Da "Lire Marx. Les textes les plus importants de Karl Marx pour le XXIe siècle. Choisis et commentés par Robert Kurz",
La balustrade, 2002, (p.45-51).
Questo estratto, che presenta
soprattutto gli errori del "marxismo tradizionale" il quale ha sempre
portato avanti la sua critica dal punto di vista di un'ontologia del
lavoro, è l'introduzione fatta da Kurz ad un insieme di frammenti,
scelti da diversi testi di Marx, cui rinvia. Nel testo che segue, con
"Marx essoterico" e "Marx esoterico" (una sorta di Marx-Giano), Kurz
intende distinguere due interpretazioni differenti dell'opera marxiana,
di cui una è quella tradizionalmente ammessa (essoterica), che si basa
principalmente su un punto di vista che si svolge a partire dal lavoro
(che non viene assunto nella sua specificità e viene invece visto come
naturale e sovra-storico) ed il cui oggetto di studio è soprattutto la
lotta di classe. Quest'interpretazione tradizionale si focalizza sul
modo di distribuzione. L'altra è assai meno conosciuta (esoterica), ma
con questo non si vuol difendere l'idea per cui ci sarebbe stato un
"vero Marx", il cui pensiero sarebbe stato tradito, e che deve quindi
essere ripristinato. Si tratta piuttosto di affermare che in alcuni
testi (soprattutto quelli che non erano destinati ad essere pubblicati -
Grundrisse - o quelli lo sono stati molto più tardi, dopo la formazione
dei marxismi), ci sono degli elementi che permettono di "andare con
Marx oltre Marx" e quindi di liberare qualcosa di diverso dal Marx
conosciuto: un "Marx esoterico".
Quest'interpretazione,
stavolta non viene più attuata dal punto di vista del lavoro, ma
piuttosto dal quello della possibilità della sua abolizione. Il Marx
esoterico è quindi quello che critica sia il modo di distribuzione che
il modo di produzione capitalista, e lo fa a partire dall'analisi da
quelle categorie storicamente determinate che sono il valore, la merce,
il denaro, il lavoro, il capitale. Quando alcune parole non sembravano
chiare nel modo in cui sono state rese dalla traduzione, vengono
proposte, fra parentesi, altri significati o delle precisazioni.
* * * *
Se
si consulta la letteratura marxista ed antimarxista del 19° e del 20°
secolo, si trova per tutto questo periodo, con fastidiosa regolarità, la
stessa riduzione: in qualsiasi modo si affronti il capitalismo, in
maniera positiva o negativa, lo si fa sempre quasi esclusivamente per
mezzo delle categorie sociologiche di "classe" o "strato" sociale,
mentre le forme sociali su cui esso è fondato rimangono in qualche modo
neutre (per esempio nel rapporto fra mercato e Stato, si discute solo
del loro raggrupparsi e della loro nuova configurazione). Si tratta
della relazione delle classi sociali all'interno dell'involucro
capitalista. Nel pretendere che il capitalismo sia una società di
classi, i marxisti - che si richiamano sempre al solo Marx essoterico -
credono di aver detto l'essenziale. E gli apologisti [del capitalismo]
cercano di relativizzare tale constatazione rispondendo che il
capitalismo aveva avuto largamente ragione della società di classe
grazie allo Stato provvidenza ed al miglioramento delle condizioni di
lavoro.
In questo dibattito, benché si pretenda la riflessione
teorica, quella che non viene posta è una questione - e in ogni caso,
non viene posta seriamente: come sono apparse le classi sociali, come si
riproduce, giorno dopo giorno, il loro costituirsi in società. La
ragione di un simile disinteresse è semplice: in questa prospettiva
sociologica ridotta, le condizioni sociali vengono alla fine ridotte a
delle pure questioni di libero arbitrio. Il capitalismo esiste perché i
suoi attori lo "vogliono". Quindi, il capitalismo si confonde per così
dire con i capitalisti (i proprietari privati di un capitale-denaro, ma
anche i manager) in quanto tali o come collettivo sociale della classe
capitalista. È questa volontà dei soggetti capitalisti che ha sottomesso
alla propria legge la maggioranza della società intesa come lavoratori
salariati. Di conseguenza, la proprietà privata dei mezzi di produzione
appare come l'istituzione centrale di tale volontà capitalista. Secondo
la formula consacrata, la monopolizzazione sociale dei potenziali
produttivi dà ai capitalisti solo il diritto di decidere sul loro
utilizzo. L'assoggettamento, o come lo chiana Marx, "lo sfruttamento
dell'uomo da parte dell'uomo", sembra così avvenire in un rapporto di
dominio attraverso la proprietà privata, nel rapporto sociale fra i
capitalisti ed i salariati. Nella misura in cui si tratta allora di un
rapporto sociale, questo non può essere altro che un rapporto di classe.
