatta. Il socialismo reale crolla e si trascina dietro partiti comunisti e socialdemocratici e nessuno, se non qualche studioso, apre una riflessione sulla natura di quei regimi e sulle ragioni del loro fallimento. Nessuno. Quella esperienza, drammatica e a volte tragica, dimostra che la questione della transizione dal capitalismo al socialismo è molto più complessa e difficile di quanto sospettassero i classici. Ed è dalla questione “transizione” che dovevamo partire per concretizzare una rifondazione. E all’italianissimo Gramsci, che pure offre suggerimenti, suggestioni, intuizioni, spunti a mioparere preziosi, non è stato dedicato uno straccio di convegno nazionale.
Non possiamo neanche dire che ci siamo troppo dedicati alla tattica, perché una tattica è sempre una articolazione nella fase di un asse strategico in mancanza del quale, non ha senso parlare di tattica. Abbiamo navigato a vista e abbiamo sbattuto e abbiamo perso prestigio e credibilità. Non solo noi, ma lo stesso Bertinotti. Lo dico e lo riaffermo:andare appresso a Prodi, la prima e la seconda volta, è stato un errore grave basato su ipotesi che non poggiavano su una solida analisi. E in quelle occasioni abbiamo approvato leggi e decreti che avrebbero avuto effetti strategicamente negativi per noi e per l’Italia intera (vedi privatizzazione dell’IRI, pacchetto Treu, finanziamento della spedizione italiana in Afganistan).
Il fatto che ci sia una legge elettorale la più schifosa pensabile, che il maggiore sindacato italiano, più che favorire ilconflitto di classe, nell’esclusivo interesse del Pd, lo abbia assopito è maledettamente vero, ma è altrettanto vero che in questi anni non abbiamo arricchito la nostra cassetta degli attrezzi se non di pochissimi e sparsi utensili. Badiamo bene: abbiamo una serie di parole d’ordine tutte giustissime, ma che non riescono a dare agli altri la visione di un convincente programma di una forza che aspiri a governare. Il problema sta proprio qui: la questione del governo.
http://www2.rifondazione.it/primapagina/?p=2686
) quello approvato a maggioranza e i due respinti e in tutti ho
trovato elementi di verità e spunti di riflessione meritevoli di essere
meditati. Il documento approvato mi ha convinto un po’ di più, ma in
verità constato elementi di insufficienza in tutti e la lettera aperta
alla sinistra, poi, mi fa letteralmente infuriare.
Non si può continuare a insistere che siamo insufficienti, che dobbiamo
unirci, costruire un soggetto comune, cedere sovranità, etc. Tanto vale
che ci sciogliamo, accidenti! Tra l’altro a chi ci rivolgiamo? Qual è
questa sinistra con cui dovremmo cercare l’unità? Credo che questi
appelli siano destinati a restare senza risposta, o per settarismo dei
nostri presunti interlocutori, o perché hanno idee affatto diverse dalle
nostre, o perché, a torto e a ragione siamo squalificati ai loro occhi.Ma poi c’è un’altra cosa ancora: torniamo a parlare di contenitori quando le esperienze passate, e neanche tanto lontane nel tempo, ci insegnano che i contenitori sono un’astrazione se non conosciamo e ci intendiamo sui contenuti e, come tutte le cose astratte, sono afflitte da respiro affannoso.
