La complementarità della prima potenza e della prima impotenza economica
Ecco
che ad una trumpfobia isterica subentra una trumpmania insensata, come
se un'alternanza politica alla presidenza federale della seconda più
grande democrazia al mondo fosse suscettibile di produrre un cambiamento
tangibile, positivo o negativo, nella politica di questo paese. Si
evocano prospettive fatali per suscitare sentimenti di paura o di
speranza.
In primo luogo, si specula a proposito
di una guerra commerciale che gli Stati Uniti starebbero dichiarando
alla Cina. Tuttavia, quella che di solito viene chiamata guerra
commerciale è una competizione commerciale fra due paesi concorrenti, e
non una discussione fra un cliente ed il suo fornitore, o fra un
debitore ed il suo creditore; schemi questi che servono a definire quali
sono le relazione fra gli Stati Uniti e la Cina. A tal proposito,
questi due paesi non sono affatto rivali, ma sono complementari; anche
se la Cina fa del suo meglio per cercare di ridurre questa
interdipendenza.
Gli Stati Uniti hanno bisogno della Cina in quanto non sono in grado di produrre tutto ciò che consumano (altresì, sono in grado di pagare solo il 20% di ciò che consumano). Di contro, nonostante ciò che gli Stati Uniti vogliono far credere, la Cina non ha bisogno di loro. A partire dal 2008 - anno in cui la Cina ha capito che gli Stati Uniti non avevano alcuna intenzione di tentare di sanare le proprie finanze - in tutti i suoi settori, l'industria cinese produce ormai più per il mercato interno che per l'esportazione. Non solo in materia di beni strumentali - dove la Cina aveva un ritardo, rispetto alle altre potenze economiche, che doveva essere recuperato - ma anche in materia di beni di consumo, il cui sviluppo il governo cinese ha finalmente accettato per disinnescare ogni velleità di cambiamento politico, la soddisfazione dei bisogni della Cina e delle aspirazioni dei cinesi è ora una priorità nazionale. Contrariamente a quello che vorrebbero far credere alcuni economisti americani, la Cina ha superato da tempo lo stadio dei paese "emergente" disposto ad esportare qualsiasi cosa a qualsiasi condizione per ottenere in tal modo valuta estera. E, soprattutto, non vuole più dei dollari, in quanto sa qual è il loro valore reale.
Gli Stati Uniti hanno bisogno della Cina in quanto non sono in grado di produrre tutto ciò che consumano (altresì, sono in grado di pagare solo il 20% di ciò che consumano). Di contro, nonostante ciò che gli Stati Uniti vogliono far credere, la Cina non ha bisogno di loro. A partire dal 2008 - anno in cui la Cina ha capito che gli Stati Uniti non avevano alcuna intenzione di tentare di sanare le proprie finanze - in tutti i suoi settori, l'industria cinese produce ormai più per il mercato interno che per l'esportazione. Non solo in materia di beni strumentali - dove la Cina aveva un ritardo, rispetto alle altre potenze economiche, che doveva essere recuperato - ma anche in materia di beni di consumo, il cui sviluppo il governo cinese ha finalmente accettato per disinnescare ogni velleità di cambiamento politico, la soddisfazione dei bisogni della Cina e delle aspirazioni dei cinesi è ora una priorità nazionale. Contrariamente a quello che vorrebbero far credere alcuni economisti americani, la Cina ha superato da tempo lo stadio dei paese "emergente" disposto ad esportare qualsiasi cosa a qualsiasi condizione per ottenere in tal modo valuta estera. E, soprattutto, non vuole più dei dollari, in quanto sa qual è il loro valore reale.
Gli economisti europei hanno fatto
il gioco degli Stati Uniti in maniera ammirevole, diffondendo il mito
della guerra monetaria, che consiste in un dogma falso ed in
un'asserzione inesatta. Il dogma, involontariamente erroneo o
volutamente menzognero, è quello per cui la svalutazione facilita
l'esportazione, una teoria largamente professata in tutte le facoltà di
macro-economia e di politica, e della quale ci si prende garbatamente
gioco nelle scuole di commercio e di gestione, dove si insegna che la
competitività si costruisce sulla qualità, sulla fiducia, sulla coerenza
e sulla reputazione, piuttosto che su un vantaggio di prezzo
momentaneamente ed involontariamente ottenuto grazie ad una svalutazione
inattesa, o per mezzo di una politica di ribasso sistematico fatta
attraverso la sottovalutazione del cambio, cosa fra l'altro sleale e
come tale proibita dagli accordi commerciali internazionali.