Secondo tale versione, la sola differenza con una società in cui
regnano dei rapporti di dipendenza personale fra signori e servi è che
la dipendenza ha assunto un carattere collettivo, di modo che ciascun
individuo salariato non dipende più da un padrone vero e proprio (come
nel feudalesimo e nella schiavitù), ma dalla classe capitalista nel suo
intero.
Riducendo in questo modo il concetto non solo del modo di
produzione e della formazione sociale a dei rapporti di volontà fra
classi sociali, codificate ed istituzionalizzate sotto forma giuridica
(proprietà dei mezzi di produzione sociale), l'aspetto negativo e
distruttivo del capitalismo sembra in qualche modo rinviare al carattere
di classe dominante degli attori capitalisti. Quindi, il concetto di
capitale può improvvisamente e semplicemente coincidere in tutto e per
tutto con quello dei mezzi di produzione materiale (macchine, edifici ed
altro), anche nella formulazione marxista ed in materia di economia
politica borghese. In questo caso, il capitale in quanto tale non è più
un rapporto sociale, ma diventa un oggetto concreto, mentre la relazione
sociale imposta dal capitale assume la figura di opposizione di classe,
sul piano sociologico apparente.
Se andiamo fino in fondo a
questa prospettiva, mettendo al lavoro ed "utilizzando" la classe
assoggettata dei lavoratori salariati per dei fini personali, vediamo
che la classe dominante dei proprietari capitalisti persegue un proprio
interesse particolare, che è l'interesse soggettivo della sua classe. A
questo si oppone un altro interesse, l'interesse contrario della classe
degli operai salariati. Quest'opposizione di interessi ha naturalmente
come risultato una lotta di interessi ed ecco, di fatto, la buona
vecchia lotta di classe. Estrema conseguenza della critica del
capitalismo, questa quintessenza del marxismo del movimento operaio
suggerisce implicitamente (e spesso esplicitamente) di sbarazzarsi in un
modo o in un altro dei capitalisti, possibilmente imprigionarli o
tagliare loro la testa - tanto per riprendere l'idea e la pratica della
Rivoluzione francese borghese. In ogni caso, bisogna togliere loro il
giocattolo, quindi espropriarli, di modo che la gloriosa classe operaia
possa poi far funzionare il capitale materiale sotto la sua propria
direzione e nel suo proprio interesse.
Si tratta quindi solo di
pura logica: se il capitalismo consiste in un potere di disposizione
giuridica a favore di una classe dominante, esso allora cessa di
esistere a partire da un cambiamento formale della proprietà rispetto
alle due classi. Si può trovare una testimonianza, toccante per la sua
ingenuità e davvero comica, di questo pensiero marxista nei "certificati
di esproprio" ufficiali che, al momento della fondazione dell'ex
Repubblica Democratica Tedesca, sancivano il passaggio delle imprese
nelle mani del popolo, intendendo così che d'ora in poi sarebbero state
delle imprese collettivizzate (« Volkseigene Betriebe » o VEB).
Traspare
qui assai bene il campo concettuale di questo marxismo cui si appoggia
il movimento operaio storico per legittimare la sua lotta di classe, che
in realtà non aveva altro fine che essere riconosciuto nel capitalismo.