Sono convinto che per prima cosa dobbiamo dedicarci a noi senza ripiegarci ovviamente sul nostro ombelico. Dobbiamo, cioè, a partire dalla situazione data, dare un senso al nostro esistere, al nostro richiamarci al comunismo e questo lo potremo fare elaborando una strategia che ponga alcentro il superamento del capitalismo. Non riesco più a digerire frasi come. Ma cosa è questa benedetta alternativa? Vogliamo darle un contenuto? Il nostro esserci ridotti a quattro gatti (in vent’anni da centotrentamila iscritti a poco più di ventisettemila) non dipende forse dal fatto che in tutti questianni abbiamo navigato a vista? Che finché c’è stato un grande timoniere tutto sommato ce la cavavamo e riuscivamo a nascondere sotto il tappeto la nostrainsufficienza che, però, nella fase successiva è emersa tutta quando il grande timoniere è andato a sbattere contro gli scogli e ci ha mollato? Fuor di metafora, noi sta benedetta rifondazione comunista non l’abbiamo fatta. Il socialismo reale crolla e si trascina dietro partiti comunisti e socialdemocratici e nessuno, se non qualche studioso, apre una riflessione sulla natura di quei regimi e sulle ragioni del loro fallimento. Nessuno. Quella esperienza, drammatica e a volte tragica, dimostra che la questione della transizione dal capitalismo al socialismo è molto più complessa e difficile di quanto sospettassero i classici. Ed è dalla questione “transizione” che dovevamo partire per concretizzare una rifondazione. E all’italianissimo Gramsci, che pure offre suggerimenti, suggestioni, intuizioni, spunti a mioparere preziosi, non è stato dedicato uno straccio di convegno nazionale.
Non possiamo neanche dire che ci siamo troppo dedicati alla tattica, perché una tattica è sempre una articolazione nella fase di un asse strategico in mancanza del quale, non ha senso parlare di tattica. Abbiamo navigato a vista e abbiamo sbattuto e abbiamo perso prestigio e credibilità. Non solo noi, ma lo stesso Bertinotti. Lo dico e lo riaffermo:andare appresso a Prodi, la prima e la seconda volta, è stato un errore grave basato su ipotesi che non poggiavano su una solida analisi. E in quelle occasioni abbiamo approvato leggi e decreti che avrebbero avuto effetti strategicamente negativi per noi e per l’Italia intera (vedi privatizzazione dell’IRI, pacchetto Treu, finanziamento della spedizione italiana in Afganistan).
Il fatto che ci sia una legge elettorale la più schifosa pensabile, che il maggiore sindacato italiano, più che favorire ilconflitto di classe, nell’esclusivo interesse del Pd, lo abbia assopito è maledettamente vero, ma è altrettanto vero che in questi anni non abbiamo arricchito la nostra cassetta degli attrezzi se non di pochissimi e sparsi utensili. Badiamo bene: abbiamo una serie di parole d’ordine tutte giustissime, ma che non riescono a dare agli altri la visione di un convincente programma di una forza che aspiri a governare. Il problema sta proprio qui: la questione del governo.
Il nostro paese versa in una drammatica
crisi istituzionale, talmente grave da autorizzare l’espressione
leniniana amplificata dagli effetti di una crisi economica
altrettanto drammatica che vede milioni di senza lavoro o in cassa
integrazione, la chiusura di tantissime piccole imprese, ma anche
pericoli consistenti per medie e grandi imprese e la perdita progressiva
di capacità produttiva dell’Italia. Ricordiamo che è dall’inizio del
secolo che l’Italia è in stagnazione e denuncia una produttività molto
bassa frutto –è bene ribadirlo- di una scarsa propensione del padronato
italiano a investire nella tecnologia, nell’organizzazione produttiva,
nell’innovazione di prodotto. E il padronato persiste perché l’ultimo
accordo sulla produttività firmato da Confindustria, Cisl e Uil, sotto
il patrocinio del Governo Monti, insiste sulla intensificazione dello
sfruttamento della manodopera ( meno pause, intervento sull’orario di
mensa, straordinari, lavoro di sabato, riduzione delle ferie, etc).
Il
governo delpaese e i processi produttivi sono appesantiti da un apparato
burocratico pletorico e dispendioso.
La scuola è stata svuotata di
risorse e abbandonata a se stessa.
La giustizia è lenta e colpisce solo i
poveri cristi che riempiono le carceri piene all’inverosimile.
E il
sud? E’ in mano a una borghesia mafiosa che aspira voracemente il denaro
pubblico accumulando patrimoni grandiosi –che sfuggono per gran parte
al fisco- desertificando il territorio, saccheggiandolo, impoverendolo e
corrompendo gran parte della popolazione.
