Alle elezioni con un disegno comune
di Luca Nivarra
L’assemblea del “nuovo soggetto politico” svoltasi il 28 aprile scorso
a Firenze si presta ad un bilancio decisamente positivo. Oltre al nome –
Alba – impartito a maggioranza dai presenti; oltre alla partecipazione –
molto nutrita tenuto conto anche del clima generale di disaffezione nei
confronti della politica – ci sono vari elementi che lasciano ben
sperare e che sarebbe sciocco non cogliere. Procediamo per ordine,
segnalando, in primo luogo, l’assenza di un leader e il carattere
decisamente collettivo di un’elaborazione ancora abbozzata ma, appunto,
davvero plurale e non calata dall’alto. Certo, prima o poi bisognerà
affrontare il problema dell’organizzazione: ma se le premesse sono
quelle di Firenze, per la prima volta da molto tempo a questa parte
potrebbe affacciarsi sulla scena una forma politica a struttura non
proprietaria ma che, viceversa, in perfetta sintonia con il suo
retroterra culturale, incarni e rappresenti l’idea stessa di un bene
comune.
Sul piano dei contenuti, il dibattito e le due mozioni presentate (la prima contro la riforma dell’art. 81 e l’introduzione del cosiddetto pareggio di bilancio, la seconda contro la riforma del mercato del lavoro, entrambe perseguite dal governo dei padroni e sostenute dal Pd) non lasciano più spazio a dubbi, a meno che non si voglia coltivare la nobile arte del dubbio metodico, che, però, applicata alla politica, è del tutta inappropriata e potrebbe rivelarsi assai meno nobile. Alba si disloca, con grande chiarezza, in un’area antiliberista ed anticapitalista: non è la riedizione dei girotondi, non è la versione meno paludata di “Libertà e Giustizia” et similia, nutre una profonda avversione per il berlusconismo ma, a differenza del Pd(R) (Partito di Repubblica), vede nel berlusconismo, ieri, e nel montismo, oggi, le epifanie della stessa essenza, violenta, sovversiva dell’ordine costituzionale e totalmente asservita al capitale finanziario. E se un merito il governo Monti ce l’ha, è proprio quello di aver fatto cadere il velo di Maja (o di Ruby) dietro al quale il Pd(R) celava la sua finta opposizione a Berlusconi e la sua adesione alle politiche liberiste tradottesi nell’attacco al Ccnl, nella riforma Gelmini, nella privatizzazione dei servizi pubblici. Oggi, a nessuno è consentito di non vedere quale sia la vera natura del Pd, il suo essere un convinto e tenace fautore di quelle stesse politiche, alle quali Alba vuole contrapporsi frontalmente: ed è da questo dato, inoppugnabile, che bisogna ripartire anche in vista delle politiche del 2013.
Ultima questione. Appunto, le politiche del 2013 e, più in generale, il rapporto con il circuito istituzionale. Come emerge chiaramente dal documento programmatico, Alba immagina una strategia di rafforzamento della democrazia rappresentativa con pratiche nuove e, in larga misura, da sperimentare, di democrazia partecipata: e, tuttavia, per ciò stesso, considera l’ingresso nelle istituzioni della democrazia borghese, per quanto agonizzanti, un’opzione tattica non rinunciabile. Si può dissentire da una scelta del genere, ma, a mio avviso, vi sono alcune buone ragioni che la sostengono, la prima delle quali è quella di offrire, dalla sponda del Parlamento, un riferimento politico, simbolico, mediatico e finanziario alle soggettività antagoniste che si muovono nel sociale: altrimenti il rischio è che si ripeta quello che è già accaduto con il referendum, cancellato nell’indifferenza generale. Se questo è vero, però, e se è vero quello che si diceva prima a proposito del Pd, è evidente che, per Alba, la partecipazione alle elezioni ha un senso soltanto se l’obiettivo è quello di avviare un processo di riaggregazione a sinistra, proponendosi come spazio all’interno del quale le varie identità, a cui tutti sembrano così pervicacemente e autolesionisticamente avvinghiati, possono provare a coesistere contribuendo ad un disegno comune – la creazione di una massa critica oltre il Pd, senza della quale non si va da nessuna parte – autoconservandosi sino al momento, speriamo non troppo lontano, in cui saranno finalmente maturate le condizioni per la nascita di un nuovo soggetto politico. Insomma, una sorta di holding dell’antagonismo e del conflitto, che dovrà presentarsi alle elezioni come un novello Cln, per citare Mattei, o Fronte di liberazione popolare, il cui compito specifico sarà quello d occupare il segmento “istituzionale” del terreno di scontro, in quanto ancora praticabile.
