giovedì 8 luglio 2010

L’incantesimo che corrode la nostra democrazia

Il naufragio economico, sociale e persino morale cui è stato condannato questo Paese ha assunto dimensioni drammatiche e dio sa quanto ci vorrà per risalire la china, ammesso che la situazione non precipiti ulteriormente e che, giunti a toccare quello che parrebbe essere il fondo, non si debba scavare ancora. Al caos in cui ristagna la politica-politicante, assorbita in uno stucchevole, vacuo valzer intorno al vuoto, fa da contrappunto la chiarezza estrema, per chi ancora sia in grado di vederla, del segno che porta la manovra economica del governo.
Proviamo a dividere, sommariamente, il campo fra chi ne viene colpito e chi, invece, beneficiato.
Protestano i lavoratori dell’industria manifatturiera, del pubblico impiego, della ricerca, della scuola, della cultura, dello spettacolo, delle forze dell’ordine; protestano i pensionati, i giovani precari, le persone con handicap; manifestano, a costo delle botte, i terremotati dell’Aquila; insorgono le regioni e gli enti locali; scioperano i giornalisti e i magistrati; si mobilitano, come è loro possibile, i carcerati quando il loro grido inascoltato non si risolve tragicamente nel gesto estremo di togliersi la vita.
Lo spettro del dissenso è amplissimo. Specularmente troviamo, sulla sponda opposta, coloro che non hanno nulla, proprio nulla, di cui lagnarsi e che, anzi, sentitamente ringraziano. Sono i padroni, risparmiati da qualsiasi obolo da pagare al cosiddetto risanamento e affiancati con servizievole passività dal governo nelle politiche antioperaie. Sono gli evasori fiscali, già graziati dallo scudo fiscale e del tutto certi di vedere garantita la propria impunità. Sono i ricchi, di cui l’Istat rivela la crescente opulenza, che vedono i loro patrimoni al riparo da pur minime incursioni tributarie. Sono i faccendieri e gli speculatori di ogni risma che prosperano nel sottobosco del potere politico, che vivono di corruzione e di malversazione.
La domanda cui si deve provare a rispondere è come mai di fronte a questo scempio che devasta la vita dei molti onesti e remunera quella dei pochi manigoldi o privilegiati non trasformi l’indignazione in un rigetto ed in una rivolta corali.
Ancora: bisogna interrogarsi su come sia possibile che di fronte ad una sentenza della magistratura che conferma la provenienza mafiosa del capitale di rischio grazie al quale l’imprenditore Silvio Berlusconi costruì la propria fortuna, non susciti una reazione morale, prima ancora che politica, tale da mettere istantaneamente fine all’anomalia “bokassiana” che ingessa, come in un incantesimo, la vita civile dell’Italia, sprofondandola fra miasmi e veleni che ne stanno minando profondamente la tenuta democratica.
La risposta più immediata è che non esiste una via giudiziaria al riscatto democratico se, nel medesimo tempo, non entra in campo un soggetto, o una pluralità di soggetti, politici e sociali, capaci di organizzare e dare sbocco ad un’azione continua e risoluta, ad una lotta che non si risolva in una questua di corporazioni, o di lobbies, le une estranee e talvolta contrapposte alle altre, dove i più deboli fra i deboli saranno inesorabilmente destinati a soccombere.
C’è poi una risposta più remota, che racconta di come la deriva moderata ed incolore dell’opposizione parlamentare abbia nel corso degli anni sbiadito a tal punto il proprio carattere antagonistico e la propria alterità programmatica da perdere qualsiasi capacità di insediamento territoriale, di rappresentanza e di guida di un blocco sociale potenzialmente alternativo, per ridursi a vivere di pura improvvisazione. La diaspora a sinistra, come è noto, ha fatto il resto. E da quella perniciosa frantumazione non si è ancora trovato il modo di uscire. Eppure, dai magmatici e tuttavia sempre meno episodici sussulti sociali, c’è molto da raccogliere e da imparare. Senza indulgere a tentazioni populistiche e a scorciatoie leaderistiche che quando infettano la sinistra non lasciano traccia positiva, ma scorie tossiche da cui è faticosissimo liberarsi.Può darsi che il processo di autocombustione che sta logorando dall’interno la maggioranza arrivi al redde rationem e che il governo getti la spugna. In tal caso, essendo difficile che la soluzione di un esecutivo emergenziale sciaguratamente proposto dal Pd possa avere qualche chance, occorrerà prepararsi. A sinistra, voglio dire. Per non arrivare al prossimo appuntamento elettorale senza nulla avere pensato. O peggio, per replicare la triste messa in scena dei celeberrimi capponi di Renzo.



Dino Greco, direttore di Liberazione

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