Di fronte a un disastro di queste dimensioni non basta NoTav e NoMous, etc. bensì una proposta di governo che abbia contenuti rivoluzionari (solo Grillo usa questo termine; perché noi no?) e aspiri a rivoltare l’Italia come un guanto. Anche perché se non lo facciamo noi, ci penserà qualcun altro e in una direzione che guarda a destra; basta pensare al prodotto dei dieci famosi saggi. Nascerà una democrazia autoritaria e data la rilevanza della borghesia mafiosa all’interno delle classi dominanti e la scarsa cultura liberale del nostro paese, sarà probabile che il nuovo regime conterrà elementi di vero e proprio fascismo.
Quindi un Progetto politico vero che metta a tema la transizione dal capitalismo al socialismo e un programma che punti a raggiungere l’obiettivo, a realizzarlo. Dobbiamo tenere in gran conto gli insegnamenti della Storia e non possiamo non partire da una analisi delle condizioni dell’Italia e del contesto euro-mediterraneo nel quale è collocata.
E’ il Progetto politico che aggrega, il sapere che fare, sempre di leniniana memoria, che dà una identità vera che tenga insieme la nostra storia (passato) con le condizioni drammatiche di oggi (presente), ma che lancia uno sguardo verso un’utopia a cui dare un luogo (futuro). O facciamo questa operazione o finiremo col diventare una setta con un’ottica ultra minoritaria, irrilevanti. Puro folclore. Saremmo noi stessi, in tal modo, che offenderemmo la memoria di milioni di donne e uomini che hanno sacrificato la loro vita, a volte fino all’estremo, per costruire il comunismo.
Un’ultima considerazione e chiudo. La polemica sull’euro. L’accumulazione del capitale è accumulazione della moneta che non è più un astratto equivalente comodo per lo scambio delle merci. La moneta ha sussunto tutta la società riducendo persino l’acqua benedetta a merce. Per contrastare questo, i comunisti devono governare la moneta, la devono, in un processo che non si può sapere quanto sarà lungo, ridurre a strumento di scambio tra merci. Nella transizione inizia il processo di de-mercificazione, se mi è consentito il termine, processo anch’esso lungo e complicato. Se questo è vero, nel nostro programma deve essere centrale il superamento dell’euro e la messa sotto controllo dello Stato la circolazione monetaria, come tra l’altro sta facendo Obama negli USA, appunto per combattere la crisi. Mi sembra quasi ovvio. L’euro non è un demonio che va esorcizzato, ma uno strumento di accumulazione e di drenaggio di risorse dai paesi deboli a quelli forti e dalle classi deboli a quelle dominanti. Ha aumentato le diseguaglianze e tutti i trattati dell’UE sono lì a deliberare che tale moneta così va adoperata e a tal scopo serve. L’uscita a sinistra dall’euro di cui parla Brancaccio va tematizzata seriamente anche per non trovarsi scoperti ove gli squilibri all’interno dell’Europa dei ventisette esplodano. E mi e vi domando: mettere la Banca d’Italia sotto il controllo del Ministero del tesoro, istituire la scala mobile a difesa di salari e pensioni, mettere sotto controllo le tariffe, il prezzo dei carburanti e altri beni di prima necessità, nazionalizzare tutte le imprese ex IRI, comprese Alfa Romeo e Cirio, lo stabilimento Fiat di Termini Imerese, tra l’altro costruito con denaro pubblico, creando un ministero apposito di programmazione industriale per il loro governo (senza consigli di amministrazione dove si divorano improduttivamente denari a palate), i lorobeni, brevetti, stabilimenti, magazzini, terreni; investire enormi risorse per rimettere tutto in funzione dopo i disastri e le distruzioni avvenute e creare in tal modo lavoro qualificato, non è già un pezzo della transizione?