Personalmente credo che ci sia spazio per tutti (singoli, soggetti collettivi, movimenti) coloro che hanno come obiettivo quello di avviare un processo costituente di segno eguale e contrario a quello di impronta liberista: e, del resto, è ormai chiaro che le cucine del convento novecentesco, salvo qualche spruzzatina di leadership carismatica in salsa ruspante, non sono più in grado di sfornare nulla, e certamente nulla di commestibile.
Sul piano dei contenuti, il dibattito e le due mozioni presentate (la prima contro la riforma dell’art. 81 e l’introduzione del cosiddetto pareggio di bilancio, la seconda contro la riforma del mercato del lavoro, entrambe perseguite dal governo dei padroni e sostenute dal Pd) non lasciano più spazio a dubbi, a meno che non si voglia coltivare la nobile arte del dubbio metodico, che, però, applicata alla politica, è del tutta inappropriata e potrebbe rivelarsi assai meno nobile. Alba si disloca, con grande chiarezza, in un’area antiliberista ed anticapitalista: non è la riedizione dei girotondi, non è la versione meno paludata di “Libertà e Giustizia” et similia, nutre una profonda avversione per il berlusconismo ma, a differenza del Pd(R) (Partito di Repubblica), vede nel berlusconismo, ieri, e nel montismo, oggi, le epifanie della stessa essenza, violenta, sovversiva dell’ordine costituzionale e totalmente asservita al capitale finanziario. E se un merito il governo Monti ce l’ha, è proprio quello di aver fatto cadere il velo di Maja (o di Ruby) dietro al quale il Pd(R) celava la sua finta opposizione a Berlusconi e la sua adesione alle politiche liberiste tradottesi nell’attacco al Ccnl, nella riforma Gelmini, nella privatizzazione dei servizi pubblici. Oggi, a nessuno è consentito di non vedere quale sia la vera natura del Pd, il suo essere un convinto e tenace fautore di quelle stesse politiche, alle quali Alba vuole contrapporsi frontalmente: ed è da questo dato, inoppugnabile, che bisogna ripartire anche in vista delle politiche del 2013.
Ultima questione. Appunto, le politiche del 2013 e, più in generale, il rapporto con il circuito istituzionale. Come emerge chiaramente dal documento programmatico, Alba immagina una strategia di rafforzamento della democrazia rappresentativa con pratiche nuove e, in larga misura, da sperimentare, di democrazia partecipata: e, tuttavia, per ciò stesso, considera l’ingresso nelle istituzioni della democrazia borghese, per quanto agonizzanti, un’opzione tattica non rinunciabile. Si può dissentire da una scelta del genere, ma, a mio avviso, vi sono alcune buone ragioni che la sostengono, la prima delle quali è quella di offrire, dalla sponda del Parlamento, un riferimento politico, simbolico, mediatico e finanziario alle soggettività antagoniste che si muovono nel sociale: altrimenti il rischio è che si ripeta quello che è già accaduto con il referendum, cancellato nell’indifferenza generale. Se questo è vero, però, e se è vero quello che si diceva prima a proposito del Pd, è evidente che, per Alba, la partecipazione alle elezioni ha un senso soltanto se l’obiettivo è quello di avviare un processo di riaggregazione a sinistra, proponendosi come spazio all’interno del quale le varie identità, a cui tutti sembrano così pervicacemente e autolesionisticamente avvinghiati, possono provare a coesistere contribuendo ad un disegno comune – la creazione di una massa critica oltre il Pd, senza della quale non si va da nessuna parte – autoconservandosi sino al momento, speriamo non troppo lontano, in cui saranno finalmente maturate le condizioni per la nascita di un nuovo soggetto politico. Insomma, una sorta di holding dell’antagonismo e del conflitto, che dovrà presentarsi alle elezioni come un novello Cln, per citare Mattei, o Fronte di liberazione popolare, il cui compito specifico sarà quello d occupare il segmento “istituzionale” del terreno di scontro, in quanto ancora praticabile.
Personalmente credo che ci sia spazio per tutti (singoli, soggetti collettivi, movimenti) coloro che hanno come obiettivo quello di avviare un processo costituente di segno eguale e contrario a quello di impronta liberista: e, del resto, è ormai chiaro che le cucine del convento novecentesco, salvo qualche spruzzatina di leadership carismatica in salsa ruspante, non sono più in grado di sfornare nulla, e certamente nulla di commestibile.
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