giovedì 25 giugno 2015

La mia lettera d'addio al Pd di Stefano Fassina

L'altro ieri, al circolo Pd di Capannelle, in un'assemblea pubblica in piazza, ho con dolore lasciato il Pd. L'ho fatto in un circolo della periferia romana, in un luogo difficile, dove continua a vivere la buona politica perché lì sono i miei referenti, i miei interlocutori, gli uomini e le donne che il 30 Dicembre del 2012 mi hanno dato la loro fiducia per entrare nel luogo supremo della rappresentanza. È innanzitutto a loro, a ciascuno delle elettrici e degli elettori del Pd che ha Roma mi hanno sostenuto, che sento di dover rispondere.
La scelta del governo Renzi di approvare al Senato il ddl Scuola attraverso il voto di fiducia è grave sul piano del corretto funzionamento delle istituzioni della rappresentanza democratica ed è insostenibile sul piano politico per il Pd.
La scuola è il luogo dove ogni giorno vive, si insegna e si impara, la Costituzione. La scuola è l'architrave delle istituzioni della Repubblica. Il ponte per il futuro. La scala della mobilità sociale.
Dopo mesi di mobilitazioni intense, diffuse, appassionate di docenti, studenti e famiglie, dopo uno sciopero attivamente partecipato da 618.000 insegnanti, tecnici e ausiliari della scuola, dopo un voto amministrativo segnato dal distacco di una parte significativa di popolo democratico dal Pd, il governo Renzi, invece di aprire finalmente un confronto con i protagonisti della scuola, prima fa slittare per settimane i lavori della Commissione Istruzione del Senato, poi strumentalizza gli insegnanti precari da assumere a Settembre e tenta di scaricare sulle opposizioni e su alcuni senatori del Pd i ritardi accumulati, infine, impedisce al Senato la discussione anche in aula.
È uno schiaffo al Parlamento. È uno schiaffo all'universo della scuola. È la dimostrazione di una visione autoreferenziale della politica indifferente al distacco, già a livelli di allarme, tra cittadini e istituzioni.
Sento profondamente mia la tristezza espressa dal sen. Walter Tocci che, insieme a altri colleghi, ha cercato fino all'ultimo di aprire il dialogo con il governo: "Sono un vecchio parlamentare e ho combattuto due leggi devastanti per la scuola, prima la Moratti e poi la Gelmini. Però devo riconoscere che in entrambi i casi noi dell'opposizione abbiamo potuto portare in votazione i nostri emendamenti dopo un dibattito parlamentare di diverse settimane. Con il mio governo invece non è stato possibile votare le proposte né in commissione né in aula. Si approva una brutta legge senza che il Senato possa esaminare il provvedimento."
Nel merito, il Ddl scuola, nonostante la martellante propaganda, non è una buona riforma, anzi, non è una riforma. È un intervento regressivo di riorganizzazione dei rapporti di lavoro, all'insegna del Jobs Act, negativo per la qualità della didattica, negativo per la libertà di insegnamento.
È un intervento ispirato nel suo principio guida dal Ddl Aprea di epoca berlusconiana. Sarebbero state necessarie correzioni profonde almeno su 4 punti per: 
1. cancellare la chiamata e la revoca dei docenti da parte dei presidi; 
2. introdurre un piano pluriennale di assunzione degli insegnanti precari, abilitati e di III fascia da abilitare, connesso ai pensionamenti, quindi senza oneri aggiuntivi di finanza pubblica; 
3. rivedere l'iniquo finanziamento alle scuole private e il divaricante meccanismo dello school bonus e, infine, 
4. ridurre e ridefinire le norme di delega. 
Invece, il testo del maxi emendamento predisposto dal governo si limita a qualche ritocco cosmetico per far finta di aver ascoltato.
Come con la delega lavoro, anche con il Ddl scuola, il governo Renzi contraddice radicalmente il programma sul quale ciascun parlamentare del Pd e Sel è stato eletto. Sono, in entrambi i casi, svolte liberiste e regressive, ingiuste per i diretti interessati e dannose per la ripresa economica e morale dell'Italia.
Su punti fondamentali sono ricalchi della piattaforma elettorale del PdL. Sono scelte senza alcuna legittimazione democratica diretta o indiretta perché il Segretario del Pd le ha omesse sia dalla campagna congressuale del 2013, sia dal programma di governo sul quale ha ricevuto la fiducia del Parlamento a Febbraio 2014, sia dalla campagna elettorale delle elezioni europee.
Il cambiamento è necessario. Anzi urgente. Ma il cambiamento non è neutro. Può essere progressivo o regressivo. In questi mesi, insieme a altri colleghi e colleghe, abbiamo cercato di dare il nostro apporto per un cambiamento progressivo. Invece, da subito, dal Segretario del Pd è arrivata la delegittimazione morale, oltre che politica, delle posizioni e delle proposte diverse. Tante riunioni senza vera discussione. Soltanto monologhi in streaming.
Le ultime elezioni amministrative, dopo il voto regionale del novembre scorso in Emilia, evidenziano che una parte importante, qualificante, decisiva, del popolo del Pd è stata abbandonata dal Pd di Matteo Renzi. La discussione del Ddl scuola sarebbe potuta essere l'occasione per riaprire un canale di comunicazione e incominciare a rammendare gli strappi. Invece, con il voto di fiducia sul Ddl scuola, il Pd conferma di riposizionarsi in termini di cultura politica, programma e di interessi rappresentati.
Il Pd vuole essere il partito dell'establishment, del big business, di Marchionne e dei banchieri d'affari oramai ovunque nelle principali postazioni delle amministrazioni economiche e, insieme, il partito garante dell'ordine teutonico dell'euro-zona nel sacrificio dell'interesse nazionale.
Tra il Pd e il popolo democratico abbandonato dal Pd scelgo il popolo democratico. Insieme a Pippo Civati, Luca Pastorino, Sergio Cofferati, Monica Gregori, Daniela Lastri e a tante donne e uomini che hanno creduto e costruito il Pd e ora vivono l'abbandono da parte del Pd smarriti ma ancora appassionati di bella politica, avviamo un cammino sui territori della nostra Italia.
Vogliamo incontrare chi non si è rassegnato all'esistente, chi non si arrende al dominio dei poteri più forti. Vogliamo ascoltare chi domanda dignità della persona che lavora, uguaglianza, giustizia sociale e nei diritti civili, valorizzazione del nostro ambiente. Vogliamo lanciare una controffensiva culturale e politica allo svuotamento delle democrazie nazionali e alla subalternità della famiglia socialista europea. Vogliamo raccogliere la sfida per un neo-umanesimo contenuta nei messaggi "radicali" della dottrina sociale della Chiesa interpretata da Papà Francesco.
Ci vediamo sabato 4 luglio, a Roma, al Palladium. Ricominciamo, insieme, da scuola, lavoro, democrazia. Raccogliamo la sfida per una sinistra di governo per un'agenda alternativa, in Italia e in Europa.

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