Alfonso Gianni, dirigente di
SEL, ha aderito a livello personale alla manifestazione promossa dalla
FdS. La sua partecipazione è il logico percorso di una analisi del
presente in Italia confrontandosi con quanto accade nel resto d'Europa.
«La situazione europea è in movimento
soprattutto a causa del dato elettorale francese. La vittoria di
Hollande è possibile, alla luce di quanto emerge ma sarebbe sbagliato
confrontarla in maniera semplicistica con quanto accade in Italia. In
Francia c'è un sistema elettorale diverso, e una tradizione diversa. C'è
stato scarso assenteismo. Le persone sono andate a votare perché la
separazione fra destra e sinistra è chiara su ogni tema che si affronta,
dal fiscal compact all'immigrazione, dal lavoro all'età pensionabile.
C'è una demarcazione netta fra una destra sfacciatamente liberista e una
sinistra che ha accenni di riformismo. Il dato francese ci indica che,
guardando il distacco limitato fra Sarkozy e la destra estrema da una
parte e le forze di sinistra dall'altra, la destra è numericamente
maggioritaria. Per fortuna il Front National tende a smarcarsi ma il
quadro complessivo non ci può far riposare sui guanciali. Buono ma non
travolgente il risultato di Melénchon che io in Francia avrei sostenuto.
Ma il suo contrappeso a sinistra è inferiore rispetto a quello della Le
Pen a destra e questo, in caso di disfacimento di Sarkozy può portare
ad una crescita della destra estrema e ad uno spostamento in senso
moderato di Hollande. Ma non c'è solo la Francia, sarà interessante
vedere cosa accade nei nuovi lander tedeschi in cui si vota».
E in Italia?
«I segnali che arrivano sono molto
negativi. Fra poche ore avremo i dati relativi al primo trimestre del
2012 ma già sappiamo di avere una disoccupazione intorno al 10% che sale
al 36% fra i giovani e che cresce fra le donne in una condizione di
recessione nuda e cruda. La costituzionalizzazione del pareggio di
bilancio è passata e il fiscal compact sono passati senza che il Pd sia
stato capace di fare alcuna opposizione. Se uno pensa poi alla
figuraccia anche di immagine della votazione di ieri in Senato dove il
partito più grande del centro sinistra non ha voluto difendere le
pensioni lasciando che lo facesse il Pdl. La maggioranza che sostiene
Monti non si è neanche accordata per una bozza di regolamento per il
finanziamento pubblico ai partiti, emerge l'incapacità totale a muoversi
con un po' di intelligenza. Per questo penso che serva una sinistra
senza aggettivi, capace di includere le diverse anime e le diverse
opzioni programmatiche, comunisti e post comunisti, socialisti scampati
al craxismo e movimenti delle battaglie ambientaliste. Un soggetto
capace di pesare nelle istituzioni. Da noi ci sono tentativi di farlo ma
finora senza risultato. SEL, a cui appartengo, manca di capacità
inclusiva, l'esperienza della Federazione non mi pare vincente, ho
guardato con interesse al nuovo soggetto proposto a Firenze ma mi pare
un atto di buona volontà senza la consistenza di una proposta politica
ideale. La nostra è una situazione molto arretrata».
Da cui è urgente uscire
«Si anche perché ci sono grandi
potenzialità. Questa è la più grande crisi del sistema capitalistico. In
Italia la situazione del 2012 rispetto all'inizio della crisi è
peggiore di quella in cui si viveva nel 1935 dopo la crisi del 29 e
bisogna trovare il modo per uscirne senza massacro sociale. Non dobbiamo
ad esempio pensare allo sviluppo ma ad una cambiamento di modello di
sviluppo in cui si capisca che se c'è una sovrapproduzioni di automobili
del 35% bisogna pensare ad un sistema integrato e diverso di mobilità
nelle città che tenga conto dell'ambiente e che si avvalga delle energie
rinnovabili. Dobbiamo investire nell'assetto idrogeologico del Paese e
nella cultura, vanno elaborate misure finanziarie e fiscali sulla base
di queste prospettive e vanno selezionate proposte che possono divenire
una ricetta per uscire dalla crisi. Questa è la base per produrre una
ricomposizione e io non sto ragionando di formule organizzative. Non
amo, per essere schietti, i modelli confederativi in cui per prendere
una decisioni si debbono riunire tutte le segreterie politiche.
Occorrerebbe la capacità di tenere insieme organizzazioni, movimenti e
istituzioni su un programma di cose che ci mettono assieme. Io ho scelto
di venire alla manifestazione del 12 maggio perché la inquadro come un
granello all'interno di un progetto che va in questa direzione».
Abbiamo scelto la piazza anche
quando, come in occasione dell'approvazione della modifica dell'art. 81
della costituzione, eravamo in pochi
«Accade anche perché manca una critica
della politica economica e una cultura politica. In piazza quel
pomeriggio eravamo pochi, molti non erano neanche informati della
gravità di quanto stava accadendo, altri non sapevano di cosa parlavamo.
Sembra a volte di essere tornati a periodi pre marxiani quando devi
spiegare cosa è lo Stato, cosa è il bilancio pubblico e cosa è la
proprietà privata. La sinistra radicale per troppi anni ha abbandonato
il terreno dell'economia gettandosi unicamente nel campo dei diritti per
paura di sembrare troppo economicista. La sinistra moderata ha
accettato come un mantra i dogmi della politica economica dominante
finendo con il posizionarsi più a destra di Tremonti".
Tornando allo stato della
sinistra in Italia, come risponderesti al militante o al simpatizzante
che non comprende le ragioni per cui in tanti affermiamo gli stessi
principi ma ci ritroviamo divisi?
«Molto dipende dall'autorappresentazione
dei ceti politici che si autonominano gruppo dirigente. Le differenze
non sono molte, non siamo così diversi dal non poter coesistere in uno
stesso soggetto ma manca la tensione politica e morale, e se mi consenti
anche la statura culturale, necessarie per governare le differenze. E
guarda che parlo partendo da me e dai limiti miei. Sembra che sia
inevitabile o frammentarsi in mille pezzi o riunirsi in strutture
confederative spesso paralizzate. Io resto convinto della necessità di
una unica formazione con procedure democratiche e trasparenti, in cui si
deve essere contemporaneamente egemonici ed inclusivi. Mi rendo anche
conto che i gruppi dirigenti nascono di fronte a grandi prove, se penso
al Partito Comunista non è che Pajetta e Amendola non avessero profonde
divergenze, sono stati uniti dalla guerra e dalla prigionia ma ci son
cose che maturano di istinto. Nella generazione successiva si sono già
frantumati. Ora siamo di fronte ad una prova immensa, una crisi mondiale
che durerà anche sui nostri figli e che ci colpisce carnalmente. Per
affrontarla è necessario un gruppo capace di implementarsi».
E anche una manifestazione come quella del 12 maggio può servire a dare un segnale in tal senso?
«Certamente perché possono sedimentare
un buon sentimento e un atteggiamento propositivo. Io mi auguro che
partecipi tanta e tanta gente perché la sua riuscita serve senz'altro
anche a rianimare e a dare senso al sentirsi insieme».
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