Ho dovuto rileggere ben due volte la lettera
firmata da Don Julián Carrón, presidente di Comunione e Liberazione,
pubblicata ieri, a pagina 11 – con un richiamo in prima, taglio basso –
su la Repubblica.
Due volte, perché la prima è servita a decodificare il famoso lessico
ciellino: se non sei uno di loro è difficile orientarsi tra un
“carisma” e una “sequela”; ma se poi pretendi anche di leggere tra le
righe, allora devi spenderci un po’ di tempo.
Sì, perché la Fraternità risulta assai poco fraterna con chi sta
fuori (ma questa non è una novità), tanto che occorrerebbe un piccolo
dizionario dei sinonimi e dei contrari, confezionato apposta per chi non
è, per l’appunto, “alla sequela di don Giussani” (il fondatore del
movimento e candidato alla canonizzazione).
Dunque, accade che una lettera dal titolo – Il dolore di Carron: “Chi ha sbagliato umilia il movimento”
– contenga una vera e propria omelia con una ventina di richiami a don
Giussani e Gesù Cristo, e in cui la Costituzione (dunque, la legge) sia
citata una sola volta – tenetevi forte – per sottolineare come le
notizie diffuse sul presidente della Regione Lombardia (mai citato nel
pezzo) siano circolate in violazione delle garanzie previste nella legge
fondamentale.
Una lettera, in cui gli abusi di potere – alcuni già dimostrati,
molti altri su cui ancora si indaga – perpetrati da uomini di Cl, tutti
messi nei posti chiave del potere lombardo e non solo, sono definiti
semplici “pretesti” (“Se il movimento di Comunione e Liberazione è
identificato con l’attrattiva del potere, dei soldi […] qualche pretesto
dobbiamo averlo dato”), che in italiano – non saprei in “ciellese” –
significa “ragione falsa che si adduce per mascherare i veri motivi di
un’azione”, insomma, un appiglio utilizzato per sferrare un attacco
motivato da altre ragioni. Quali? Non è dato saperlo a noi che non siamo
alla sequela di don Gius: mica chi parla dai pulpiti, a pochi
illuminati, si pone il problema di fare un ragionamento di senso
compiuto per “chi è al buio”!
Già, perché io che non sono né atea, né agnostica, e che potrei
definirmi credente – dunque, per nulla digiuna della Parola – mi sento
veramente arrabbiata per il fatto di aver messo nelle mani di questa
gente, il destino di parole come “etica pubblica” e “bene comune”.
Non so voi, ma io della predica di don Carron, con tutto il dovuto
rispetto, non so cosa farmene e la accetterei solo se la leggessi su un
bollettino parrocchiale o sui giornali del movimento, non su un
quotidiano laico.
Perché il perdono invocato dal capo della Fraternità – “Chiediamo
perdono se abbiamo arrecato danno alla memoria di don Giussani con la
nostra superficialità e mancanza di sequela” – è un perdono privo di
senso per noi comuni cittadini: il danno inferto dagli uomini di Cl non è
certamente alla memoria del loro fondatore, né al “corpo” del
movimento, di cui siamo autorizzati a non importarcene nulla, ma alla
comunità civile; e il danno che ci deve stare a cuore è quello della
violazione delle regole preposte a tutela del bene comune (e non di
quello della Compagnia delle Opere).
Alla fine, non poteva mancare la sbrigativa assoluzione, pronunciata
non si sa sulla base di quali elementi, di diritto e di fatto:
nonostante i “pretesti” dati, “Cl è estranea a qualunque malversazione e
non ha mai dato vita a un sistema di potere”: d’altronde, avete mai
letto un oroscopo razionale?
Oggi, sul quotidiano online della Compagnia delle Opere, ilsussidiario.net il Ds Luciano Violante, ex magistrato e già presidente della Camera dei deputati, commenta
la lettera di Carron con queste parole: “Don Julián Carrón svolge una
profonda riflessione sugli effetti dell’abuso del potere politico”.
Io ho perso le speranze. Voi?
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