Oggi pubblico l’editoriale che comparirà nel numero di giugno
di A rivista anarchica. un periodico nato nel 1971 e che è stato fra i
protagonisti della campagna per la liberazione di Pietro Valpreda.
La Federazione Anarchica Italiana
è stata fondata a Carrara appena finita la seconda guerra mondiale.
Centinaia di militanti anarchici, rispuntati dall’esilio, dalla
clandestinità, dal partigianato, alcuni dalle carceri, ecc. si
incontrarono nella città-simbolo dell’anarchismo di lingua italiana per
dar vita a quella che fu per un ventennio la “casa” della quasi totalità
degli anarchici di lingua italiana. Alcuni gruppi, alcune individualità
preferirono restarne fuori e questo non ha mai costituito un problema,
proprio per lo spirito libero e libertario che da sempre caratterizza
l’associazionismo degli anarchici. Poi dissensi proprio sulle modalità
organizzative, nuove sensibilità nate soprattutto a partire dal ’68 e
altri fenomeni hanno progressivamente portato la FAI ad essere una delle
componenti del movimento anarchico, seppure di sicuro la più longeva e
la più “grande”.
Tra l’altro la FAI gestisce il settimanale Umanità Nova che esce regolarmente dal 1945, ricollegandosi non solo in via ideale al quotidiano fondato da Errico Malatesta
nel febbraio 1920 a Milano e proseguito per quasi tre anni, fino
all’epoca della marcia su Roma (ottobre 1922). E ci piace ricordare che
anche durante il fascismo, clandestinamente o all’estero, qualche
numero di Umanità Nova non mancò di squarciare il totalitarismo.
La FAI per noi è questa: la Federazione Anarchica Italiana, con la quale da sempre abbiamo ottimi rapporti, evidenziati anche dal fatto che tra i nostri collaboratori più costanti e significativi alcuni siano militanti di quell’organizzazione: innanzitutto Massimo Ortalli, che per noi di fatto è un redattore di questa rivista. E poi Maria Matteo, Antonio Cardella e altri ancora.
Noi di “A” non siamo militanti della FAI.
Quando “A” nacque oltre 40 anni fa, la redazione era composta quasi
esclusivamente da militanti dei Gruppi Anarchici Federati,
un’organizzazione prevalentemente giovanile che poi si esaurì nella
seconda metà degli anni ’70. In quanto tale, però, la rivista non ha mai
fatto riferimento esclusivo a una “componente” dell’anarchismo
organizzato – in una tradizione di apertura che in Italia è
caratteristica prevalente delle varie testate, a partire proprio da Umanità Nova che pur essendo “della FAI” è sempre stata aperta.
Che se ne faccia parte o no, questa è la FAI, la nostra FAI.
Da qualche tempo ce n’è un’altra in giro, che vigliaccamente utilizza lo stesso acronimo, ma la cui ultima lettera sta per “informale” invece che “italiana”. Si tratta di un’operazione sporca, che sia opera di “compagni” o dei servizi segreti o di chi altro. Sporca, comunque. E’ grazie a questa scelta (provocatoria, si sarebbe detto in altri tempi) che in queste settimane i mass-media si permettono di ripetere che la FAI gambizza, la FAI ha imboccato la strada della lotta armata, la FAI… Senza nemmeno più il pudore o l’attenzione di dire la FAI informale.
Abbiamo seguito su “A” fin dall’inizio le gesta di questi informali, il loro uso della violenza, fisica e verbale.
Li abbiamo seguiti e li seguiamo con l’attenzione e la preoccupazione
che meritano, come ogniqualvolta si vuole confondere l’anarchismo con la
violenza, il terrorismo, la vendetta, ecc.. Abbiamo attraversato gli
anni ’70 e ’80, stimolando dibattiti, approfondendo, discutendo, ma
soprattutto marcando per quanto possibile il baratro che ci divide da
chi – in qualsiasi luogo, dal Potere ai movimenti – ritiene che violenza
e anarchia facciano rima. Non fanno rima. A meno di stravolgerne il
senso.
Come fanno gli informali con sigla FAI.
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