È innegabile che questa versione si ritrovi anche in tutta l'opera di
Marx. È proprio nel contesto di questo campo concettuale che il Marx
essoterico si rivela come un teorico puro della modernizzazione. Ci sono
soprattutto due problemi con cui si scontra questa concezione ridotta
del capitalismo così come viene data dal marxismo corrente e dove si
attua il passaggio dall'argomentazione e dalla critica essoterica
all'argomentazione ed alla critica esoterica in senso alla critica
marxista.
Da un lato, la riduzione del concetto di capitalismo a
dei rapporti di volontà è del tutto incompatibile con l'oggettività "di
ferro" (ripresa da Hegel) del processo storico con le sue necessarie
tappe di sviluppo e con le sue formazioni sociali. Visibilmente, la
volontà soggettiva propria alla classe e portata avanti per l'interesse
non è ciò che costituisce il capitalismo, ma questa volontà sociale è
inglobata in qualcos'altro che è un'oggettività che la trascende.
Questo
è ancora più evidente quando Marx ed il marxismo continuano a parlare,
con la più grande chiarezza, di "leggi" del modo di produzione
capitalista, perfino delle sue "leggi naturali". Dal punto di vista
positivista, qui ci si avvicina, come avviene con il concetto
materializzato di capitale, al pensiero dell'economia borghese per la
quale, come è noto, le leggi del capitalismo sono identiche alle leggi
che si pretendono naturali della riproduzione sociale in generale. Ma
anche se si riconosce che queste "leggi economiche naturali" sono solo
delle leggi storiche, limitate al modo di produzione specificamente
capitalista, rimane un problema: il carattere oggettivo e proprio alle
leggi "naturali" delle strutture di riproduzione e delle forme di
movimento e di sviluppo capitalista sono in profonda contraddizione con
la loro concezione ridotta a dei rapporti sociologici di classe e a dei
rapporti di volontà giuridica.
Il marxismo ha semplicemente rinunciato a far conoscere e a risolvere questa contraddizione, del resto non l'ha nemmeno vista.
È
per questo motivo che la teorizzazione marxista si è sempre
necessariamente dissociata in una teoria della società, "oggettivista"
ed "economista" (quasi scientifica) da una parte, ed una teoria
dell'azione "soggettivista" (politica e giuridica) dall'altra. Questa
schizofrenia riproduce il disaccoppiamento del pensiero borghese moderno
in generale. A partire dalla filosofia dei Lumi, questo pensiero non
smette di dissociarsi, proclamando, da un lato, una società umana che,
come la rotella di un orologio, funziona quasi automaticamente, secondo
le leggi di un sistema (la "mano invisibile" dei mercati e dei
meccanismi di regolazione cibernetica che mettono l'uomo sullo stesso
piano degli insetti o degli ingranaggi) e, dall'altro lato, il "libero
arbitrio", la "autonomia dell'individuo", la "responsabilità" e la
"libertà politica" (democrazia).
Il marxismo del movimento operaio
non ha rotto affatto questo dilemma del pensiero borghese, ma vi si è
adattato e (nel caso della modernizzazione in ritardo del 20° secolo)
l'ha integrato nel socialismo. Quest'ultimo doveva anch'esso funzionare
secondo le leggi economiche oggettivate e naturali (soprattutto quelle
non soppresse della produzione di merce), ma allo stesso tempo doveva
incarnare la volontà del proletariato e del suo partito diventato Stato.
Vista
da un altro lato, l'argomentazione marxista si ingarbuglia quando si
pone la questione del senso di questo sistema. Certo, il pensiero assai
saggio della lotta di classe si è affrettato a trovare una risposta: il
fine del capitalismo consiste naturalmente nel fare sfruttare i
lavoratori salariati dai capitalisti. Se questi ultimi desiderano così
ardentemente il capitalismo, ciò è perché esso apporta loro il famoso
"plusvalore" che i capitalisti estorcono alla parte bisognosa
dell'umanità. Evidentemente, ci sono delle pagine del Marx essoterico -
dove si parla di "lavoro non remunerato", grazie al quale i lavoratori
salariati producono questo valore supplementare che eccede il
controvalore dei loro costi di riproduzione (percepito sotto forma di
salario) e di cui i proprietari capitalisti si appropriano per
arricchirsi -che possono essere interpretate esattamente in questo
senso.
