La relazione introduttiva e l'Ordine del
Giorno approvato all’assemblea nazionale di delegati e Rsu tenutasi al
teatro AmbRa Jovinelli di Roma il 26 maggio.
(Per la relazione introduttiva vedi sotto)
L’ordine del giorno approvato è il seguente:
L' assemblea
convocata da RSU e RSA a Roma il 26 maggio ha raccolto la spinta di chi
sta lottando contro l'aggressione scatenata dal governo verso il mondo
del lavoro. Ma siamo soprattutto indignati per la rassegnazione o,
perfino, l’assenso con cui le direzioni confederali CGIL, CISL e UIL
hanno accompagnato e favorito questa aggressione.
L'Assemblea condivide quanto proposto nella relazione e raccoglie le indicazioni e i contributi emersi dal dibattito.
Le pensioni sono in
via di essere ridotte a sussidi di sopravvivenza e l’età di quiescenza è
stata portata a livelli inediti in Europa.
Centinaia di
migliaia di lavoratori messi fuori dalle aziende con accordi spesso
ricattatori vengono messi in condizione di non avere più né un salario,
né una pensione, né un ammortizzatore sociale.
I salari sono fermi
da almeno 20 anni, mentre i prezzi galoppano. I contratti nazionali
sanciscono la riduzione delle retribuzioni, l’aumento degli orari di
fatto e la regola delle deroghe.
La precarietà è
diventata la forma generalizzata di assunzione: un esercito di milioni
di giovani vive quotidianamente senza diritti e nell’incertezza più
totale sul proprio futuro.
La disoccupazione
tocca livelli inediti ed è destinata a crescere ulteriormente, per la
chiusura di tante fabbriche ma anche attraverso la drastica riduzione
dell’occupazione nel pubblico impiego.
I servizi sono
stati privatizzati, peggiorandone la qualità e aumentandone i costi per
l’utenza, mentre si faceva cassa sui diritti e sulle retribuzioni degli
addetti.
Il padrone sceglie i
sindacati da legittimare, mentre gli altri in particolare FIOM e
sindacati di base, vengono cacciati dalla porta delle aziende.
Infine l’articolo
18, quella norma che giusto 42 anni fa ha posto un limite all’arbitrio e
all’autoritarismo padronali, è in procinto di essere cancellata,
sopprimendo la funzione deterrente della reintegra e ripristinando
l’effetto intimidatorio della minaccia di licenziamento contro chi si
attiva politicamente o sindacalmente o contro chi, comunque, ha un
comportamento non gradito al padrone e ai capi.
In queste settimane
in molte aziende c’è stata una massiccia reazione contro questo
stravolgimento dell’articolo 18, con fermate, scioperi, picchettaggi,
blocchi stradali e manifestazioni. Ma se stessimo all’azione del
sindacalismo confederale di CGIL CISL e UIL tutto ciò sta passando senza
una resistenza degna di questo nome o addirittura con un vero e proprio
consenso, in nome della governabilità e della nuova “unità nazionale”
che sostiene il governo dei “tecnici” diretta emanazione della Bce,
dell' Unione Europea e del Fondo monetario internazionale, della
Confindustria e del sistema bancario italiano. Noi non ci riconosciamo
in questa unita' nazionale ma anzi ci battiamo per cacciare il governo
Monti Fornero.
Il movimento di
lotta nelle fabbriche e nei posti di lavoro a cui anche molti dei
delegati e delle delegate qui presenti hanno dato vita nei giorni scorsi
deve continuare, con l’obiettivo di impedire la trasformazione in legge
del disegno Fornero. Siamo disponibili a valutare e sostenere ogni
iniziativa di mobilitazione che persegua gli stessi obiettivi.
