domenica 28 giugno 2015

BRUXELLES DICHIARA GUERRA di Dimitri Deliolanes, Il Manifesto

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L’Eurogruppo ha dichia­rato guerra alla Gre­cia. Ieri il suo pre­si­dente è apparso alla fine della riu­nione e poco ci è man­cato che sbat­tesse i pugni sul tavolo. La deci­sione della Gre­cia di indire un refe­ren­dum, ha detto, equi­vale all’interruzione uni­la­te­rale del nego­ziato. Quindi l’Unione Euro­pea se ne lava le mani di tutto quello che può suc­ce­dere. La richie­sta di Varou­fa­kis di pro­trarre di qual­che set­ti­mana il memo­ran­dum del 2012, che scade mar­tedì, è stata respinta.
Quindi uffi­cial­mente la Gre­cia ha smesso di fare parte dei paesi sotto pro­gramma di aggiu­sta­mento da parte della tro­jka. Se ce ne sarà un altro dopo il refe­ren­dum non è sicuro, per­ché Dijs­sel­bloem è molto arrab­biato e non «c’è fidu­cia» verso la Grecia.
Prima della riu­nione, il ric­cio­luto agro­nomo olan­dese aveva ten­tato di nascon­dere la mano dopo aver lan­ciato il sasso: il testo scan­da­loso pre­sen­tato dal Fmi mar­tedì scorso «non era un ulti­ma­tum» e «c’era spa­zio per miglio­ra­menti». Pec­cato che appena il giorno prima egli stesso, e il suo datore di lavoro Schau­ble, ave­vano testual­mente detto che era pro­prio un ulti­ma­tum e che i greci dove­vano accet­tarlo o respin­gerlo. Par­lando di fidu­cia e di credibilità.
All’ultimatum Tsi­pras ha ripo­sto con il refe­ren­dum, rite­nuto, lo ave­vamo detto da tempo, una carta potente e una risorsa di mobi­li­ta­zione popolare.
Mal­grado i grandi sforzi dei media euro­pei, la domanda non sarà euro o dracma. Riguar­derà invece pro­prio l’ipotesi di accordo pre­sen­tata in maniera ulti­ma­tiva dalla tro­jka. Tsi­pras è arri­vato alla deci­sione di indire il refe­ren­dum dopo aver con­sta­tato di non avere più alcuno spa­zio di manovra.
Il mas­simo di con­ces­sioni era stato già rag­giunto nel testo di Atene appro­vato in linea di mas­sima lunedì e poi a sor­presa disco­no­sciuto dalla troika. Da lì il fon­dato sospetto che da parte dei cre­di­tori non c’era alcuna volontà di com­pro­messo ma solo una guerra di logo­ra­mento per favo­rire un cam­bia­mento politico.
Anche se in que­ste ore i media pro– auste­rità cer­cano di fare con­fu­sione, soste­nendo che la pro­po­sta del Fmi non è più valida, quindi il refe­ren­dum sarebbe senza oggetto, l’oggetto c’è, eccome: gli elet­tori greci sono chia­mati a deci­dere se il loro desi­de­rio di rima­nere all’interno dell’eurozona è supe­riore alla loro rab­bia e dispe­ra­zione per la poli­tica cri­mi­nale che la tro­jka vuole con­ti­nuare ad appli­care in Grecia.
Si tratta di deci­dere se si vuole essere un paese mem­bro di pari dignità in un’Unione di popoli liberi oppure un paese per sem­pre satel­lite, una colo­nia tede­sca, al livello dei Baltici.
Al suo pro­clama tele­vi­sivo Tsi­pras non ha par­lato di soldi ma di «ricatto inac­cet­ta­bile». Ieri in Par­la­mento ha ripe­tuto che la posta in gioco è la dignità, l’orgoglio e la libertà del paese. Anche il suo alleato al governo, il mini­stro della Difesa Kam­me­nos, con le lacrime agli occhi, ha insi­stito sull’importanza delle isole dell’Egeo, che la tro­jka vuole «svuo­tare» e «distruggere».
La con­vin­zione è che l’atteggiamento dell’Europa non lascia spa­zio a equi­voci: il governo di sini­stra greco si deve sot­to­met­tere e umi­liare, per­ché den­tro l’eurozona non c’è posto per chi non accetta i dogmi neoliberisti.

Quale sarà il responso delle urne? È molto pro­ba­bile che vinca il «no» all’austerità. Anche se le Tv oli­gar­chi­che hanno già comin­ciato a spar­gere il ter­rore, chia­mando i greci a riti­rare i pro­pri soldi dalle ban­che, se uno giu­dica dall’atteggiamento dell’opposizione greca capi­sce che è in preda al panico.
Girare per le Tv soste­nendo che biso­gna tagliare le pen­sioni e aumen­tare l’IVA al 23% per i ser­vizi turi­stici non è certo pia­ce­vole. Dopo grandi sforzi, alla fine la destra e il par­tito degli oli­gar­chi To Potami hanno deciso per il sì, men­tre i socia­li­sti del Pasok, in sprezzo del ridi­colo, hanno anche chie­sto le dimis­sioni del governo.
Il loro ragio­na­mento è esat­ta­mente quello dei cre­di­tori: dire no all’austerità equi­vale a uscita dall’eurozona. Al governo invece sono con­vinti che la vit­to­ria del «no» aiu­terà a pie­gare le grandi resi­stenze dei cre­di­tori. Un pro­nun­cia­mento diretto dif­fi­cile da igno­rare per­fino per l’eurozona.
Cosa suc­ce­derà nel caso vinca il sì? Tsi­pras ha assi­cu­rato che «rispet­terà qual­siasi responso delle urne» ma Varou­fa­kis è andato più in là, ipo­tiz­zando un rim­pa­sto gover­na­tivo, pro­ba­bil­mente inclu­dendo To Potami, ama­tis­simo a Bru­xel­les ma con­fi­nato dagli elet­tori a un misero 6%. Ad Atene però sono tutti con­vinti che né Tsi­pras né gli altri mini­stri di Syriza saranno dispo­sti a ese­guire una poli­tica che non è la loro.
Intanto biso­gna affron­tare la crisi di liqui­dità delle ban­che, pro­ba­bil­mente senza il soste­gno di Dra­ghi, men­tre il governo non ha alcuna inten­zione di pagare i debiti né di giu­gno né di luglio. Nelle capi­tali euro­pee si pensa a come evi­tare le con­se­guenze dello scon­tro tra Atene e la tro­jka. Ma sono pie illusioni.
L’ignavia e la viltà di molti di loro hanno lasciato mano libera agli estre­mi­sti libe­ri­sti, sabo­tando ogni ipo­tesi di com­pro­messo. Se alla fine ci sarà l’esplosione dell’eurozona nes­suno sarà al riparo. Forse non è troppo tardi per far sen­tire la loro voce.

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