
La situazione è ben più complessa. Tanto per cominciare, non solo l’Islam è una religione praticata da miliardi di persone in maniere disparate, ma è soprattutto divisa in due fazioni in guerra tra loro. Tralasciamo per un momento le centinaia di milioni di musulmani che vivono in pace e promuovono sviluppo economico, democrazia e ruolo delle donne come in Malesia ed Indonesia e che vengono accomunati ai terroristi solo per condividerne la religione – il che già di per sé tradisce una qual certa attitudine culturale. Quello che però ci si “scorda” sempre di spiegare è come il fulcro del conflitto attuale sia la guerra aperta tra l’Islam sunnita di ISIS e i suoi alleati, e quello sciita dell’Iran. Semplicemente non esiste un unico mondo musulmano. Non certo come categoria sociologica, ma neppure a livello politico e religioso.
Bisogna poi fare un’operazione di chiarezza per quanto riguarda l’Occidente – che viene altrettanto generalizzato nei commenti di questi giorni. L’idea noi contro di loro è una mistificazione presto svelata dalle ambiguità e connivenze dei nostri Stati. Ad esempio, i legami tra Arabia Saudita e AlQaeda prima, e ISIS, dopo, sono noti. Eppure non solo non imponiamo a Ryad alcuna sanzione – figuriamoci, poi, un cambio di regime – ma addirittura ne supportiamo il regime medievale e fondamentalista. Solo pochi giorni fa, Renzi è andato a rendere omaggio a Ryad. Mentre Cameron ha stretto un patto di ferro con quello stesso regime integralista, permettendogli di entrare nel Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU. Anche militarmente le cose sono poco chiare. Come noto, in passato, gli interventi occidentali hanno fatto il gioco dei terroristi, in Iraq e in Libia, dove sul carro del trionfatore Sarkozy era subito salito proprio Henry-Levy. Pure in Siria, però le cose sono poco chiare. Come ci racconta Patrick Cockburn sulla London Review of Books, l’impegno americano contro ISIS è condizionato dal veto Saudita su una alleanza con le forze sciite, le uniche, insieme a quelle curde, presenti sul territorio. Insomma, combattiamo il califfato, ma solo a patto che non siano Assad e l’Iran a vincere. Priorità non proprio ben delineate. Incidentalmente, altri due “nostri” alleati nella regione supportano indirettamente i terroristi: a Nord, la Turchia combatte i curdi che si oppongono a ISIS, mentre a Sud, Israele bombarda gli Hezbollah, impegnati nella medesima guerra.
Ci voleva poi Crozza per ricordare agli italiani che gli attentati di Isis non sono certo indirizzati solo contro l’Occidente: dalle bombe di Beirut a quelle (più dubbie) di Ankara contro il corteo pacifista, fino all’aero russo, i terroristi colpiscono indiscriminatamente tutti i paesi coinvolti nel conflitto Medio-Orientale. Eppure, nonostante questa lampante evidenza si continua con un atteggiamento culturale viziato proprio dalla mitizzazione ed idealizzazione della nostra civiltà. I morti di Parigi sono anche i nostri, ma non così quelli libanesi, per non parlare di quelli siriani; i terroristi invece sono sempre gli altri, come se la nostra civilizzazione non abbia prodotto – e continui a produrre – eccidi e carneficine, spesso derubricate come azioni isolate di soggetti psicolabili; la guerra contro di noi è un attacco alla nostra democrazia, mentre le nostre guerre non sono tali – al massimo esportiamo libertà e democrazia. Tanto da arrivare al paradosso che, per bocca del suo Presidente, la Francia scopre di essere in guerra – a seguito degli attentati – tre mesi dopo aver cominciato a bombardare la Siria.
In realtà non c’è alcuno scontro di civiltà – gli schieramenti contrapposti sono tutt’altro che omogenei. E non c’è nessun attacco alla democrazia, quanto piuttosto l’intenzione di colpire, in maniera vigliacca e assassina, i propri nemici. Le categorie culturali hanno poco da spiegare in un conflitto che è invece soprattutto geopolitico – dove sono gli interessi e non l’etica a determinare alleanze e comportamenti.
Nicola Melloni - micromega
Nessun commento:
Posta un commento
Di la tua