martedì 16 giugno 2015

Due tre appunti per Matteo Orfini così alacremente impegnato nella rivergination di Marino di Fabio Sebastiani




In tutta questa vicenda di Mafia Capitale, Matteo Orfini invece di imbracciare la spada dell’angelo sterminatore pensa di cavarsela con l’aspergillum, ovvero con il rametto di ulivo con il quale l’acqua benedetta viene sparsa (aspersa, per la verità) sui fedeli a mo’ di purificazione. Un’acqua talmente “magica” che sostituisce addirittura l’atto penitenziale da parte dei fedeli, “alla linea”. Non passa giorno che non ci risparmia i suoi bei discorsi sull’anima popolare autentica del partito, e su quanto è importante attraversare questo momento così difficle salvando il casto e puro sindaco di Roma. Ieri, come se non lo immaginassimo, in questa purificazione collettiva ha coinvolto anche i sindacati. Ad una condizione però, che devono essere meno conflittuali. Insomma, il marchio di fabbrica renziano non si smentisce mai. Orfini dovrebbe sapere che a forza di ripetere il mantra di “Marino è vergine”, tutto ad uso e consumo del sistema mass mediatico, poi il messaggio perde di forza.

Dove era Orfini quando nei circoli del Pd ci si insultava tra correnti e gruppetti vari con accuse del tipo “state portando nel Pd gente di Casa Pound”? (risulta tutto rigorosamente confermato e documentato dagli atti dell’inchiesta oltre che nei giornali). Di per se questa non sarebbe una cattiva cosa, visto lo stile della cosiddetta militanza richiesto a chi vuol far parte del Pd. Il punto è che quei voti servivano a vincere le sfide interne. In quel caso, le primarie. Possibile che alle sue orecchie questi episodi non siano mai giunti? Ha almeno potuto accertare a quando risale il “peccato originale”?
Dove era Orfini quando Odevaine passava indenne i controlli del rigorosissimo partito democratico (rigorosissimo perché “di governo”) e veniva messo al fianco di Veltroni nonostante alcuni trascorsi non proprio gloriosi con la giustizia italiana? E perché nessuno ha mai chiesto conto a Veltroni di questo? Pubblicamente intendo. Ma fin qui parliamo di fattarelli, roba da niente.

Vabbé, Orfini ci ha convinto: Marino è in odore di santità. Lui con la storia di Mafia Capitale non c’entra niente. E noi ci crediamo. Ma crediamo anche che sia del tutto lecito chiederci se è per questo che almeno tre quarti di Pd lo voleva fare fuori? E quando lo volevano fare fuori chi si è mosso in sua difesa? E in tutti questi mesi che lei, Orfini, ha esercitato i suoi poteri di commissario quanti di quei “capibastone” sono caduti in disgrazia? Nemmeno uno. Ed ora che lo vuole "fare fuori" Renzi?

Stanno tutti lì acquartierati pronti a riprendere la battaglia. Pochi giorni fa, signor Orfini, magari le è sfuggita pure questa, la maggioranza ha vacillato sulle commissioni consigliari, dove passa un “sacco di roba” che poi finisce in delibera. Ma guardi un po, che coincidenza! Il risultato di tutto questo suo agitarsi, mi permetta, è una sequela senza fine di assemblee-psicodrammi inconcludenti o utili al sistema massmediatico sempre a caccia di storie edificanti ma terribilmente vuote di sostanza.

Lo sa Orfini o no, che mentre lei si dà da fare con la “rivergination” c’è un tale Francesco Rutelli che rispunta fuori mettendosi in competizione con Gabrielli e con Marino stesso per organizzare il Grande Cupolone sul Giubileo? 
Lo sa Orfini,infine, che tra le cose a cui sta pensando Renzi ci sarebbero anche 500 milioni della Cdp da allungare a Marino-Gabrielli per affrontare le spesucce del Giubileo in cambio di belle fette di patrimonio immobiliare che, diciamocelo, fanno gola a un sacco di gente visto che sono in zone pregiate? Insomma, pare proprio che dentro e intorno al Pd si stanno dando da fare in parecchi su questa storia di Roma Capitale e del Giubileo.

Se non lo sa, diciamo che per la sua attività di commissario del Pd tutte queste informazioni potrebbero tornarle utili. Se lo sa allora, la preghiamo di non prenderci in giro con questa storia della verginità di Marino. C’è un limite a tutto. Marino è vergine. E va bene. Ma questo non sposta di un millimetro il punto nodale della questione. Il Pd che lei immagina a Roma semplicemente non esiste, e da parecchio. Non è più un partito radicato nei quartieri e nelle vertenze. Non è più un partito di lotta. E in quanto a “governo” diciamo che l’ha presa fin troppo sul serio. E le dittature violente e mafiose hanno fatto da sempre una brutta fine.

