giovedì 10 maggio 2012

GRIDIAMOGLIELO IN PIAZZA! Il 12 Maggio noi ci saremo.

12maggiopiazza

Barbara Pettine-FIOM. Il 12 maggio sarò in piazza

Intervista di Linda Santilli
Barbara Pettine, sindacalista e femminista, promotrice convinta della rete delle donne Fiom, 35 anni di lotte con le metalmeccaniche, è tra le firmatarie dell’appello per la manifestazione del 12 maggio e ci spiega le sue ragioni.
Siamo di fronte allo stravolgimento della nostra democrazia. Stanno passando leggi inimmaginabili fino a qualche anno fa. La riforma delle pensioni, la riforma del mercato del lavoro, lo scippo dell’articolo 18 sono misure abnormi che interverranno a modificare profondamente le condizioni di vita e di lavoro di donne e uomini. Scendere in piazza contro questo governo è obbligatorio …

Dagli ultimi dati sulla disoccupazione giovanile cresciuta in pochi mesi del 5% gli effetti di queste manovre stanno già dando i loro frutti velenosi…
Attenzione, i frutti velenosi di cui parli sono semmai l’effetto della legge Sacconi del 2010, cioè la legge che ritardava l’accesso alla pensione di 12 mesi.  Gli effetti delle attuali manovre purtroppo devono ancora arrivare, e saranno disastrosi per tutti, giovani, meno giovani, lavoratori, precari, ma soprattutto per le donne.
Solitamente il punto di vista di genere viene tralasciato come se fosse irrilevante...
Non è irrilevante, è importantissimo perché queste leggi avranno comunque ricadute differenti su donne e uomini. Sulle donne l’accanimento è maggiore. Ed è maggiore all’interno di un contesto generale di diseguaglianze già esistenti molto acute, come d’altra parte è stato più volte denunciato dall’ Unione Europea.  Tanto per cominciare l’Italia ha il record di inoccupate,   cioè di quante sono fuori dal mercato del lavoro e basta,  sono quelle che  comunemente  vengono chiamate casalinghe e che  troppo spesso non lo sono  per scelta ma solo perchè nel mercato del lavoro ufficiale per loro non c'è posto. Molte specialmente al sud  ripiegano  su “lavoretti” sottopagati e completamente al nero, per sbarcare il lunario e aiutare la famiglia. Ebbene nel nostro paese le inoccupate sono più delle occupate. Ci supera solo Cipro! E’ una voragine destinata a crescere se non si ha il coraggio di intervenire adeguatamente. Una voragine che richiederebbe interventi mirati e seri, invece questo governo pensa bene di alimentarla ulteriormente
Eppure la ministra Fornero si vanta di aver inserito nel DDL sul lavoro importanti misure a favore delle donne
Sono misure inutili. Oramai lo sappiamo che incentivare le imprese con i soldi pubblici non basta. Per abbattere le diseguaglianze, o almeno provarci, bisogna modificare le regole di mercato come la storia ci insegna. Bisogna introdurre misure drastiche. Questa legge prevede incentivi per alcune categorie di soggetti cosiddetti svantaggiati  tra cui sono comprese  le donne,  senza vincolare l’azienda a stabilizzare chi lavora,  ad assumere a tempo indeterminato, che è quello che servirebbe per dare un segnale di inversione di tendenza , di investimento sulla qualità del lavoro. Invece per  i primi 12 mesi si concedono incentivi per il lavoro “purchè sia”, che in pratica  può  essere anche  lavoro precario e senza tutele,  senza alcun vincolo di qualità. Non è ciò di cui il paese ha bisogno in questo momento tremendo di crisi. Non è ciò che vogliono le donne che sono le più inoccupate, le più disoccupate, le più precarie, le più povere, e paradossalmente sono le più scolarizzate. Uno scandalo.
E sulla riforma pensionistica che cosa pensi? Anche qui c’è un accanimento contro le donne? Un versante femminile che sfugge?