La conseguenza sembrerebbe che la valorosa classe operaia
si appropri essa stessa del plusvalore prelevato, dopo aver messo gli
sfruttatori alla porta, e che essa riceva la totalità del prodotto del
suo lavoro e che gli venga pagata la parte non remuneratata del suo
lavoro.
Il marxismo fu anche obbligato a riconoscere,
naturalmente, che tutta la società necessità di reinvestimenti,
destinati a rinnovare i mezzi materiali di produzione, e a costituire
delle riserve. Questi prelievi necessari sul prodotto del lavoro
verrebbero quindi impiegati a beneficio della comunità per mezzo delle
istituzioni proprie della classe operaia (o meglio per mezzo del suo
partito-Stato).
Tuttavia, questa risposta apparentemente così
semplice e chiara espressa a bruciapelo pone qualche problema. In
realtà, essa dà l'impressione che i proprietari capitalisti che si
appropriano del plusvalore dilapidino questi profitti soprattutto a
titolo di ricchezza personale. Il rapporto capitalista quindi sembra
essere solamente una variante del rapporto, in qualche modo senza tempo,
fra povertà e ricchezza. I concetti marxisti di plusvalore (sotto la
forma del denaro) e di plusprodotto (sotto la forma dei beni materiali)
vengono praticamente utilizzati come sinonimi. Su tale punto, le forme
di appropriazione feudale e capitalista non sembrano differire se non
per il tipo di proprietà (proprietà fondiaria per il primo e proprietà
privata dei mezzi di produzione per il secondo).
Gli è che i
signori feudali classici in effetti hanno letteralmente divorato il
plusprodotto materiale sotto forma di imposte in natura; ma anche questa
dissolutezza è sempre stata legata a differenti modalità di
distribuzione che permettavano a servi, villani ed altri, di ricevere in
un modo o nell'altro delle briciole. Anche per quanto riguarda le
ricchezze pre-capitaliste, i signori non avevano stomaci abbastanza
grandi. Nella sua manifestazione capitalista, la produzione di ricchezza
divenuta esorbitante sfugge del tutto all'appropriazione soggettiva e
sensibile attraverso il processo dei mezzi di produzione. Imprenditori e
manager non possono consumare personalmente l'enorme plusprodotto, cioè
quello che esce dalle loro fabbriche sotto forma di lucido da scarpe,
bombe a mano, polli arrosto o libri in edizione tascabile che eccede il
controvalore dei salari. Anche facendo dei grossi sforzi, non riescono a
trasformare i loro guadagni in prodotti di lusso destinati al loro uso
personale, e d'altronde in ogni caso non ne hanno il tempo. Al
contrario, sotto pena di fallire, sono obbligati a reinvestire gran
parte del plusprodotto (e quindi del plusvalore) riconvertito in denaro
nel processo di riproduzione capitalista su scala allargata.
Perciò
nessuno trae realmente benefici dalla maggior parte del "lavoro non
pagato", se con questo intendiamo il godimento reale della ricchezza
prodotta. Di conseguenza, una grande massa di prodotti non viene
destinata al godimento. Si tratta di un aumento della produzione per la
produzione - un fine in sé irrazionale. Ecco cos'è esattamente quello
che il Marx esoterico ha definito feticismo di un tale modo di
produzione, proprio come operavano i feticci nelle società premoderne.
Marx ha trovato un nome anche per il meccanismo specifico della divinità
feticcio capitalista: il "soggetto automatico". Benché questo termine
appaia fin dall'inizio de "Il Capitale", i marxisti ben istruiti dal
capitale rimangono attoniti nel percepirlo come un non senso
relativamente bizzarro. In realtà, Marx designa con questo termine il
cuore stesso del paradosso del rapporto sociale capitalista, che non può
essere assolutamente spiegato per mezzo del rapporto di classe e di
sfruttamento fra lavoratori salariati e capitalisti.
