no, non sei un mafioso, tantomeno hai una mentalità da mafioso.
Ricordo ancora quando sul tuo blog pubblicasti, ormai qualche anno fa,
la lettera firmata da me e Salvatore Borsellino in cui attaccavamo
Mastella che avrebbe voluto omaggiare noi familiari delle vittime di
mafia del risarcimento scaturito dalla querela ai tuoi danni. Gli
avevi detto che nel 1992 i giudici si ammazzavano con le bombe e che
ora invece ci pensava direttamente il ministro della Giustizia. Sei
sempre stato attento ai fatti legati alla mafia, così come i meetup
legati a te, ultimo quello di Cesenatico, che non hanno mai smesso di
invitare me e tanti altri familiari delle vittime di mafia per darci la
possibilità di raccontare, di parlare dei nostri cari ammazzati per non
aver pagato il pizzo, per aver resistito, per essere rimasti in piedi
mentre tutto intorno era un pascolo di inginocchiati.
Ieri a Palermo sei stato superficiale ed insensibile, preda di un
raptus che ti ha convinto di poter dire davvero tutto senza rendere
conto a nessuno. Solo che non parlavi di Napolitano, di D’Alema, di
Veltroni o di Berlusconi. Parlavi di una tragedia, di una calamità che
ha distrutto tutto, tutto. Se avessi detto quelle cose (“La mafia non ha
mai strangolato il proprio cliente, la mafia prende il pizzo al 10%.
Qui siamo nella mafia che ha preso un’altra dimensione, strangola la
propria vittima”) in un’altra città probabilmente non sarebbe accaduto
nulla, ma non a Palermo, non nella città di Libero Grassi, non nella
città in cui ogni via ha un morto da ricordare. Grandi maestri della
satira sostengono che essa non può avere paletti e confini e che proprio
perché è satira e dunque fa quel che vuole. Ma noi, caro Beppe, siamo
siciliani con il cuore che gronda ancora sangue. Ha ragione Angela
Ogliastro, una ragazza forte e determinata, quando ti ricorda che a
Genova, nella tua Genova, tu non c’eri insieme a noi familiari. C’erano
quelli che tu “odi”, tipo Romano Prodi, in ultima fila, che certo non
cercava visibilità o altro. Tu no, forse perché non lo reputavi
interessante, forse perché la mafia, l’antimafia e le vittime ti
importano fino ad un certo punto non più dell’ambiente, non più delle
energie rinnovabili. Ma io a Genova ti aspettavo.
Tu Beppe tratti la mafia con molta superficialità, come se trattassi
di politica, di tangenti o di miserie umane. Ma mafia è sangue, buchi
nella carne, facce sfigurate, brandelli di carne, corpi pieni di piombo
tanto da pesare cinque chili in più. Noi abbiamo perso i nostri cari,
noi abbiamo smesso di vivere quando loro hanno smesso di respirare. Noi
non ridiamo Beppe, e non tolleriamo che sulla mafia si scherzi, forse
perché ancora non abbiamo superato, forse perché non supereremo mai.
Io non mi unisco al coro di quelli che vorrebbero crocifiggerti.
Molti di loro, parlo soprattutto dei politici (eccetto Claudio Fava, che
parla con cognizione di causa), hanno preso la palla al balzo per
cercare di tirare giù qualche 0,5 per cento dai sondaggi che danno il
Movimento 5 Stelle in grande avanzata. Ma non c’entrano i media di
regime, come li chiami tu e come li chiama il Movimento di Palermo per
cercare di parare il colpo: non è un complotto. Hai fatto un errore e io
da te voglio solo e soltanto una cosa: chiedi scusa a noi e ai nostri
cari, anche se abbiamo frainteso, anche se non abbiamo capito.
Ieri era il trentesimo anniversario dell’omicidio di Pio La Torre e
del suo fidato collaboratore e amico Rosario Di Salvo. Pio La Torre è la
dimostrazione che la mafia strangola tutti quelli che intralciano il
suo cammino, che siano famosi politici con un cuore grande o che siano
manovali impolverati ma con la schiena dritta. La Torre è stato quello
che, forse ancora più di Falcone e Borsellino, ha terrorizzato cosa
nostra e i colletti bianchi collusi con la sua intuizione sul reato di
associazione mafiosa e sull’attacco ai beni mafiosi. Oggi, caro Beppe, è
il giorno giusto per scusarti con tutti. Non è debolezza ma è umanità.
Sono certo che non mi deluderai e non deluderai tutti quelli che si
aspettano una tua parola, chiara e netta, che nobilita chi la pronuncia e
allevia le pene di chi la riceve.
Benny Calasanzio Borsellino
Nipote di Giuseppe e Paolo Borsellino, imprenditori vittime innocenti della mafia, uccisi 20 anni fa a Lucca Sicula.
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