Di fronte a un disastro di queste dimensioni non basta NoTav e NoMous, etc. bensì una proposta di governo che abbia contenuti rivoluzionari (solo Grillo usa questo termine; perché noi no?) e aspiri a rivoltare l’Italia come un guanto. Anche perché se non lo facciamo noi, ci penserà qualcun altro e in una direzione che guarda a destra; basta pensare al prodotto dei dieci famosi saggi. Nascerà una democrazia autoritaria e data la rilevanza della borghesia mafiosa all’interno delle classi dominanti e la scarsa cultura liberale del nostro paese, sarà probabile che il nuovo regime conterrà elementi di vero e proprio fascismo.
Quindi un Progetto politico vero che metta a tema la transizione dal capitalismo al socialismo e un programma che punti a raggiungere l’obiettivo, a realizzarlo. Dobbiamo tenere in gran conto gli insegnamenti della Storia e non possiamo non partire da una analisi delle condizioni dell’Italia e del contesto euro-mediterraneo nel quale è collocata.
E’ il Progetto politico che aggrega, il sapere che fare, sempre di leniniana memoria, che dà una identità vera che tenga insieme la nostra storia (passato) con le condizioni drammatiche di oggi (presente), ma che lancia uno sguardo verso un’utopia a cui dare un luogo (futuro). O facciamo questa operazione o finiremo col diventare una setta con un’ottica ultra minoritaria, irrilevanti. Puro folclore. Saremmo noi stessi, in tal modo, che offenderemmo la memoria di milioni di donne e uomini che hanno sacrificato la loro vita, a volte fino all’estremo, per costruire il comunismo.
Un’ultima considerazione e chiudo. La polemica sull’euro. L’accumulazione del capitale è accumulazione della moneta che non è più un astratto equivalente comodo per lo scambio delle merci. La moneta ha sussunto tutta la società riducendo persino l’acqua benedetta a merce. Per contrastare questo, i comunisti devono governare la moneta, la devono, in un processo che non si può sapere quanto sarà lungo, ridurre a strumento di scambio tra merci. Nella transizione inizia il processo di de-mercificazione, se mi è consentito il termine, processo anch’esso lungo e complicato. Se questo è vero, nel nostro programma deve essere centrale il superamento dell’euro e la messa sotto controllo dello Stato la circolazione monetaria, come tra l’altro sta facendo Obama negli USA, appunto per combattere la crisi. Mi sembra quasi ovvio. L’euro non è un demonio che va esorcizzato, ma uno strumento di accumulazione e di drenaggio di risorse dai paesi deboli a quelli forti e dalle classi deboli a quelle dominanti. Ha aumentato le diseguaglianze e tutti i trattati dell’UE sono lì a deliberare che tale moneta così va adoperata e a tal scopo serve. L’uscita a sinistra dall’euro di cui parla Brancaccio va tematizzata seriamente anche per non trovarsi scoperti ove gli squilibri all’interno dell’Europa dei ventisette esplodano. E mi e vi domando: mettere la Banca d’Italia sotto il controllo del Ministero del tesoro, istituire la scala mobile a difesa di salari e pensioni, mettere sotto controllo le tariffe, il prezzo dei carburanti e altri beni di prima necessità, nazionalizzare tutte le imprese ex IRI, comprese Alfa Romeo e Cirio, lo stabilimento Fiat di Termini Imerese, tra l’altro costruito con denaro pubblico, creando un ministero apposito di programmazione industriale per il loro governo (senza consigli di amministrazione dove si divorano improduttivamente denari a palate), i lorobeni, brevetti, stabilimenti, magazzini, terreni; investire enormi risorse per rimettere tutto in funzione dopo i disastri e le distruzioni avvenute e creare in tal modo lavoro qualificato, non è già un pezzo della transizione?