La riforma sulle pensioni potremmo considerarla la legge simbolo emanata da un governo misogino come questo. L’aumento dell’età pensionabile alle donne è una vergogna in sé perché nasce sull’oscuramento del doppio lavoro femminile, quello di produzione e di riproduzione. Non dimentichiamo che il lavoro di cura, in Italia più che altrove,  ricade sulle donne , ed è lavoro non retribuito e non riconosciuto che va a supplire alla carenza crescente di welfare. Non dimentichiamo nemmeno  che a causa di questo doppio  lavoro le donne hanno un percorso contributivo più lacunoso rispetto a quello degli uomini, fatto di interruzioni, oppure di part time. I dati dimostrano che con la nascita di un figlio è facile perdere la propria occupazione ed è difficilissimo rientrare nel mondo del mercato del lavoro. Se in Italia fai un figlio vieni penalizzata mentre in Francia, tanto per fare un esempio, alle madri vengono riconosciuti sempre e comunque 2 anni di contributi ai fini pensionistici per ogni figlio…  Qui invece le cose vanno in direzione opposta ed ora, con il passaggio al sistema contributivo puro,  le donne rischiano di andare in pensione a 70 anni.
Ma la riforma non prevede che si vada in pensione a 65 anni?
Sì,  la riforma prevede che tu vada in pensione a 65 anni, ma con almeno 20 anni pieni di contributi versati. Se non hai questo ultimo requisito, ed è facile che le donne non lo abbiano, non percepirai nessun trattamento fino a 70 anni, questo ha stabilito il governo Monti, purtroppo attraverso l'operato di una donna, la Ministra Fornero, che nelle sue azioni non si è dimostrata certo “ amica delle donne”, attenta alle loro esigenze e problematiche.
Praticamente è una riforma che serve per fare cassa…
Proprio così. Scaricando sulla generazione delle 55/60 enni tutto il peso del risanamento dei conti pubblici e obbligando le donne a lavorare 5/10 anni in più in un momento in cui oltretutto la recessione produttiva crea disoccupazione e gli ammortizzatori sociali vengono ridotti al lumicino. Non si può lavorare in una fabbrica metalmeccanica fino a 67/70 anni! La fatica è troppa, anche i padroni lo sanno. Perciò vogliono eliminare l’intralcio dell’articolo 18, per avere mano libera sui licenziamenti. Insomma questa riforma non supera affatto il precariato anzi lo potenzia lasciando in vita perfino il lavoro a chiamata, permettendo perfino un abuso del lavoro interinale.  E pagare il prezzo più alto ovviamente sono i soggetti più ricattabili, quindi le donne.
Nel pacchetto del doppio sistema riformato il governo sbandiera come proprio fiore all’occhiello il capitolo contro le dimissioni in bianco, sui congedi di paternità e quello che riguarda l’introduzione del cosiddetto Voucher  per baby sitter.  Ci aiuti a capire un po’ più da vicino queste novità?  
Quanto viene previsto è, a mio avviso,  un arretramento  rispetto al passato. Fornero mette mano alla passata legge sulle dimissioni in bianco complicando e indebolendo la procedura, rischiando di sottoporre, infine,  la donna   ad un duplice ricatto e inoltre, a dirla tutta,  il rischio vero è che  con lo snaturamento dell'art.18  l’azienda sarà praticamente libera di licenziare senza giusta causa pagando una piccola penale in sede di collegio di conciliazione.
Sui congedi di paternità vengono previsti soli 3 giorni, quando la normativa europea ne indica  15. Oltretutto è una norma molto  pasticciata  che propone che 2 di questi giorni vengano   presi dal padre obbligatoriamente in alternativa alla madre che, essendo in  quel periodo (i primi 5 mesi dopo la nascita) per la più in  congedo obbligatorio come si suppone che sia, dovrebbe rinunciare a questi 2 giorni per permettere al padre di usufruirne.  Una assurdità.
Inutile sottolineare che nulla viene previsto per estendere il congedo di maternità a tutte, indipendentemente dalla collocazione lavorativa di ciascuna.
