giovedì 29 giugno 2017

Abbiamo un problema e si chiama Pd di Ida Dominijanni

Risultati immagini per renzismo fotoNel famoso paese normale che l'Italia non è mai diventata, e che peraltro temo non esista da nessuna parte, un'astensione di più del 50% in un'elezione comunale – quella in teoria più vicina agli interessi degli elettori – sarebbe l'unico argomento serio di cui parlare a commento del voto di domenica. O almeno, la cornice inaggirabile entro cui leggere i risultati, con minore esultanza da parte di chi ha vinto e minore strafottenza da parte di chi ha perso. A meno che il modello Macron non sia diventato davvero l'ultima tentazione di un sistema politico allo sbando: un leader che si prende la stragrande maggioranza del parlamento con il 20% dei voti dell'elettorato e buonanotte (come del resto consentiva il combinato disposto fra l'Italicum e la riforma costituzionale bocciata il 4 dicembre). Viene il sospetto che a questo miri, consapevolmente o no, il grosso dell'attuale classe dirigente: favorire la disaffezione per la politica e continuare a regnare sul nulla indisturbati.
    
È davvero sorprendente l'impermeabilità di Matteo Renzi e dei suoi non più alle critiche dei gufi e dei rosiconi, ma alla dura e inequivocabile realtà dei fatti. Sorprendente ma chiarificante, perché getta luce sulle ragioni di fondo del risultato stesso, che attengono, lo si voglia o no, a quello che il Pd è diventato, al centro e in periferia. A forza di rappresentarsi – come fa dalla sua fondazione, non da quando c'è Renzi – come il partito della Nazione, il partito perno del sistema politico, il partito i cui destini coincidono con i destini della democrazia italiana, il Pd ha finito con il credere che la sua esistenza e la sua centralità siano davvero una necessità storica che prescinde da quello che concretamente è e fa. Una sorta di immunizzazione politica, che gli consente di scrollarsi di dosso qualunque smentita dei fatti e degli elettori, quasi sempre, peraltro, largamente prevedibile per chiunque abbia un minimo di senso della realtà
Prendiamo il caso di Catanzaro, troppo rapidamente scomparso dalle cronache essendo invece, questa volta, alquanto sintomatico dell'aria che tira. Più di sei mesi fa, quando il sindaco uscente di Forza Italia, Sergio Abramo, era dato per spacciato e il PD non aveva idea di chi candidare, un indipendente di sinistra, Nicola Fiorita, dà la sua disponibilità, come si dice adesso, a scendere in campo. Quarantacinquenne, indipendente di sinistra, docente all'Unical (di diritto islamico nello spazio europeo, competenza che di questi tempi non guasta), scrittore (due romanzi di successo firmati con il collettivo Lou Palanca), attivista di Libera e presidente regionale di Slow Food, è il candidato ideale per aggregare il campo di centrosinistra e svegliare una città rassegnata e ripiegata.
    
Il Pd dovrebbe ringraziare e cogliere la palla al balzo. Invece chiude porte e finestre, cerca l'accordo con un impresentabile Ncd che non gli si concede, infine tira fuori il "suo" candidato, Enzo Ciconte, Pd doc, cardiologo e consigliere regionale di peso (indagato per Rimborsopoli, ma questo è perfino secondario), e lo blinda con 11 liste-omnibus che imbarcano la (peggiore) metà dell'amministrazione di centrodestra uscente e del relativo blocco elettorale di riferimento (mattone e grande distribuzione). Fiorita, nel frattempo, va per la sua strada, costruisce il movimento Cambiavento e tre liste civiche, fa una campagna elettorale empatica con la città, non recintata ideologicamente, dura contro il centrodestra e il suo gemello di centrosinistra ma priva di toni grillini e antipolitici, che sorprende fin da subito per la mobilitazione che suscita e i consensi che riceve.
    
Al primo turno supera qualunque aspettativa incassando il 23%, Ciconte si ferma al 31% (il 13% in meno della sua corazzata, che dirotta su Fiorita un buon 10% di voto disgiunto e in cui la lista targata Pd ottiene un misero 5%), Abramo resuscita con il 39%, la candidata del M5S non va oltre il 6,6%. Particolare saliente, l'affluenza alle urne, in una città da sempre in coda alle statistiche nazionali, balza a più del 72%. A quel punto, fuori tempo massimo, Ciconte cerca un impossibile accordo con Cambiavento per il ballottaggio, Fiorita rifiuta e non si schiera. Al secondo turno Abramo mantiene i suoi voti del primo, schizza al 64%, e si riprende per la quarta volta in venti anni la città senza alcun merito, Ciconte ne perde 4000 e precipita al 31%. L'affluenza precipita anch'essa e si allinea al dato nazionale del 47%
Fine della storia. Che ovviamente, come tutte le storie delle elezioni locali, non si può generalizzare. Ma che tuttavia qualcosa dice, e con chiarezza. Primo: la partecipazione al voto dipende dall'offerta politica: quando può votare per un cambiamento, o scegliere fra alternative vere, la gente va a votare, quando deve scegliere fra il peggio e il meno peggio o il gemello del peggio non ci va. Secondo. Il Movimento 5 Stelle non è un blocco granitico di voti congelati nella protesta fine a se stessa: quando c'è in campo una proposta di cambiamento seria e plausibile il M5S si disintegra. Terzo. La presunzione del Pd di essere quello che dà sempre le carte, anche quando poi si rivela un partito del 5%, lo porta alla rovina, è ostativa per qualunque politica delle alleanze, sbarra la strada a candidati e esperienze emergenti e potenzialmente vincenti. Detto più crudelmente, l'alternativa in cui si sta esercitando il dibattito nazionale è del tutto astratta: "questo" Pd non solo non ha nulla della "vocazione maggioritaria" tranne l'arroganza, ma non può essere il perno di nessuna coalizione e di nessun centrosinistra "largo"; è sempre il problema, mai la soluzione.
La campana delle amministrative suona per Renzi ma non solo per lui. Il tempo delle formule è finito per tutti. Di fronte a un paese che si riconsegna a una destra del rancore, la ricostruzione di un campo di sinistra è possibile se non procede per somme e sottrazioni né solo per i pur necessari programmi, ma per la ritessitura paziente, razionale e affettiva, di una rete di esperienze, pratiche, soggettività vive, nate e cresciute malgrado le macerie che lo ingombrano.

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