L'asserzione falsa è quella secondo la quale, in ragione del vantaggio strutturale che questo fornirebbe (secondo il dogma erroneo), ci sono numerosi paesi che sono attivamente impegnati nel sottovalutare la propria moneta. Se ciò è certamente vero per la zona euro, governata dagli interessi statunitensi piuttosto che da quelli europei, non lo è sicuramente per gli Stati Uniti i quali fanno tutto ciò che è in loro potere per ritardare il crollo del dollaro al suo vero valore economico ed aritmetico, ed almeno dal 1971 è proprio questa del resto la missione essenziale del governo federale. È difficilmente immaginabile che un governo possa voltare la spalle a tale politica e lasciare che la sua moneta crolli irrimediabilmente nel nome della trasparenza o dell'ortodossia. In politica, l'unica morale legittima è la ricerca del benessere o della salvezza (a seconda del livello di materialismo o di trascendenza dello Stato) dei cittadini che gli sono affidati, e non la soddisfazione di principi estranei o inutili per la cittadinanza.
L'asserzione falsa è quella secondo la quale, in ragione del vantaggio strutturale che questo fornirebbe (secondo il dogma erroneo), ci sono numerosi paesi che sono attivamente impegnati nel sottovalutare la propria moneta. Se ciò è certamente vero per la zona euro, governata dagli interessi statunitensi piuttosto che da quelli europei, non lo è sicuramente per gli Stati Uniti i quali fanno tutto ciò che è in loro potere per ritardare il crollo del dollaro al suo vero valore economico ed aritmetico, ed almeno dal 1971 è proprio questa del resto la missione essenziale del governo federale. È difficilmente immaginabile che un governo possa voltare la spalle a tale politica e lasciare che la sua moneta crolli irrimediabilmente nel nome della trasparenza o dell'ortodossia. In politica, l'unica morale legittima è la ricerca del benessere o della salvezza (a seconda del livello di materialismo o di trascendenza dello Stato) dei cittadini che gli sono affidati, e non la soddisfazione di principi estranei o inutili per la cittadinanza.
La
Cina non ha alcun interesse ad una sottovalutazione dello yuan, di cui
solo la stabilità e la giusta valutazione permettono, da un lato, che
sia sempre più utilizzato negli scambi mondiali e, dall'altro lato, che i
paesi altri vogliano tesorizzarlo; due fattori, questi, che
contribuiscono all'indipendenza, alla sovranità ed al potere economico
della Cina. La Cina ha interesse a che i prodotti che esporta, anziché
utilizzarli al suo interno, vengano compensati correttamente al fine di
permetterle di importare quel che manca alla sua popolazione (in
particolare, prodotti alimentari) o alla sua economia (materie prime).
Ma la Cina non ha affatto interesse a che il dollaro crolli troppo e
troppo rapidamente, prima che, da un lato, sia riuscita a non essere più
pagata con tale moneta e prima che, dall'altro lato, abbia finito di
liquidare la sua montagna di credito espresso in dollari, come le
obbligazioni statunitensi.
Da parte loro, gli
Stati Uniti, checché ne dica il loro nuova presidente, non possono fare a
meno delle importazioni, e soprattutto, come il resto del mondo, delle
importazioni cinesi. Le competenze che i paesi avanzati hanno
volontariamente condiviso attraverso dei contratti di trasferimento di
tecnologie, o hanno involontariamente lasciato che venissero
saccheggiate attraverso lo spionaggio, sono ormai controllate da tutti i
paesi industriali. Il giorno in cui delle imprese cinesi delocalizzano
la loro produzione in India per delle ragioni di costo della manodopera,
bisognerà ridurre drasticamente (perfino eliminare) i costi e quindi le
prestazioni di istruzione, di copertura sociale e pensionistica per
tentare di allineare il salario di un operaio o di un ingegnere
statunitense con quello del suo omologo indiano o indonesiano. È
impossibile. Quel che è sicuramente possibile in teoria, è quello che
questi liberiscambisti chiamano protezionismo, ossia la creazione di
barriere doganali. Si tratta di applicare ai prodotti importati una
tassa che, ripercuotendosi dall'importatore al cliente finale, porta il
prezzo di vendita del prodotto importato allo stesso livello del prezzo
di vendita del prodotto locale. Contrariamente a ciò che dicono alcuni
detrattori, queste tasse quindi non vengono imposte ai produttori dei