Ma la ciliegina sulla torta è il voucher. Si tratta di un provvedimento che monetizza il diritto al congedo parentale nel primo anno di vita del bambino. Le donne dovrebbero tornare a lavorare dopo il parto ed ottenere in cambio un incentivo economico per pagare un servizio privato, senza nessuna garanzia di standars di qualità educativa. Oltretutto l’erogazione del contributo viene subordinata al reddito familiare (ISEE) e non al reddito della madre. Insomma non si tratta di un diritto individuale come lo è il congedo. E’ evidente che questa norma rappresenta un arretramento rispetto alle conquiste dei diritti femminili. Il messaggio è chiaro: le donne devono rinunciare al congedo e tornare a lavorare prima possibile, in barba alla legge 53 del 2000 sulla conciliazione emanata sul filo delle normative europee. Si regredisce su tutti i fronti e lo Stato si deresponsabilizza rispetto ai servizi per l’infanzia. Poi non chiediamoci  perché le donne italiane hanno smesso di fare figli.
E quali sono le vostre proposte?
Sarebbe necessaria un’altra modifica ai sistemi dei congedi,  che abbiamo  messo in evidenza già nell’assemblea delle donne Fiom dello scorso anno: consentire che i congedi parentali possano essere presi anche a gruppi di 4 ore in modo da permettere per questa via la realizzazione di part time per la cura  con retribuzione maggiorata (30% per le ore di non lavoro), modifica che non comporterebbe maggiori esborsi  dalle casse dell’Inps ma che faciliterebbe molte più donne ad avvalersene,  e anche molti uomini.
A questo si potrebbe aggiungere magari una defiscalizzazione al 10% dell’indennità percepita durante i congedi in modo da incentivarne l’uso per madri e padri.
Queste due misure sì che rapprenderebbero un vero  incentivo alla condivisione delle responsabilità tra madri e padri, ma anche una reale agevolazione del bilanciamento tra lavoro di cura e lavoro produttivo  di cui tutte le politiche lavorative dei paesi sviluppati hanno necessità se vogliono  superare la discriminazione e segregazione del lavoro femminile.
Prima che  il DDL Lavoro  diventi legge, è possibile impedire che questo disastro sociale venga compiuto?  
Dobbiamo impedirlo. Ed è’ importante far sentire forte nel dibattito generale l’opposizione e la contrarietà delle donne
Opposizione che però sulla riforma delle pensioni non c’è stata fino in fondo, o sbaglio?
La riforma delle pensioni è passata sia senza una vera strategia oppositiva della CGIL, sia nel sostanziale silenzio del movimento delle donne. Penso che il voto unanime del PD abbia condizionato anche movimenti come SNOQ, che nel proclamare la manifestazione dello scorso 11 dicembre ha voluto mantenere una posizione neutrale sul tema provocando lo scontento di moltissime di noi. Le donne nei posti di lavoro e nelle fabbriche sono arrabbiatissime e chiedono che si faccia qualcosa per impedire il massacro che la legge ha posto in essere con la doppia manovra di aumentare l’età di vecchiaia e di cancellare la pensione di anzianità
E voi come donne Fiom come vi state organizzando?
Siamo in lotta dal 2009. Già nello sciopero generale del 13 febbraio di 3 anni fa fatto con la funzione pubblica facemmo un appello congiunto con le donne di quella categoria per opporci all’innalzamento dell’età pensionabile e quando il governo Berlusconi,  strumentalizzando la sentenza della Corte di Strasburgo, aumentò l’età di pensione per le dipendenti pubbliche, fummo le prime a denunciare che quello non era che il primo passo per aumentarla a tutte. C’è voluta la ministra Fornero per portare a compimento la peggiore riforma pensionistica di tutta Europa contro le donne!
Non abbiamo mai smesso di opporci e contro la finanziaria di Monti e la riforma Fornero.  Abbiamo messo in campo quelle iniziative di sciopero nell’autunno scorso che hanno portato alla proclamazione dello sciopero generale. Tuttavia come metal meccaniche dobbiamo potenziare la nostra capacità di costruire reti di donne sia nel sindacato sia nel movimento per dare visibilità e parola pubblica alla sofferenza, alla disperazione che questa riforma sta creando dentro le nostre fabbriche e non solo.