Ma questa
mobilitazione dovrà rimettere in campo non solo la difesa dell’articolo
18 e la sua estensione ai milioni di lavoratrici e di lavoratori che non
ne sono tutelati (i precari e i dipendenti delle piccole aziende), ma
anche una piattaforma complessiva, per invertire la tendenza a far
pagare la crisi ai lavoratori e alle classi popolari. intendiamo
elaborare questa piattaforma in maniera compiuta in un prossimo
appuntamento assembleare analogo a questo. In ogni caso gia' da oggi
proponiamo alcuni punti irrinunciabili:
- Il blocco dei licenziamenti;
- Il rinnovo di tutti i contratti attraverso piattaforme costruite con la partecipazione democratica dei lavoratori;
- La riduzione degli orari di lavoro a parità di salario;
- Un aumento dei salari e delle pensioni generalizzato e consistente;
- Il ripristino di una scala mobile dei salari e delle pensioni per tutelarli dalla nuova inflazione;
- La riconquista del pensionamento di vecchiaia a 60 anni di importo adeguato;
- No ai fondi pensione privati;
- La definitiva abolizione di tutte le forme contrattuali precarie;
- Il blocco delle privatizzazioni e la ripubblicizzazione dei servizi gia' privatizzati;
- Una
politica fiscale di forti sgravi sul lavoro dipendente e sulle pensioni
compensati dall'aumento della progressività delle aliquote e da una
patrimoniale sulle rendite e sulle ricchezze;
- Il diritto al reddito, alla casa e alla gratuita' di tutti i servizi pubblici per precari e disoccupati;
- La
elezione libera dei propri rappresentanti sindacali, senza alcuna
limitazione da parte del padrone e senza riserva per nessuno;
- L'abolizione della Bossi/Fini e uguali diritti per i migranti.
Si tratta delle
rivendicazioni minime e essenziali per preservare livelli di vita e di
dignità basilari in un paese civile. Se sembrano incompatibili con il
pagamento del debito, diciamo: è il debito che non va pagato.
Per questi motivi, e
per difendere l’articolo 18 nel suo valore di fondo e nella sua essenza
simbolica, noi invitiamo tutte le RSU, le RSA, le organizzazioni e le
aree sindacali che condividono queste esigenze a organizzare nelle
prossime giornate dell’8 e del 9 giugno momenti di lotta: fermate,
scioperi, azioni di protesta, presidi.
Indiciamo per il
pomeriggio dell’8 maggio, a partire dalle 16,00 a piazza Montecitorio un
presidio della Camera dei deputati che sta dibattendo del futuro dei
nostri diritti
Invitiamo tutte e
tutti, RSU, RSA, organizzazioni e aree sindacali a rendere permanente la
lotta anche nei giorni successivi, fino all’ultimo giorno utile per
impedire l’approvazione parlamentare della controriforma Fornero e
ancora oltre nei prossimi mesi.
RELAZIONE INTRODUTTIVA
Siamo
lavoratrici e lavoratori, delegati e delegate, precari e disoccupati, militanti
di diverse storie, esperienze, organizzazioni e movimenti. Abbiamo lanciato un
appello per discutere e decidere tutti insieme come agire, perché non possiamo
più continuare così.
Questo
è il primo passaggio dell'appello che in pochi giorni ha raccolto più di un migliaio
di adesioni di RSU, delegati e attivisti di sindacati conflittuali e di base. Adesioni
all'appello che provengono da realtà del pubblico impiego e del lavoro privato,
da uffici e fabbriche, da tutte le regioni italiane, da rappresentanti della Fiom
e di altre categorie della Cgil, di USB e del sindacalismo di base.
La
significativa presenza numerica e la qualità dei partecipanti che registriamo
in questa Assemblea ci dice che l'esigenza di discutere, di confrontarsi e di
decidere insieme è forte tra chi ritiene che il sindacato e la difesa
collettiva dei diritti è il bene primario del mondo del lavoro.
E
ci dice anche che è necessario un sempre più ampio e concreto coinvolgimento che
parta dalla difesa degli interessi e dei diritti dei lavoratori e che
costruisca le basi di un sindacato conflittuale nella teoria e nelle
enunciazioni ma soprattutto nella pratica; un sindacato indipendente dai
padroni, dai partiti e dai governi; un sindacato generale e di massa che sappia
parlare a tutti, ai giovani disoccupati e precari come ai pensionati ed a chi
perde il posto di lavoro a cinquanta anni, alle donne come agli uomini, agli
studenti come ai migranti.
