Le elezioni amministrative italiane, in
contemporanea a molte scadenze europee che hanno avuto sostanzialmente
lo stesso segno, rivelano soprattutto una cosa: lo spappolamento della
rappresentanza politica “classica”.
Intendiamo dire quel modo di organizzare il consenso
instauratosi dopo “Tangentopoli”, tra partiti “leggeri”, raggruppamenti
etnico-localisti, speculatori identitari. Tutti accomunati da un
leaderismo esasperato, quasi sempre estremizzato come “partito
personale” (Berlusconi, Bossi, Vendola, Di Pietro, Casini, Fini).
L'esplosione della crisi economica e soprattutto le scelte politiche per affrontarla – sostanzialmente avocate a una governance continentale
elettoralmente irresponsabile – hanno raso al suolo le forze che hanno
dato aperto sostegno al governo Monti.
Di particolare evidenza il
fallimento dei centristi: nemmeno la distruzione simultanea dei
berlusconiani e della lega li ha fatti emergere dal quasi nulla che
hanno rappresentato finora. Il Pd, dal canto suo, aveva già fallito
nella scelta dei candidati e le urne hanno confermato la sentenza.
Clamoroso il caso di Palermo, dove neppure l'alleanza con Vendola ha
permesso a Ferrandelli di arrivare a un misero 20%. Resta l'unico
partito non personale in piedi, forse più per debolezza altrui che per
forza di convincimento propria.
Ma lo spappolamento è totale perché non
emerge nessuna alternativa chiara, nessuna “nuova offerta politica”.
Diciamolo così; nessuna idea su come affrontare la crisi in modo
abbastanza realistico da risultare convincente. Non “socialista”, solo
appena convincente.
Il “fenomeno Grillo” è un altro puro
orrore mediatico, un impasto di parole risentite che scaldano il cuore e
offuscano la mente di chi è già abbastanza offuscato di suo e cerca una
soluzione alla propria altezza per problemi enormi. Soluzioni
“semplici” e semplificate al massimo. Ovvero cose che non esistono in
tempi di crisi globale. Pensare di arrivare in Parlamento cavalcando
l'odio per i politici ladri è naturalmente una genialata all'italiana
piuttosto classica – l'aveva già fatto Bossi, e a suo modo anche
Berlusconi – che funziona finché nel Palazzo non ci sei entrato. Poi
bisogna aver programmi, cultura, competenze d'alto livello nei settori
strategici. Altrimenti sei solo una formazione di scappati di casa che
vengono immediatamente fagocitati dalle lobby che stazionano intorno a
Montecitorio. Chiedere a Bossi e allo stesso Di Pietro per
assicurarsene.
Il “fenomeno astensione” è il contraltare
necessario del leaderismo mugugnante. Tutto il malessere o il rifiuto
che non può tradursi in voto convinto o “di prova” resta a guardare gli
eventi, non vede “rappresentanza”. È un fenomeno interclassista,
reazione di chiusura, non un avanzamento della “coscienza antagonista”.
Non siamo negli anni '70, quando l'astensionismo poteva in parte esser
letto come rifiuto del parlamentarismo e appoggio silenzioso ai
movimenti rivoluzionari che non partecipavano al gioco. Per il buon
motivo che oggi non c'è alcuna “alternativa rivoluzionaria” che sia
anche nota alle masse. Quindi, non c'è e basta.
Un quadro spappolato è un problema e un'occasione. Per tutti.
Se ne preoccupano improvvisamente anche i
consigliori del “governo tecnico”, con editoriali tutti a metà strada
tra l'addebitare la sola crisi ai “partiti” salvando un presunto
consenso al governo e il minacciare preventivamente i membri dell'ABC
dal rifiutare la tentazione di cavalcare l'aperto rifiuto delle
politiche governative che questo voto – in modo confuso – mette in luce.
Invito rivolto soprattutto a destra, visto che Pd e Casini non sanno
che altro fare, se non appoggiare Monti. Vendola scalpitava prima del
voto, ma le percentuali – tranne Genova e qualche altro posto minore -
non lo differenziano molto dal livello della Federazione della Sinistra.
Anche il suo momento, insomma, è finito.
Paradossalmente, “i mercati” si sono
immediatamente resi conto che Hollande e la sinistra moderata francese
erano perfetti per l'equilibrio del sistema. Si è infatti dimostrata la
necessità di avere un canalizzatore “controllato” del malessere sociale.
Altrimenti c'è l'ingovernabilità greca o italiana.
Gli spazi politici si fanno immensi.
Tanto per la destra più pericolosa che per i comunisti. Come in Grecia,
insomma, ma con un Pd che grazie a Sel e Idv riesce ancora a contenere
l'”antipolitica” di sinistra dentro i limiti del gestibile.
È però tempo di uscire dalle ridotte in
cui ognuno si era rinchiuso e riprendere parola tra la gente, nei
quartieri, sui posti di lavoro, nelle piazze. Il movimento No Debito è
l'occasione per farlo. Non l'unica, ovviamente. Ma quella che ha già
dato prova pratica di poter raccogliere le molte e sacrosante ragioni
della protesta popolare.
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