Al contrario,
si ha la subitanea impressione che, nel capitalismo, tutte le classi e
le categorie in generale siano altresì solo categorie di funzione di
questo soggetto automaticco cui sono subrodinate e che, di fatto,
dovrebbe costituire l'oggetto propriamente detto della critica del
capitalismo. I proprietari capitalisti ed i manager non sono attori
sovrani dell'organizzazione capitalista più di quanto lo siano i
lavoratori che si trovano in fondo alla scala sociale. Essi stessi non
sono altro che dei [funzionari] permanenti dell'accumulazione del
capitale in quanto fine in sé. Il colmo dell'ironia è che il vero
soggetto dominatore è un oggetto morto: il denaro, che, retroagendo su
sé stesso, diviene il motore fantasmagorico della riproduzione sociale.
Quel che ne risulta è un'assurdità senza precedenti: gli uomini si sono trasformati in mere appendici [supporti, portatori...] di un'economia diventata autonoma, i cui movimenti li fanno essere alla sua mercede, come i lemuri sono alla mercede del loro "oscuro istinto". La loro stessa attività sociale li affronta come se fosse una potenza estranea ed esterna appartenente ad un sistema cieco; la loro socialità stessa è andata a finire nei prodotti morti e nel denaro che li rappresenta, mentre essi stessi si comportano come esseri non sociali sotto la parvenza di un concorrenza anonima. Tale concorrenza costituisce a sua volta la forma di relazione comune a tutte le classi capitaliste e a tutte le categorie di funzione: non solo i lavoratori salariati si trovano in concorrenza con i proprietari di capitale, ma anche i proprietari di capitale e gli operai si fanno ugualmente concorrenza fra di loro. E così come gli interessi di ciascuno, in quanto produttore, sono in conflitto con i suoi stessi interessi contrari di consumatore, ogni uomo è in un certo qual modo il suo proprio concorrente!
Quel che ne risulta è un'assurdità senza precedenti: gli uomini si sono trasformati in mere appendici [supporti, portatori...] di un'economia diventata autonoma, i cui movimenti li fanno essere alla sua mercede, come i lemuri sono alla mercede del loro "oscuro istinto". La loro stessa attività sociale li affronta come se fosse una potenza estranea ed esterna appartenente ad un sistema cieco; la loro socialità stessa è andata a finire nei prodotti morti e nel denaro che li rappresenta, mentre essi stessi si comportano come esseri non sociali sotto la parvenza di un concorrenza anonima. Tale concorrenza costituisce a sua volta la forma di relazione comune a tutte le classi capitaliste e a tutte le categorie di funzione: non solo i lavoratori salariati si trovano in concorrenza con i proprietari di capitale, ma anche i proprietari di capitale e gli operai si fanno ugualmente concorrenza fra di loro. E così come gli interessi di ciascuno, in quanto produttore, sono in conflitto con i suoi stessi interessi contrari di consumatore, ogni uomo è in un certo qual modo il suo proprio concorrente!
Se
quest'impero del tutto demente di un soggetto automatico concretizzato è
così difficile da comprendere, cio' è dovuto - dal momento che "il
denaro" ed "il mercato" sembrano esistere fin dalla notte dei tempi - al
fatto che l'ordinaria comprensione capitalista immagina il sistema che
la governa solo nella sfera della circolazione, nella sfera dello
scambio, e quindi sviluppa degli interessi di mercato e di distribuzione
relativamente a delle categorie che non vengono messe in discussione e
che appaiono impossibili da analizzare. Il pensiero del marxismo del
movimento operaio non poteva andare più lontano.
In realtà - dice
il Marx esoterico riferendosi al soggetto automatico irrazionale - in
tutte le società precapitaliste, denaro e mercato non sono stato altro
che dei fenomeni marginali e sporadici, mentre la gran parte della
riproduzione si basava su una "economia in natura" e si svolgeva sotto
altre forme. Un'economia monetaria ed un'economia di mercato estese
appaiono solo a causa della retroazione capitalista del denaro su sé
stesso. In questo caso, la produzione di merci [qui nel senso di "beni"]
non è più un obiettivo finale; ma è solo un mezzo di valorizzazione del
denaro visto come fine in sé, un mezzo di accumulazione infinito di
capitale-denaro per sé stesso.