Siamo
immersi in una crisi che sta devastando l'intero pianeta e che, soprattutto in Europa,
sta producendo una trasformazione strutturale del modo di vivere e di produrre,
delle relazioni industriali e di quelle umane. Lo vediamo chiaramente in Grecia
dove la crisi sta assumendo la sua espressione di massima tragicità e criticità,
dove la disoccupazione e le riduzioni di salario e di diritti stanno esplodendo
e mettendo in discussione dogmi economici e consuetudini internazionali
ritenute intoccabili.
I
risultati elettorali in Grecia dicono che la gente comune è stanca di subire le
imposizioni interne, quelle della BCE e del Fondo Monetario Internazionale e
che possono produrre un reale cambiamento di rotta nelle politiche di quel
paese, indicando a tutti i popoli europei una diversa uscita dalla crisi. In
Italia la devastazione sociale generata dalla crisi e dalle misure del governo Monti
parte da una ridefinizione strutturale dei rapporti di forza nel mondo del lavoro
a tutto vantaggio dei padroni, delle banche e della finanza, continuando a estorcere
soldi e diritti dei lavoratori che ormai da anni non rinnovano i contratti di lavoro,
subiscono gli effetti dell'inflazione, dell'aumento delle tariffe e della riduzione
delle spese sociali con una conseguente e sempre più insopportabile riduzione
del potere d'acquisto.
Se
poi si considerano le centinaia di migliaia di licenziamenti, di lavoratrici e lavoratori
messi in cassa integrazione e mobilità e di altrettanti tagli occupazionali derivanti
dai contratti precari non rinnovati in questi ultimi anni, si ricostruisce un quadro
sempre più drammatico che non può essere interpretato ed affrontato con i consueti
strumenti di lettura che da anni siamo abituati ad utilizzare.
Alla
religione dello spread e del dio mercato è indispensabile rispondere con un nuovo
e rinnovato protagonismo del mondo del lavoro che non abbia paura di sostenere
la necessità da una parte di misure generali che vadano nella direzione di un
cambiamento radicale del sistema che ha prodotto l'attuale crisi e dall'altra
punti ad una pratica e ad un progetto sindacale che superi l'ormai arida,
inutile e dannosa azione di Cgil, Cisl, Uil e Ugl subalterna al potere dei
partiti e dei governi e allo stesso tempo vada anche oltre l'opera meritoria,
importante ma oggi inadeguata del
sindacalismo
dei base, di categoria e di quei settori di opposizione che all'interno della
Cgil da anni lavorano per costruire un sindacato conflittuale.
Ed
è proprio dal sindacato di base, conflittuale ed indipendente e
dall'opposizione in Cgil che si deve ripartire con un rinnovato protagonismo
delle delegate e dei delegati che nei posti di lavoro fanno vivere un
sindacalismo di classe.
L'attacco
all'articolo 18 è soltanto l'ultimo di una lunga serie di colpi durissimi dati
al mondo del lavoro negli ultimi anni.
Il
collegato lavoro e l'aggressione al diritto del lavoro, l'accordo del 28 giugno
che ha aperto la strada ai provvedimenti dell'estate scorsa del governo
Berlusconi che hanno di fatto cancellato il contratto nazionale, l'odioso
aumento dell'età pensionabile attuato senza un'ora di sciopero da parte di
Cgil, Cisl e Uil, una tassazione iniqua che scarica sul lavoro e sulle pensioni
il grosso del reperimento di denari che servono poi a salvare le banche.
Invece
di applicare una vera patrimoniale che faccia pagare quel 10% che possiede il
50% della ricchezza, con l'introduzione dell'IMU si spreme ancor di più chi è
stato costretto a comprarsi la casa e oggi non riesce neanche più a pagare il
mutuo.