 

Ugo Mattei, il 12 maggio sarò in piazza"

Intervista di Stefano Galieni
Ugo Mattei, oltre che essere un giurista è fra le figure intellettuali che più sta avanzando proposte in questa fase politica. È stato fra gli animatori principali dell’assemblea che si è tenuta il 28 aprile scorso a Firenze per la nascita di un nuovo soggetto politico. La proposta dell’ALBA (Alleanza per il Lavoro i Beni comuni e l’Ambiente) si incrocia positivamente con la manifestazione indetta il 12 maggio a Roma dalla FdS.

«Oggi tutta quella che è l’opposizione totale al governo  Monti deve dialogare.  Il governo è ormai in una fase non solo materiale, si sta intervenendo sulla Costituzione del 1948 con revisioni formali come quella sull’articolo 81 (pareggio di bilancio). Quella che è in atto  è una “ricostituzionalizzazione” del Paese e del suo ordine democratico proprio durante una gravissima crisi di rappresentanza. La maggioranza parlamentare attuale non corrisponde al Paese e impedisce anche l’utilizzo dell’articolo 138 con un referendum confermativo. Col primo documento dell’assemblea di Alba assumiamo una posizione forte rispetto all’articolo 81, una riforma fatta di nascosto dimostrando di fatto una condizione di emergenza democratica. Di fronte a questo, ogni cosa che si riesce a mettere in campo in termini di opposizione politica è importantissimo rende più consapevole l’esistenza stessa di una opposizione rispetto a temi come il lavoro, i beni comuni, l’ambiente, la stessa qualità della vita. Si tratta di fare una scelta di campo e in tal senso Alba e la manifestazione del 12 hanno un legame fortissimo».
Il fatto che la mobilitazione del 12 sia convocata da una forza politica come viene vissuto?
«Adesso c’è una tale liquefazione della soggettività politica dei partiti che diventa irrilevante chi convoca. Dobbiamo invece ridarci una organizzazione con una soggettività ampia e diversa dallo stato borghese. La forma partito, per come la conosciamo è necessariamente verticistica piramidale ed è funzionale alla rappresentanza politica dello Stato e nello Stato. Ma se questo sta morendo sotto i colpi della finanziarizzazione e della globalizzazione diventa necessario riformarsi. Fa onore a chi ha convocato la manifestazione perché dimostra di aver compiuto una scelta di campo. I partiti a mio avviso debbono partecipare ma senza imporre un ruolo egemonico. L’ esempio è quello dei referendum sull’acqua, non sarebbe stato possibile vincerli caratterizzandoli con bandiere di partito. I partiti debbono esserci ma contemporaneamente restando un passo indietro per realizzare battaglie di popolo da riprodurre su vasta ricostruendo un tipo diverso di rapporto fra partiti e movimenti».
Bisogna però che manifestazioni, assemblee e referendum non restino episodi ma assumano una continuità
«Noi siamo molto avanti. Ero a Milano all’occupazione del palazzo Macao di Ligresti, migliaia di persone in un conflitto per considerare la cultura come bene comune. Ad una serata per il “Manifesto” ho incontrato tanti compagni desiderosi di contribuire alla salvezza di un quotidiano così importante. Al meeting regionale diAlba in Piemonte c’erano almeno 150 persone, non quadri o il solito ceto politico ma cittadini desiderosi di partecipare. Di fronte alla stretta del capitale la sola risposta possibile è nella riorganizzazione costituente del popolo in opposizione. Non passa settimana che non ci sia un episodio che chiaramente mostra la capacità di essere alternativo a questo governo. Questo ci responsabilizza per andare verso una soggettività politica più ampia».