Dopo la sconfitta elettorale della lista Rivoluzione Civile si è
aperta una discussione molto forte e opportuna nei due partiti comunisti
che la sostenevano, il Prc e il Pdci. Fatte salve le diverse
responsabilità fra i due partiti per questa ennesima sconfitta, dovuta
sia a ragioni di più lungo periodo (per esempio un elettoralismo
esasperato che ha ostacolato una ripresa di radicamento sociale dopo la
sconfitta della Sinistra Arcobaleno del 2008), sia a ragioni più
contingenti (come per esempio aver deciso solo all’ultimo minuto la
presentazione della lista come lista alternativa al centro-sinistra), ci
sono alcune esigenze utili per entrambi i partiti.
Per esempio bisognerebbe, secondo me, innanzitutto difendere, da chi li vorrebbe superare, il Prc e il Pdci. Separatamente, anche evitando nell’immediato irrealistici (dopo quello che è successo) processi unificanti ma lavorando per farli maturare col tempo, ricucendo nella prassi politica le ferite dell’ultimo strappo di chi ha voluto cercare una sbagliata e irrealistica alleanza col Pd anche a costo di rompere la faticosa unità fra comunisti che si era realizzata nella Federazione della Sinistra.
Tuttavia per respingere le tendenze sconfittiste e liquidatorie, anche comprensibili dopo che il Prc e il Pdci sono diventati due partitini non solo inesistenti nelle istituzioni (e questo non da oggi ma già dal dopo governo Prodi 2006-2008), ma anche molto irrilevanti nella società, è necessario non solo difendere, conservare, ma rilanciare e rinnovare radicalmente il ruolo di una forza comunista oggi, nell’Europa e nella specificità dell’Italia di oggi. E’ veramente paradossale che nel momento di maggiore crisi del capitalismo dal dopoguerra, e nel momento in cui si sono rivelate completamente errate e disastrose tutte le tesi e le politiche liberiste (dalle privatizzazioni di banche e settori industriali essenziali alla riduzione del ruolo dello Stato, dalla esaltazione del ruolo della finanza alla riduzione del potere d’acquisto dei lavoratori), siano così forti e penetranti le tendenze anche al nostro interno a superare proprio chi per anni controcorrente ha contrastato le tesi e le politiche liberiste.
C’è certamente l’esigenza di avanzare nella analisi marxista del mondo di oggi, della crisi del capitalismo e dei paesi che costituiscono la testa della piovra del capitalismo mondiale, ma soprattutto c’è da posizionare la linea politica di un partito comunista oggi in Italia in sintonia con la linea politica degli altri partiti comunisti presenti nella Unione Europea, i quali sono collocati, chi più chi meno, su una posizione alternativa alla socialdemocrazia europea e ai suoi partiti nei singoli paesi. Soprattutto se le forze socialdemocratiche sono schierate su posizioni di sostegno o di avallo delle politiche liberiste di massacro sociale e di quelle imperialiste di guerra ad altri paesi e popoli del mondo. Per non parlare del fatto che in Italia c’è un partito come il Pd che è ben peggio di qualunque forza socialdemocratica di altri paesi della Ue.
In questo contesto la linea di una forza comunista non può non tener conto della crisi dell’Euro e della necessità di aprire una discussione sulla stessa permanenza nell’Euro ed anche nella stessa Unione Europea, cosa che non si è fatto finora.
Tuttavia, se si vuole contrastare le tendenze liquidatorie e soprattutto la demoralizzazione dei militanti che aiutano queste tendenze con argomenti comprensibili del tipo: “non c’è più niente da fare”, “fuori dalle istituzioni non contiamo niente e non esistiamo”, “tanto vale scioglierci e entrare nel Pd o in Sel”, “bisogna fare un nuovo partito di sinistra o un bel partito del lavoro”, bisogna rilanciare un ruolo concreto di un partito comunista che dia un senso all’essere oggi comunisti, e ciò non può risolversi affatto in una elaborazione teorica, pure indispensabile, o in una linea politica, anch’essa ancora più indispensabile, ma deve riguardare un cambiamento radicale della nostra pratica politica e quindi del nostro modello organizzativo.