Altro
che equità: ci stanno svuotando le tasche riducendo milioni di donne e uomini alla
povertà, ad una precarietà che ormai non è soltanto riferibile alla tipologia
del contratto di lavoro ma si estende al sociale, al quotidiano, al fatto di
non riuscire ad arrivare non più alla terza settimana come si diceva qualche
anno fa ma alla prima quindicina del mese.
E'
notizia di questi giorni riportata da Il Sole 24 ore che sono stati ben 38 i
miliardi di Euro di cui l'80% è riferito alle famiglie di bollette e rate di
mutui che gli italiani non sono riusciti a pagare soltanto nel 2011.
Equitalia
è uno dei principali strumenti utilizzati per spremere i cittadini italiani con
tasse inique. Lo diciamo con chiarezza: non accettiamo le strumentalizzazioni
verso chi manifesta contro Equitalia e non certo contro chi ci lavora. Il
nostro saluto e la nostra solidarietà va a quei sette compagni che qualche
giorno fa a Napoli sono stati denunciati perché avevano espresso la propria rabbia
nei confronti di Equitalia dopo l'ennesimo suicidio.
Ed
ora si arriva all'articolo 18, a quella tutela che abbiamo conquistato con
decenni di lotta, che abbiamo difeso dagli assalti della Confindustria e di
svariati governi negli ultimi anni e che ora rischia di essere cancellato con
il consenso della maggioranza dei partiti presenti in parlamento e con l'ok di
Cgil, Cisl, Uil e Ugl.
Un
articolo 18 che, lo ribadiamo, ha rappresentato e continua a rappresentare un ostacolo
non soltanto all'arbitrio delle aziende, ma anche al ricatto dei padroni nei confronti
di chi non si adegua all'ordine aziendale, a chi fa attività sindacale sul proprio
posto di lavoro, a chi difende i propri diritti e quelli di tutto il mondo del lavoro.
Come sarà possibile alzare la testa, dire no e organizzarsi sindacalmente in
modo adeguato in presenza di una situazione ricattatoria e intimidatoria?
Un
attacco quindi che colpisce il potere contrattuale e aumenta la precarizzazione
sui posti di lavoro e liberalizza le discriminazioni di carattere politico,
sindacale, ma anche di genere e sessuali.
La
risposta sindacale di questi ultimi anni è stata assolutamente assente da parte
di Cisl, Uil e Ugl che hanno abbracciato la filosofia e la strategia della
“complicità”, come la definì l'ex ministro Sacconi. L'abbandono cioè di
qualsiasi ruolo di reale cambiamento, di conflitto sociale, di pratica sindacale
che tenda a modificare i rapporti di forza tra azienda e lavoratori, per
sostenere invece la necessità di essere interni alle logiche del capitale,
della Confindustria, del mondo economico delle
banche
e della finanza, al solo scopo di perpetuare la loro esistenza, di affermare di
essere soggetto che si siede nelle stanze del potere mentre invece si è
soltanto “portatori di consenso”, soldatini di piombo nelle mani di chi il
potere in mano lo ha veramente.
La
Cgil in questo ultimo anno ha imboccato la strada del progressivo riavvicinamento
alla Cisl di Bonanni e alla Uil di Angeletti. Certo le contraddizioni della
Camusso e del suo gruppo dirigente al vertice della Cgil sono tante e non facilmente
risolvibili, ma se le cose e gli eventi devono essere letti ed interpretati sotto
la lente degli obitettivi raggiunti, delle condizioni oggettive del mondo del lavoro
e delle reazioni agli attacchi subiti, non si può non convenire che il vertice Cgil
non ha fatto nulla di diverso da Cisl e Uil.
L'aver
sottoscritto il 6 settembre dello scorso anno quanto già deciso con l'accordo del
28 giugno, il balbettio rispetto alle pensioni, l'accettazione della
controriforma del lavoro e le bugie dette sull'art. 18, non possono non
confermare l'evidente subalternità politica della Cgil nei confronti del
Governo Monti e del PD e la vicinanza ormai strutturale con le politiche e le
pratiche sindacali di Cisl e Uil.
