Tomaso Montanari ha ragione. Il tempo è ora. E non si può aspettare più.
L'impressione è quella di essere
precipitati dentro la sceneggiatura di una commedia, neppure ben
scritta. Un dibattito asfittico e autoreferenziale perché privo degli
occhi, e delle orecchie, per vedere e ascoltare ciò che accade nel mondo
che ci circonda. Un dibattito che riduce la politica alla tattica, al
posizionamento, nel quale ciò che scompare è il cuore della questione.
La
politica, la sinistra, hanno senso solo se sono capaci di rivolgersi
alla vita delle persone, se sono capaci di distinguere tra chi si è
impoverito e chi, invece, continua ad arricchirsi, se sanno vedere le
disparità tra i molti e i pochi. Se sanno fare questo, la politica e la
sinistra, tutto diventa più semplice, e la strada da percorrere si fa
più chiara.
Chi
sono i nemici e chi gli avversari, e così, anche chi sono i possibili
alleati. Da una parte ci sono i grandi interessi economici finanziari,
le grandi banche di investimento che generano la crisi, privatizzano i
profitti e socializzano le perdite, sottraendo i soldi di tutti per
salvarsi e riprodurre questo meccanismo. L'industria militare che
accresce le commesse e i dividendi, mentre cresce la guerra e la
disperazione. Le grandi multinazionali che evadono ed eludono il fisco
sottraendo un volume di risorse che potremmo dedicare agli investimenti,
per poter prenderci cura della scuola, della ricerca, della sanità, dei
beni comuni e del territorio: insomma del benessere dei molti e non dei
pochi.
E poi
ci sono quelli che in fondo consentono che tutto questo succeda, che
non cambi mai nulla. Quelli che ci raccontano dell'eterna emergenza,
facendone un alibi per far digerire le peggio cose. Siamo sempre in
emergenza senza mai mettere al centro del discorso pubblico l'unica,
vera, grande emergenza: la diseguaglianza che cresce a ritmi
insostenibili e che condanna moltitudini sempre più sterminate alla
povertà e alla marginalità.
Ci
sono le destre, razziste e fasciste che danzano sulla paura e sulla
solitudine, quelle che mentre dicono "prima gli italiani" pensano agli
italiani più ricchi e ti propongono la Flat Tax,
ovvero poche tasse a chi ha di più e meno risorse e diritti per chi ha
poco o nulla. C'è il Movimento 5 Stelle, che oltre ad accarezzare l'onda
xenofoba che monta, svolta a destra anche sulle ricette economiche
mettendo in cima alla lista dei nemici il sindacato come nella "migliore" tradizione italiana degli ultimi decenni.
E
poi, occorre dirlo, c'è il Pd. Sì, il Pd, perché non si può far finta
di non vedere che le sue politiche, dal Jobs Act alla buona scuola,
dallo sblocca Italia che sblocca il cemento e la speculazione, al
tentativo di stravolgere la Costituzione, ormai ha passato il segno anche sul terreno dei valori fondamentali, con la rinuncia allo Ius Soli e con quel tristemente noto "aiutiamoli a casa loro", che ha dato seguito alla guerra alle Ong
e, cosa ben più tragica, agli accordi in Libia con i trafficanti e i
torturatori di migranti, perché blocchino donne, uomini e bambini in
quell'inferno. Il Pd, e queste sue scelte, sono una parte essenziale del
problema.
Ma
dunque chi sono gli alleati di una sinistra nuova? Potenzialmente
tantissimi. Milioni di uomini e donne colpiti dalla crisi e dalle
"riforme" che l'hanno accompagnata. I giovani prima di tutto. Una
generazione precaria, espropriata del futuro prima ancora che di un
contratto di lavoro decente. Quelli costretti a lavorare gratis o a
svolgere l'alternanza scuola lavoro nelle cucine delle feste del partito
di maggioranza. Quelli che non vedranno la pensione e che se la
vedranno sarà da fame. Sono le donne, perché la diseguaglianza di genere
dal potere ai salari è sempre più grande. E gli anziani che con la
pensione che hanno non ce la fanno a campare. È da qui che occorre
partire. Per farlo servono poche cose. Chiare.
Abbiamo bisogno di proposte semplici, coraggiose e radicali. Corbyn ha detto "siamo il nuovo senso comune".
Occorre uscire dalla minorità, che è innanzitutto fatta di paura.
Diciamo allora che è sacrosanto e per nulla estremista far pagare i
costi della crisi a chi si è ingiustamente arricchito sulla pelle della
maggioranza.
E
cambiamo l'ordine del discorso. Occorre investire e non tagliare per
creare lavoro, e occorre farlo mettendo in campo un'altra idea dello
sviluppo che faccia dell'ambiente e della tutela dei beni comuni il
centro delle nostre preoccupazioni. Se ci sono pochi laureati e sempre
meno immatricolati allora dobbiamo fare del diritto allo studio la
nostra priorità e porre il tema della gratuità dell'istruzione al centro
del nostro programma.
E
se in questi anni governi di segno diverso si son posti il problema di
come licenziare con più facilità le persone avremo il coraggio di dire
che basta, che vanno reintrodotti i diritti che sino stati sottratti, ma
che vanno anche allargati, ripensati, alla luce di un mondo del lavoro
che è cambiato profondamente. È una bestemmia sostenere che non si può
licenziare qualcuno se il bilancio di quell'azienda è in attivo? O
dobbiamo continuare ad ascoltare le notizie che comunicano grandi utili e
nello stesso tempo grandi piani di ristrutturazione (leggi licenziamenti)?.
Possiamo
dire che davanti alla crescita dei nuovi lavori, in particolare quelli
legati all'economia digitale ci sono nuovi diritti da rivendicare come
quello del diritto alla disconnessione per chi è costretto a rispondere
alla email del capo 24 ore al giorno?
E
ancora, che se la scena che abbiamo davanti è quella nella quale sempre
meno persone lavorano, con salari sempre più bassi, con meno diritti e
per un tempo più lungo; e che, se le nuove tecnologie e l'automazione
sono destinate ad aumentare questa tendenza, è arrivato il momento di
porre con forza la questione della riduzione del tempo di lavoro a
parità di salario? Per redistribuire il lavoro ma anche per liberare
tempo di vita.
Partiamo
dunque. Il tempo è ora. E come dice Tomaso Montanari, facciamolo
mettendo insieme culture, storie e perfino linguaggi diversi.
Incontriamoci subito. Con tutti quelli e tutte quelle che sentono questa
urgenza. Facciamo tutto quel che serve, tavoli e assemblee. Purché
giungano i titoli di coda di questa inutile commedia e si possa, con lo
spirito di chi si indigna e vuole cambiare le cose, cominciare una
storia nuova.
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