Una delle cause di maggiore degenerazione del Prc che negli anni si è accentuata e non è bastata la svolta di Cianciano a fermarla, è la tendenza a costruire una organizzazione di partito e una pratica fondamentalmente atte alla propaganda e soprattutto alla propaganda elettorale. Si è passati, per anni, da elezione in elezione. Ad ogni elezione si pensava alle prossime elezioni e la pratica politica era costruita solo e sempre in funzione della conquista di voti, come se il fine di una forza comunista sia quello di prendere voti, come se la società si cambiasse solo con le elezioni e aumentando la presenza parlamentare e in generale istituzionale. Intendiamoci, l’altro errore da evitare è quello opposto, di chi crede che sia persino sbagliato presentarsi alle elezioni. Si dimentica la lezione leninista sia sul “cretinismo parlamentare” che nella polemica con l’astensionismo bordighista. Peraltro chi sostiene l’astensionismo e l’inutilità di una presenza parlamentare non propone nulla di alternativo che non sia una setta ideologica di testimonianza spesso nostalgica o l’autopreparazione al momento rivoluzionario che prima o poi verrà.
La mia tesi è opposta. Se il Prc e il Pdci sono fuori dal parlamento è soprattutto perché hanno perso qualunque radicamento sociale di massa ed è questo che bisogna innanzitutto riconquistare, modificando radicalmente la prassi politica e la propria organizzazione. Prassi politica e modello organizzativo devono essere funzionali non alla conquista di voti (improbabile con l’attuale credibilità dei comunisti) ma alla conquista di credibilità attraverso l’utilità sociale.
Per ricostruire una utilità sociale dei comunisti c’è bisogno innanzitutto che essi si rendano protagonisti della costruzione, assieme ad altre forze di sinistra antiliberiste e anticapitaliste (come per esempio l’importante movimento No Debito), della più ampia, forte e duratura opposizione politica, sociale e sindacale alle politiche di massacro sociale, senza settarismi e in un raccordo auspicabile anche con Sel e nell’incalzare le contraddizioni nel Pd, ma anche senza nessuna liquidazione del ruolo autonomo e specifico dei comunisti, di cui oggi c’è più che mai bisogno.
A questo scopo, il lavoro di ricostruzione unitaria di un sindacalismo e di un sindacato di lotta dei lavoratori, come c’è in tutta la Ue tranne che in Italia per la subalternità della maggioranza della Cgil al Pd, è la priorità delle priorità. Questo è un lavoro che i comunisti devono fare direttamente, come partito, senza alcuna delega a settori sindacali, ai sindacati di base o alla Fiom, che pure stanno lavorando, sia pure con difficoltà e contraddizioni, nella stessa direzione.
I comunisti devono diventare una forza politica completamente diversa dalle altre, una forza politica che non solo si batte per il socialismo quando ci saranno le condizioni oggettive per abbattere il sistema capitalistico, ma che opera qui ed ora nella prassi concreta oltre che nei documenti e nei comizi, per combattere il capitalismo, per stare a fianco, aiutare, innalzare la coscienza di classe e anticapitalistica e organizzare tutti gli sfruttati e oppressi dal capitalismo. Ma per fare ciò, ed è su questo che vorrei concentrare l’attenzione, è necessario rovesciare come un guanto tutta la nostra prassi politica fondata sulla propaganda quando va bene e il nostro modello organizzativo fondato su circoli territoriali da tempo in esaurimento, e costruire una nuova concezione e pratica organizzativa fondata – nella specifica gravissima crisi italiana sia economica e sociale che delle forme tradizionali del fare politica – su strutture di sostegno a quelle parti del popolo italiano oggi in grandissima sofferenza sociale per la crisi in corso. Trasformare i nostri circoli – anche chiamando alla collaborazione i tanti comunisti e compagne e compagni sparsi senza tessera – in centri sociali comunisti, di organizzazione di solidarietà, di consulenza e sostegno legale e sindacale, di lotta e di crescita della coscienza delle masse di diseretati che la crisi del capitalismo sta producendo. Qui sta, secondo me, la soluzione per rilanciare il ruolo di un partito comunista nell’Italia di oggi, per rimotivare i militanti, per richiamare all’attività i simpatizzanti di sinistra e per ricostruire credibilità e fiducia di una parte della società.