In queste condizioni, i produttori
indipendenti non possono più incontrarsi su un mercato: la massa di
lavoratori salariati è un "soggetto denaro-soggetto mercato" per il
semplice fatto che essi stessi si rivolgono al mercato del lavoro,
mentre i proprietari di capitale appaiono come semplici rappresentanti
del soggetto automatico. Secondo Marx, tutti gli individui coinvolti
vengono abbassati al rango di "maschere di carattere" che definiscono
delle categorie economiche. Il mercato non è più una sfera di libero
scambio, ma è unicamente la sfera della realizzazione del plusvalore,
dunque nient'altro che una stazione [tappa] nel processo della vita
[sociale], nella perpetua metamorfosi del soggetto automatico.
Gli
apologeti del capitalismo hanno continuato a cercare di giustificare
con enfasi il carattere paranoico di una simile costruzione sociale,
dichiarando che ad essa era legato l'aumento delle forze produttive
imposto dalla concorrenza anonima , che portava automaticamente ad un
amento del benessere. L'esperienza pratica vissuta dalla schiacciante
maggioranza dell'umanità nel corso della storia capitalista dimostra
esattamente il contrario. Dal momento che il fine non è la produzione di
beni, ma è solo un semplice mezzo per valorizzare il denaro, il
benessere non può più essere un fine, tutt'al più è un residuo
temporaneo del capitale.
Mentre, nelle società agrarie fondate
sull'economia in natura che hanno preceduto l'epoca moderna, indigenza e
povertà erano innanzitutto determinate dal fatto che gli uomini erano
soggetti alla "prima natura" e al basso livello delle forze produttive,
il capitalismo invece genera una povertà secondaria, di origine
puramente sociale. Dal momento che la produzione a come solo fine una
massimizzazione astratta dell'unità denaro, per la prima volta nella
storia non si produce per soddisfare dei bisogni. Questo spiega perché,
allorché non è possibile raggiungere quanto meno un tasso di profitto
medio, si bloccano o si riducono i mezzi di produzione, rimasti intatti,
nel mentre che, allo stesso tempo, le persone sono private del
necessario. E quando la legge del movimento del soggetto automatico lo
esige, la forza produttiva cresciuta in maniera esorbitante fa scorrere
un fiume di automobili, di svincoli autostadali e missili, mentre una
folla di persone rimane senza casa e ci sono bambini affamati perfino
nei paesi ricchi.
Tuttavia, la dissociazione sistematica del fine
della produzione dalla soddisfazione dei bisogni, che costringe ad una
deviazione grottesca delle risorse, non può essere risolta né attraverso
un semplice cambiamento del potere o della forma in seno alle categorie
capitalistiche né per mezzo di un cambiamento unicamente giuridico
della proprietà, da una classe sociale all'altra, o con il passaggio da
un soggetto che occupa una funzione ad un altro soggetto: bisogna
sopprimere il soggetto automatico irrazionale e le leggi che lo
governano e che sono divenuto a causa sua una seconda natura. In questo
inizio del 21° secolo, adesso che il marxismo essoterico del vecchio
movimento operaio così come la modernizzazione di recupero della
periferia capitalista si sono esauriti, il concetto di capitalismo
sociologicamente ridotto è anch'esso esaurito. Ormai, quello che è
all'ordine del giorno della teoria critica è l'altro concetto di
capitale, quello del Marx esoterico, che assume come oggetto il dominio
concreto del soggetto automatico - in quanto forma teorica di un
movimento sociale pratico che non difende più la forma comune della
concorrenza anonima, ma critica questa forma e trionfa su di essa.
La
scelta che segue, dei testi di Marx, si concentra su questo concetto di
capitale che supera la comprensione del marxismo del movimento operaio
ed i suoi paradossi. Tale scelta include l'analisi - anche se limitata
allo stretto necessario - dei meccanismi di funzionamento capitalista. È
solo comprendendo il capitale nel senso del "soggetto automatico" che
ci si potrà fare un'idea dei suoi meccanismi di funzionamento, un'idea
che non si inganna sull'analisi di Marx vedendoci un'esposizione
positivista puramente oggettiva, ma che invece la comprende per quello
che ha voluto dire, ossia una critica radicale di un'oggettivizzazione
erronea e distruttiva dei rapporti sociali.
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