Il
sindacalismo di base e le esperienze di categorie e settori della Cgil che
hanno sicuramente avuto il merito di mantenere vivo il conflitto e esperienze
democratiche ed aperte di rappresentanza dei lavoratori, non sono stati però
sino ad ora sufficienti ad imprimere una forte e decisiva spinta nella
direzione del cambiamento e della tutela dei diritti e delle condizioni di
lavoro. Ciò soprattutto da una parte per la frammentazione del sindacalismo di
base, anche se le spinte all'unificazione di esperienze diverse si sono
concretizzate negli ultimi anni soprattutto con la nascita di USB e dall'altra
parte per la condizione della Fiom in termini di categoria e non di sindacato
generale.
I
lavoratori, schiacciati dal peso della ristrutturazione complessiva attuata
dalla Confindustria, dal Governo Monti e dai partiti che lo sostengono, dalla
ferocia e l'ingordigia del mondo economico e finanziario che continua a fare
profitti sulla pelle di chi lavora e di chi il lavoro non lo ha o lo ha perso e
indifesi a causa dell'assenza di un forte sindacato in grado di riattivare il
conflitto e le lotte, si trova oggi in una condizione di estrema difficoltà
dalla quale è possibile e doveroso uscire attraverso l'individuazione di un
progetto sindacale complessivo e generale e di una risposta che dimostri la
vitalità e le concrete possibilità di praticare il conflitto.
Conflitto
che non va solo evocato ed indicato come obiettivo a medio lungo termine, ma
praticato ora e subito, per tentare di modificare oggi quel che sta accadendo, per
dimostrare di esserci e di essere vivi, per dare forza e gambe a ciò che saremo
chiamati a costruire nei prossimi mesi in termini di mobilitazioni e di
strumenti necessari a difendere e rappresentare adeguatamente il mondo del
lavoro.
E
come abbiamo detto e scritto sull'appello, è indispensabile anche costruire una
piattaforma unificante che, partendo dal mondo del lavoro e proprio attorno al mondo
del lavoro, sia in grado di ricomporre anche le lotte sui beni comuni, le lotte
degli studenti e quelle dei migranti, quelle dei disoccupati, dei precari e dei
pensionati.
Da
mesi e mesi e soprattutto dalla grande vittoria sul referendum per l'acqua pubblica,
in tanti, in troppi a nostro avviso, si riempiono la bocca con la frase “difesa
dei beni comuni”. Forze politiche e sociali, sindacali e istituzionali e
persino le aziende e le banche utilizzano, a sproposito, il temine “bene
comune”. Ma i beni comuni non sono un marchio registrato, non sono una trovata pubblicitaria:
sono semplicemente ciò che serve alle donne e agli uomini di questo paese per
continuare a vivere in termini sociali, per non abdicare completamente al “privato
e bello”, alla privatizzazione dei servizi pubblici e alle feroci leggi del mercato,
per pensare ancora in termini di welfare e stato sociale, di supremazia dell'uomo
sull'economia, dell'ambiente sul profitto.
Questo
vuol dire “bene comune”. E che cosa c'è di più importante del lavoro quale “bene
comune” in un paese che nella sua carta costituzionale afferma di essere una “repubblica
fondata sul lavoro”?
E
allora diciamo che la lotta per i “beni comuni” comprende e al tempo stesso è compresa
nel conflitto sociale che dobbiamo continuare a praticare, che dobbiamo sviluppare
sui posti di lavoro come nella lotta per i servizi sociali, per la casa, per la
sanità, per la tutela dell'ambiente e per tutto ciò che serve per vivere in
modo adeguato.