Per esempio bisognerebbe, secondo me, innanzitutto difendere, da chi li vorrebbe superare, il Prc e il Pdci. Separatamente, anche evitando nell’immediato irrealistici (dopo quello che è successo) processi unificanti ma lavorando per farli maturare col tempo, ricucendo nella prassi politica le ferite dell’ultimo strappo di chi ha voluto cercare una sbagliata e irrealistica alleanza col Pd anche a costo di rompere la faticosa unità fra comunisti che si era realizzata nella Federazione della Sinistra.
Tuttavia per respingere le tendenze sconfittiste e liquidatorie, anche comprensibili dopo che il Prc e il Pdci sono diventati due partitini non solo inesistenti nelle istituzioni (e questo non da oggi ma già dal dopo governo Prodi 2006-2008), ma anche molto irrilevanti nella società, è necessario non solo difendere, conservare, ma rilanciare e rinnovare radicalmente il ruolo di una forza comunista oggi, nell’Europa e nella specificità dell’Italia di oggi. E’ veramente paradossale che nel momento di maggiore crisi del capitalismo dal dopoguerra, e nel momento in cui si sono rivelate completamente errate e disastrose tutte le tesi e le politiche liberiste (dalle privatizzazioni di banche e settori industriali essenziali alla riduzione del ruolo dello Stato, dalla esaltazione del ruolo della finanza alla riduzione del potere d’acquisto dei lavoratori), siano così forti e penetranti le tendenze anche al nostro interno a superare proprio chi per anni controcorrente ha contrastato le tesi e le politiche liberiste.
C’è certamente l’esigenza di avanzare nella analisi marxista del mondo di oggi, della crisi del capitalismo e dei paesi che costituiscono la testa della piovra del capitalismo mondiale, ma soprattutto c’è da posizionare la linea politica di un partito comunista oggi in Italia in sintonia con la linea politica degli altri partiti comunisti presenti nella Unione Europea, i quali sono collocati, chi più chi meno, su una posizione alternativa alla socialdemocrazia europea e ai suoi partiti nei singoli paesi. Soprattutto se le forze socialdemocratiche sono schierate su posizioni di sostegno o di avallo delle politiche liberiste di massacro sociale e di quelle imperialiste di guerra ad altri paesi e popoli del mondo. Per non parlare del fatto che in Italia c’è un partito come il Pd che è ben peggio di qualunque forza socialdemocratica di altri paesi della Ue.
In questo contesto la linea di una forza comunista non può non tener conto della crisi dell’Euro e della necessità di aprire una discussione sulla stessa permanenza nell’Euro ed anche nella stessa Unione Europea, cosa che non si è fatto finora.
Tuttavia, se si vuole contrastare le tendenze liquidatorie e soprattutto la demoralizzazione dei militanti che aiutano queste tendenze con argomenti comprensibili del tipo: “non c’è più niente da fare”, “fuori dalle istituzioni non contiamo niente e non esistiamo”, “tanto vale scioglierci e entrare nel Pd o in Sel”, “bisogna fare un nuovo partito di sinistra o un bel partito del lavoro”, bisogna rilanciare un ruolo concreto di un partito comunista che dia un senso all’essere oggi comunisti, e ciò non può risolversi affatto in una elaborazione teorica, pure indispensabile, o in una linea politica, anch’essa ancora più indispensabile, ma deve riguardare un cambiamento radicale della nostra pratica politica e quindi del nostro modello organizzativo.