paesi esportatori, bensì ai consumatori del paese importatore, dal
momento che sono questi alla fine a pagare il prodotto tassato e
distribuito, laddove una parte del prezzo di vendita rimborsa certamente
il costo di produzione e di trasporto, ed un altra parte rimborsa le
tasse pagate dall'importatore. Quanto a pensare che l'impossibilità di
importare a poco prezzo incoraggi a produrre nei paesi di vendita, si
tratta di una scorciatoia da parte dell'economista o del politico più
avvezzi al dibattito di idee che alla costruzione di linee di
produzione. In primo luogo, bisogna che ci sia un mercato certo e
sufficiente a sviluppare una produzione locale, poi occorre un senso di
stabilità giuridica a medio-lungo termine (l'industriale non deve
credere che alla prossima alternanza politica le tasse verranno
rimosse), infine bisogna che ci sia la disponibilità di materie prime,
di competenze e, eventualmente, una rete di subappalti o di produzione
di semilavorati. Alcuni paesi ex-industriali hanno perduto
definitivamente la capacità di produrre questo o quel caposaldo della
tecnologia (computer, armi avanzate...) in quanto hanno smantellato
l'ultimo loro fiore all'occhiello industriale ed hanno lasciato che
sparisse tutto un settore di piccole imprese subappaltanti e tutta una
filiera di formazione tecnologica. La politica argentina degli anni dal
2011 al 2015 ha fatto scomparire decine di migliaia di negozi di
computer e periferiche (nessuno ha più prodotto mouse), ed ha portato al
ritorno del gas e dell'elettricità in decine di migliaia di case dal
momento che i tubi ad energia solare per il riscaldamento dell'acqua
sono prodotti solo in Cina; ogni settore produttivo ha manovrato per
cercare di ottenere l'autorizzazione ad importare i suoi componenti
insostituibili, dal momento che l'alternanza politica ha fatto perdere
tutti gli investimenti per una produzione alternativa. Per quel che
riguarda gli Stati Uniti, questo paese la cui tassazione è negativa da
decenni non ha la capacità di mettere delle tasse ai suoi cittadini, i
dollari che stampa senza ritegno sarebbero più utili se venissero
direttamente distribuiti ai disoccupati anziché essere usati per
sovvenzionare dei lavori non redditizi. Dal momento che per aumentare di
un dollaro il Prodotto Interno Lordo bisogna indebitare lo Stato per 6
dollari, se guardiamo l'aumento proporzionale del PIL e quello del
debito negli ultimi vent'anni, perfino l'ozio economico sovvenzionato è
meno dispendioso della falsa attività in perdita. Il solo mezzo per
resuscitare l'economia (che è sinonimo di consumo) potrebbe essere
creare un grande mercato del tutto aperto con il Messico, in cui 400
milioni di consumatori godrebbero di un livello messicano di vita e di
un livello statunitense di indebitamento.
Gli
Stati Uniti sono insolventi, e la Cina lo sa. Non sono in grado di
rimborsare il loro debito in qualcosa che sia diverso dai dollari,
poiché producono meno di quello che consumano (il risparmio è assai
negativo), non hanno delle riserve e perfino la loro massa monetaria
nominale è niente a confronto del loro colossale debito. I trumpomani
che immaginano che il ripristino della serietà degli Stati Uniti passa
per il ripristino del Gold Standard non hanno calcolato che in primo
luogo bisognerebbe dividere il valore nominale del dollaro per 55 - dal
momento che, dall'agosto del 1971 al settembre del 2011 (fine della
quotazione libera dell'oro), è passato a valere da 1/35° di oncia ad
1/1921° di oncia (ancora sopravvalutato) - e poi forse ancora per 9, in
quanto da allora è passato da 1/10° di bitcoin ad 1/920°. L'unico bene
statunitense che potrebbe interessare la Cina è. come in Africa, in Asia
del Nord ed in America del Sud, la terra; ma essa non potrà essere
alienata prima del totale crollo istituzione e militare degli Stati
Uniti.
Quindi gli interessi della Cina e degli
Stati Uniti sono complementari; un ipotetico confronto economico non
corrisponde alla realtà ed un confronto militare sarebbe insensato. La
Cina non prenderà l'iniziativa, la prima potenza economia ed il primo
produttore mondiale non farà niente contro la prima impotenza economica
ed il primo debitore mondiale.
- Stratediplo - Pubblicato il 31 gennaio 2017 -
fonte: Stratediplo
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