Se non vi sono ragioni per festeggiare, in questo 1° maggio di lacrime e
sangue, ve ne sono e molte, per provare a riorganizzarsi e a lottare.
Innanzitutto fronteggiando - con una chiarezza di obiettivi, una
concretezza ed una continuità di iniziativa che da tempo si sono persi -
l’attacco furibondo al lavoro, al diritto di vivere dignitosamente del
proprio lavoro, alle condizioni in cui esso si esercita, alla stessa
facoltà dei lavoratori di coalizzarsi, di scioperare, senza subire
sopraffazioni o ignobili ricatti quando essi provino a difendersi dalla
schiacciante asimmetria di forze che li ha quasi ovunque ridotti a
merce, reperibile sul mercato a costi sempre più bassi.
L’avvio del processo di annichilimento di tutte le fondamentali
conquiste del lavoro e dello stesso impianto costituzionale che doveva
garantirne la progressiva attuazione data da oltre trent’anni.
Precisamente, dalla sconfitta operaia degli anni Ottanta che ha aperto
la strada al decennio craxiano. La caduta di Craxi, maturata nella crisi
economica dei primi anni Novanta e in pieno disarmo politico e
culturale della sinistra, si è sublimata nell’avvento al potere del
“caudillo” di Arcore.
Poi, nell’arco di due decenni, Berlusconi ha
trasformato il Paese in un sultanato, ha cooptato la destra fascista fin
nelle sue propaggini estreme, dentro un sistema di potere corrotto e
profondamente inquinato da collusioni mafiose, ha plasmato un senso
comune nutrito dall’individualismo proprietario e alimentato da uno
strabordante potere mediatico e ha costruito un meccanismo elettorale
fraudolento che ha ridotto ad un simulacro la stessa dialettica
parlamentare.
La devastante crisi dei giorni nostri, questa volta di proporzioni
planetarie, ha indotto infine la grande borghesia e il capitale
finanziario transnazionale a liberarsi dell’“uomo che volle farsi re”
per assumere direttamente, senza intermediari, senza infingimenti, senza
paludamenti “paleo-democratici”, il governo del Paese.
Millantando una
fuorviante neutralità tecnocratica, Monti e il suo governo, forgiato
nell’ideologia della Trilateral Commition e impregnato delle teorie
della Scuola di Chicago, vantando un surreale sostegno bipartisan di
quasi tutto l’arco parlamentare, sta applicando senza tentennamenti le
ricette del Fondo monetario internazionale e della Banca centrale
europea: privatizzazione di tutto ciò che nel mercato può avere un
valore di scambio, riduzione ai minimi termini dello stato sociale,
diminuzione dei salari, marginalizzazione sino all’ininfluenza dei
sindacati, affermazione della supremazia del capitale sul lavoro ed
elevazione della competitività dell’impresa a variabile indipendente a
cui ogni altro fattore deve piegarsi. E’ il passaggio, senza se e senza
ma, dalla repubblica democratica fondata sul lavoro alla repubblica
autoritaria fondata sulla finanza e sull’impresa capitalistica.
Dalla crisi più radicale e violenta del capitalismo si rischia dunque
di uscire con una drastica amputazione della democrazia, con
l’evocazione dell’uomo forte, ritenuto capace di spazzare via la
corrotta farragine burocratica che ammorba il Paese. In altri termini,
la crisi della democrazia malata viene usata per demolire la democrazia
medesima, piuttosto che per restaurare la sovranità popolare violata.
Lo stesso grillismo, l’invettiva apparentemente dissacratoria del
guitto qualunquista che fa di tutte le erbe un fascio, che ruggisce
contro i partiti, contro tutti i partiti (“Sono peggio della mafia”),
rappresentati indistintamente e in quanto tali come una tenia che
prosciuga le sostanze vitali dei cittadini e della società operosa, non
prepara alcuna palingenesi purificatrice. Porta semmai acqua al mulino
di Monti, all’autocrate liberista che a sua volta non sopporta i
partiti, la dialettica parlamentare e ancor meno quella sociale, mentre
governa il Paese nel nome e per conto di un’oligarchia finanziaria che
agisce al di fuori di ogni controllo e legittimazione democratica.
Il suo governo che regge (pro tempore?) le redini del Paese si è
intestato la più devastante delle manovre antisociali: distruzione del
sistema previdenziale, liquidazione dell’articolo 18 dello Statuto dei
diritti dei lavoratori, inserimento del vincolo di pareggio di bilancio
in Costituzione e approvazione (anch’essa con il beneplacito del Pd) del
fiscal compact: misure che nella loro intrinseca architettura bastano a
demolire forma e sostanza della Carta.
Oggi più che mai, di fronte alla confusione, all’inerzia e alla
complicità di una sinistra “moderata” che sembra avere del tutto perso
il senso di una propria missione, almeno civilizzatrice; di fronte al
balbettio sconfortante di un sindacato che – con la sola eccezione della
Fiom e del sindacato di base – rincula senza respiro strategico, è
indispensabile che torni in campo la sinistra, quella che ha resistito
alle abiure ideologiche e ha saputo saldarsi a ciò che di più vitale
hanno prodotto i movimenti e le pratiche sociali antiliberiste. Per
indicare una strada del tutto nuova, utile tanto a formulare una
risposta diversa alla crisi, quanto a prefigurare un progetto di società
umana e solidale, dove uguaglianza e libertà tornino ad essere,
concretamente, fari della lotta politica e obiettivi della
trasformazione.
Il prossimo 12 maggio la Federazione della sinistra chiama alla
mobilitazione unitaria tutti e tutte coloro che credono e vogliono che i
giochi – in Italia e in Europa – non siano ancora fatti e pensano sia
tempo di lavorare uniti per rendere credibile un’alternativa.
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