Alle elezioni amministrative c’è stato un proliferare di liste civiche con l’appellativo “bene comune” cosa ne pensi?
«Il bene comune è una chiave di lettura teorica che ha consentito di mettere in comunicazione prassi di lotta che erano altrimenti isolate. La migliore azione civile e  politica che credo di aver compiuto ultimamente è stata quella di contribuire ad aprire un dialogo fra il Teatro Valle Occupato e gli abitanti della Val di Susa. C’è un nesso forte fra la mercificazione della cultura e un treno che devasta il territorio. C’è identificazione intorno ad una categoria nuova e mobilitante che cerca di rompere la tenaglia fra lo Stato e la proprietà privata, capace di opporsi al processo che produce solo ricchezza in mano a pochi. Ma la categoria “bene comune” rischia di essere inflazionata e utilizzata in maniera inaccettabile. A me lascia interdetto vedere Pierluigi Bersani parlare da un palco con la scritta “beni comuni”. Il Pd ha partecipato a tutte le nefandezze per distruggere questo concetto e da veramente fastidio vederlo sbandierato da loro. Si rischia insomma una ambiguità anche se i beni comuni possono essere un grimaldello efficace che certamente va integrato con i temi del lavoro e dell’ambiente. Ma anche questo non basta, evidentemente c’è anche una crisi del linguaggio. Per caratterizzarsi dobbiamo definire una direzione precisa e una prassi molto radicale fatta di azioni dirette e radicali di cui non potrà appropriarsi Bersani».
Le forze presenti in parlamento, definiscono tutto ciò che si muove fuori dai propri schemi sotto la categoria dell’antipolitica. Una definizione usata per Grillo per i movimenti e per chi non accetta certi diktat, cosa ne pensi?
«La di diffamazione dell’avversario è un tipico strumento del potere, del resto i nazisti chiamavano “banditi” i partigiani. La politica di resistenza viene chiamata antipolitica, si tratta di una strategia dispregiativa di concentrazione del potere e di esclusione di chi non è interno alle sue logiche. Non si accetta il disagio sociale. Io ritengo il voto a Grillo come un fenomeno profondamente politico. Oggi sembra essere l’atto più forte a disposizione di chi ancora vuole ancora andare a votare e non si sente rappresentato. Rispetto sia l’ astensionismo che il voto a Grillo e penso che riempirsi la bocca di forme sminuenti sia profondamente sbagliato. Grillo è un comico che si sta dando all’impegno politico, a volte il suo atteggiamento è sbagliato  certi suoi toni a me non piacciono e non fanno parte della mia cultura, cerco di costruire una opposizione più radicale e ragionata ma questo è il mio punto di vista.  Di fronte c’è un livello tale di autoritarismo, una cultura dominante così fascistoide che si utilizza, verso ogni disagio e ogni sua espressione, il pugno sul tavolo, le ragioni della forza più che la forza dei ragionamenti. Quello che noi critichiamo di Grillo non è tanto lo stile retorico ma il verticismo tipico di certe forme organizzative. Quando un progetto politico si incarna in una sola persona questi diviene facilmente oggetto di ricatto e di corruzione. Se viene sminuito il leader, lo si sta vedendo anche con Berlusconi, sparisce anche il progetto. Il leaderismo è pericoloso meglio se i processi marcino su tante gambe e meglio che, nonostante i limiti imposti dalla società dello spettacolo, se si è in molte e molti a ragionare e a proporre».

 

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