E
infine c'è il problema della democrazia sul lavoro. Sicuramente l'analisi del
livello di democrazia che viviamo sui posti di lavoro non può e non deve essere
scissa dal più generale decadimento dei livelli democratici che si vivono nel
paese. Quando le contraddizioni sociali aumentano, quando esiste il pericolo di
un conflitto sociale esteso e difficilmente controllabile, è in quel momento
che il potere riduce gli spazi democratici e aumenta la repressione.
Questo
è ciò che sta accadendo anche nelle fabbriche e negli uffici di questo paese: la
paura che esploda il dissenso e che si trasformi in organizzazione del
conflitto è talmente alto che governi, aziende, partiti e sindacati complici
stanno facendo a gara per ridurre gli spazi democratici di rappresentanza
sindacale, già limitati da almeno due decenni per il sindacalismo di base ed ora
imposti anche a quei soggetti che, come la Fiom, stanno contrastando l'esclusione
avviato anche nei suoi confronti dalla Fiat e da altre aziende metalmeccaniche.
I
lavoratori non possono neanche più discutere liberamente delle proprie
condizioni, decidere democraticamente del proprio futuro. Ogni decisione è
demandata a confronti di vertice e, in definitiva, all'accettazione ed alla
condivisione dell'impostazione delle aziende, dei governi e dei potentati
economici.
Per
tutto ciò e per dare un senso concreto a ciò che diciamo e che enunciamo, anche
se con sfumature ed impostazioni diverse anche all'interno di chi “non ci sta” ….
e magari in parte anche all'interno di questa Assemblea, è assolutamente necessario
un confronto aperto e chiaro, è indispensabile che da questa assemblea emerga
la voce del mondo del lavoro che vuole discutere liberamente su come mobilitarsi
e come costruire una risposta adeguata all’offensiva padronale che stiamo
subendo.
Come
per la grande manifestazione del 31 marzo scorso che ha unito forze diverse a
livello sindacale, sociale e politico, così sul lavoro e sulla rappresentanza dobbiamo
costruire iniziative che siano includenti e che coinvolgano sempre più soggetti,
settori, categorie e realtà di lavoro.
Ed
è bene essere chiari.......... è fondamentale costruire una nuova alleanza tra
i lavoratori che sia in grado di pensare e realizzare una risposta complessiva
e duratura, perché la crisi e le sue conseguenze saranno di lunga durata,
perché saranno necessarie una informazione sempre più accurata, mobilitazioni e
scioperi, sino allo sciopero generale su obiettivi concreti:
vogliamo
difendere ed estendere l’articolo 18;
vogliamo un
reddito generalizzato che tuteli dalla disoccupazione e dalla precarizzazione;
vogliamo mettere
in campo una risposta alla devastazione sociale sui diritti, anche più
elementari, sulla casa, sulla sanità, sui servizi, sui beni comuni, sull'occupazione,
sulle politiche dei migranti e sulle pensioni;
vogliamo dire no,
tutti insieme, all’Imu sulla prima casa e a tutto il sistema di tassazione che
oggi colpisce prima di tutto i poveri, il lavoro dipendente, i pensionati;
vogliamo dire no
alla distruzione dei beni comuni e alla privatizzazione dei servizi pubblici;
vogliamo una
radicale revisione delle politiche fiscali che colpisca quel 10% della
popolazione che detiene la maggioranza della ricchezza del paese;
vogliamo mettere
in discussione i vincoli e gli accordi dettati dalla Bce, che ci legano alla
finanza e alla speculazione italiana, europea e internazionale;
vogliamo dire no
con forza al Governo Monti ed alle politiche dei ministri Passera e Fornero;
vogliamo
democrazia e diritti e per questo dobbiamo rimetterci in movimento;
non vogliamo
continuare a pagare una crisi che noi lavoratrici e lavoratori non abbiamo
determinato;
non vogliamo
pagare il debito che serve a per finanziare banche, padroni finanza e
speculatori;
vogliamo
protestare e rialzare la testa, vogliamo metterli in crisi, vogliamo scioperare
e mobilitarci ed è quello che proponiamo a questa assemblea, alle RSU, ai
delegati e alle strutture sindacali conflittuali
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