Una delle cause di maggiore degenerazione del Prc che negli anni si è accentuata e non è bastata la svolta di Cianciano a fermarla, è la tendenza a costruire una organizzazione di partito e una pratica fondamentalmente atte alla propaganda e soprattutto alla propaganda elettorale. Si è passati, per anni, da elezione in elezione. Ad ogni elezione si pensava alle prossime elezioni e la pratica politica era costruita solo e sempre in funzione della conquista di voti, come se il fine di una forza comunista sia quello di prendere voti, come se la società si cambiasse solo con le elezioni e aumentando la presenza parlamentare e in generale istituzionale. Intendiamoci, l’altro errore da evitare è quello opposto, di chi crede che sia persino sbagliato presentarsi alle elezioni. Si dimentica la lezione leninista sia sul “cretinismo parlamentare” che nella polemica con l’astensionismo bordighista. Peraltro chi sostiene l’astensionismo e l’inutilità di una presenza parlamentare non propone nulla di alternativo che non sia una setta ideologica di testimonianza spesso nostalgica o l’autopreparazione al momento rivoluzionario che prima o poi verrà.
La mia tesi è opposta. Se il Prc e il Pdci sono fuori dal parlamento è soprattutto perché hanno perso qualunque radicamento sociale di massa ed è questo che bisogna innanzitutto riconquistare, modificando radicalmente la prassi politica e la propria organizzazione. Prassi politica e modello organizzativo devono essere funzionali non alla conquista di voti (improbabile con l’attuale credibilità dei comunisti) ma alla conquista di credibilità attraverso l’utilità sociale.
Per ricostruire una utilità sociale dei comunisti c’è bisogno innanzitutto che essi si rendano protagonisti della costruzione, assieme ad altre forze di sinistra antiliberiste e anticapitaliste (come per esempio l’importante movimento No Debito), della più ampia, forte e duratura opposizione politica, sociale e sindacale alle politiche di massacro sociale, senza settarismi e in un raccordo auspicabile anche con Sel e nell’incalzare le contraddizioni nel Pd, ma anche senza nessuna liquidazione del ruolo autonomo e specifico dei comunisti, di cui oggi c’è più che mai bisogno.
A questo scopo, il lavoro di ricostruzione unitaria di un sindacalismo e di un sindacato di lotta dei lavoratori, come c’è in tutta la Ue tranne che in Italia per la subalternità della maggioranza della Cgil al Pd, è la priorità delle priorità. Questo è un lavoro che i comunisti devono fare direttamente, come partito, senza alcuna delega a settori sindacali, ai sindacati di base o alla Fiom, che pure stanno lavorando, sia pure con difficoltà e contraddizioni, nella stessa direzione.
I comunisti devono diventare una forza politica completamente diversa dalle altre, una forza politica che non solo si batte per il socialismo quando ci saranno le condizioni oggettive per abbattere il sistema capitalistico, ma che opera qui ed ora nella prassi concreta oltre che nei documenti e nei comizi, per combattere il capitalismo, per stare a fianco, aiutare, innalzare la coscienza di classe e anticapitalistica e organizzare tutti gli sfruttati e oppressi dal capitalismo. Ma per fare ciò, ed è su questo che vorrei concentrare l’attenzione, è necessario rovesciare come un guanto tutta la nostra prassi politica fondata sulla propaganda quando va bene e il nostro modello organizzativo fondato su circoli territoriali da tempo in esaurimento, e costruire una nuova concezione e pratica organizzativa fondata – nella specifica gravissima crisi italiana sia economica e sociale che delle forme tradizionali del fare politica – su strutture di sostegno a quelle parti del popolo italiano oggi in grandissima sofferenza sociale per la crisi in corso. Trasformare i nostri circoli – anche chiamando alla collaborazione i tanti comunisti e compagne e compagni sparsi senza tessera – in centri sociali comunisti, di organizzazione di solidarietà, di consulenza e sostegno legale e sindacale, di lotta e di crescita della coscienza delle masse di diseretati che la crisi del capitalismo sta producendo. Qui sta, secondo me, la soluzione per rilanciare il ruolo di un partito comunista nell’Italia di oggi, per rimotivare i militanti, per richiamare all’attività i simpatizzanti di sinistra e per ricostruire credibilità e fiducia di una parte della società.
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