lunedì 12 giugno 2017

"Il nuovo filo rosso che può unire le sinistre". Intervento di Gianluca Schiavon


Non capita sovente che in pochi giorni. a fronte di una legge elettorale di dubbia costituzionalità, una parte significativa delle borghesia riflessiva italiana si interroghi sulla tenuta del sistema democratico italiano e sul futuro di una proposta elettorale di sinistra. E lo faccia non in base alla collocazione topografica del singolo dirigente politico, in un centrosinistra immaginario, ma in base a poche parole d’ordine e a un testo normativo: la Costituzione repubblicana.
Lo storico dell’arte moderna Tommaso Montanari e la giuspubblicista Anna Falcone sono due intellettuali militanti che hanno contribuito con la loro mobilitazione volontaria a sconfiggere il disegno di stravolgimento dei poteri e dei diritti avanzato da Renzi e Boschi.
Rappresentano una generazione che fuori e oltre, ma non contro, le soggettività politiche, sindacali e l’associazionismo classico (ANPI e ARCI) hanno fatto prevalere e, persino, reso egemone la difesa della Costituzione antifascista su un’ideologia della modernizzazione decisionista. Sono consapevoli del fatto che sul sì e sul no il 4 dicembre si è definitivamente strappata la foto dell’album di famiglia che ritraeva il gruppo dirigente della sinistra apparentata – salvo qualche defezione – dagli anni settanta ai giorni nostri.
Forti, dunque, di questa consapevolezza hanno scritto per il manifesto un appello di grande semplicità che getta le basi per una aggregazione politica a sinistra sans phrase: senza aggettivi né paletti, senza quarti di nobiltà né rendite di posizione. Un’aggregazione fondata sul dovere di rimuovere gli ostacoli alla libertà e all’uguaglianza tra i cittadini e di far partecipare le lavoratrici e i lavoratori all’organizzazione del Paese che abbia l’ambizione di compendiare la dottrina sociale della chiesa, ribadita a sfinimento dal papa, e il pensiero di Lelio Basso e di Massimo Severo Giannini sintetizzato nell’art. 3, comma 2, della Costituzione. Una lista da costruire affinché non accada più che la sinistra vada al governo per fare la destra, non perché è alleata alla destra, ma perché è diventata essa stessa destra liberale, in qualche caso, persino illiberale, così trasformando il suo elettorato e la sua base in una tifoseria.
Un approccio opposto a quello di Giuliano Pisapia – il quale, non a caso, è stato a favore delle principali scelte di Renzi – secondo il quale il problema del PD non si iscrive nella sua natura, ma nell’alleanza con Alfano oggi e, domani, con Berlusconi. Un’ambizione opposta a Pisapia federatore del centrosinistra cioè estensore o facilitatore di un patto d’acciaio tra gruppi dirigenti del PD e di altre forze più modeste volto a governare l’Italia attuale ristretta nel perimetro dei vincoli e dei trattati europei e transnazionali che hanno contribuito a ferire o disapplicare la Costituzione.
Il centrosinistra di Pisapia è la riedizione dell’accordo strategico tra la sinistra sconfitta di Benoît Hamon a la postsinistra liberale di Emmanuel Macron. Nell’appello per un’alleanza popolare per la democrazia e l’uguaglianza e, seppur in maniera più sfumata, anche nell’appello di Libertà e Giustizia si riscontra un punto di vista più affine a quello del repubblicanesimo progressista di Jean Luc Mélenchon.
L’alleanza sperata da Falcone e Montanari non esclude nessuna forza politica, culturale, di autorganizzazione sociale, a differenza di quanto pare fare Giuliano Pisapia il quale, secondo i retroscena dei principali quotidiani, esclude dal suo percorso finanche le forze parlamentari Sinistra Italiana e Possibile.
L’aggregazione elettorale di sinistra costituzionale, per essere appetibile, deve avere una soglia di accesso bassa, a prescindere dalle divergenze passate. Tutti i soggetti politici che vi parteciperanno devono mettersi a disposizione e cedere sovranità avendo l’ambizione di governare per cambiare l’esistente e, quindi, senza alleanze con le forze che approveranno la legge elettorale.
Solo se l’assemblea del 18 giugno darà seguito all’appello e produrrà una lista unitaria di sinistra può cominciare ad esaurirsi il ciclo di crescita del Movimento 5 Stelle: perché le esigenze popolari hanno cominciato a trovare una diversa e nuova risposta e, al contempo, perché è emerso, non dal casting della Casaleggio associati, una nuova leva di rappresentanti istituzionali delle vittime della precarietà e dell’autosfruttamento.
La rappresentanza al progetto di sinistra senza aggettivi non esaurisce, evidentemente, la necessità di ribaltamento del rapporto di classe tra il capitale e la forza a lui antagonista, né di ricomposizione dei soggetti sociali che compongono questa forza. Le basi per concorrere al progetto non paiono, tuttavia, incompatibili alla costruzione anche in Italia di un soggetto che abbia l’ambizione di rifondare il pensiero e l’organizzazione della trasformazione e del superamento del capitalismo.

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