Il partito da lei evocato con melensi discorsi sulla salsiccia alle feste dell’Unità era un partito che sapeva cosa voleva dire controllare i processi istituzionali dal basso. A proposito, lo sa che la riforma sanitaria è nata anche dal contributo degli operai di Mirafiori? Parlo dei militanti, ovviamente, quelli che conoscevano il limite tra momento della protesta e momento della mediazione e, al limite, del governo. Ora non esiste né l’una né l’altro. Voi da una parte prendete ordini da Merkel e dall’altra trovate il modo di concludere i vostri affarucoli. Perché questo, si sa, è l’unico strumento che vi assicura la dinastia. Secondo lei sarebbero stati possibili tutti questi giri di tangenti se ci fosse stata una base reale che avesse passato ai raggi X gli atti che contano? In nessun modo. Il punto è che quel partito opaco, a tutti i controlli e a tutti le possibilità per i militanti di dire la loro, l’avete costruito voi.

Ma il punto non è ancora questo. Il punto è la grande truffa della politica. La politica ha stretto in questi anni un preciso matrimonio di interessi con i poteri forti, tutti prevalentemente di tipo finanziario e industriale. Da questo punto di vista non esiste un limite ben preciso tra criminalità e non-criminalità. Quella politica che lei cerca ostinatamente di santificare con l’aspergillum, nei suoi meccanismi reali – altrimenti parliamo del sesso degli angeli – ha stravolto completamente il principio di sovranità. Il voto è solo un atto necessario e del tutto formale. Quello che conta è la gestione. Siete stati capaci di dissacrare a suon di tangenti anche un concetto nobile come quello di “Governo”. Tanto poi al momento di andare alla nuova verifica delle urne tutto riparte da zero. In gioco c’è l’opinione della gente, in fondo, da molti spacciata come la grande conquista della modernità. E a quella in qualche modo, soprattutto se si ha tanti soldi, ci si arriva. Corollario del tutto naturale, infine: della gestione si deve rendere conto non a chi ti ha dato un voto ma a chi con te si fa avanti per stringere affari. Il cittadino in questo viene truffato. E l’astensionismo è la disperata “presa di coscienza”, se così la vogliamo chiamare della truffa. Ma c’è di peggio. Il turpe mercato della politica è sul bene pubblico.

Cosa “vende” (con virgolette) la politica al cittadino nel momento in cui chiede il voto? Il bene pubblico, variamente declinato: la stabilità, un servizio, un pezzo di futuro, la giustizia, etc. Tutte cose scritte nella Costituzione della Repubblica italiana. E tutte cose che dovrebbero stare nel patto. Quel famoso patto dei diritti e dei doveri. Ebbene, tutto questo, in ossequio del principio dell’”affamamento della bestia” che il Pd ha mutuato sic et simpliciter dagli Usa, al momento di intascare il voto, e quindi la nomina, diventa un fatto privato tra la politica e i poteri forti, ben contenti di fare affari nei vari settori di competenza. Cosa vendono (senza virgolette) i poteri forti alla politica, la possibilità di riprodursi senza il consenso. Non ci sarebbe niente di male, in base alla vostra logica così pervicacemente mercantile, se questo non avvenisse, ops!, sulle spalle del contribuente. E a sua insaputa.

La politica, opaca, e lontana dai suoi militanti e dai cittadini stessi, deve nutrirsi di questo. Altrimenti non ce la fa a sopravvivere. E come potrebbe senza più il consenso reale? E lo fa appriopriandosi di un bene, la cosa pubblica, per principio indisponibile e interno al patto costituzionale. E, dall’altra parte, il cittadino non sembra avere grandi alternative. Tanto più che poi alla fine tutto viene giocato sull’ossessione del voto utile.

Su questo piano di analisi non c’è “rivergination” che tenga. La crisi economica, da cui state manifestamente dimostrando di non riuscire a venire a capo, sta peggiorando la situazione. L’atto di responsabilità non è quindi “aspergere” di acqua benedetta i fedeli accorsi al rito ma brandire la spada di San Michele, e indirizzarla dalla parte giusta. Orfini, mi scusi, lei sembra più che altro un San Michele ribaltato, ovvero come nella cultura orale dell’appennino tosco-emiliano, tanto caro al nostro presidente del Consiglio, è l’emblema di una situazione non chiara, disordinata, confusa, destinata a non giungere allo scopo prefissato.

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