Rallentata l’ondata di pubblicazioni che riempivano un vuoto dopo
anni di oblio, è possibile e necessario ricollocare Guevara fuori dal
mito e dalla retorica del “guerrigliero eroico” ma sfortunato. Dissolta
la nuvola di pubblicazioni di terza mano, rimangono alcune grandi
biografie frutto di un lavoro reale tra cui spicca per completezza
quella di Paco Ignacio Taibo II, che ha potuto far fruttare i molti
rapporti con stretti collaboratori del Che stabiliti nei suoi lavori
precedenti su Santa Clara e sul Congo.
1 C’è poco da chiarire invece sulle circostanze della morte di
Guevara: conta poco se l’ordine di ucciderlo a freddo è partito da
Washington o da La Paz. Conveniva a molti impedire che in un processo
pubblico potesse spiegare le ragioni della sua scelta. Invece rimangono
da chiarire le ragioni della solitudine del Che negli ultimi sei mesi,
senza medicine, senza radio, senza modesti walkie talkie per
mantenere il contatto con la seconda colonna; senza che si tentasse,
come fu fatto con altri nuclei di guerriglieri in quegli stessi anni, di
far arrivare boliviani pratici della zona per aiutarlo ad uscire da
quella regione ostile.
2 Era rimasto in ombra un altro elemento decisivo: perché il Che
aveva lasciato Cuba, che egli amava e dove era amatissimo. Eppure si
chiarisce facilmente se si riflette sul testo di bilancio della
spedizione nel Congo, finalmente pubblicato nel 1994 in tutto il mondo
(tranne che a Cuba, che ha dovuto aspettare altri cinque anni). Appare
chiaro che a quell’impresa – già avviata da altri – Guevara si era
dovuto aggiungere, dopo la critica ai “paesi socialisti” complici
dell’imperialismo, divenuta inevitabilmente pubblica perché pronunciata
ad Algeri. Era abbastanza esplicita da suscitare l’ira di Mosca, come
ammise anche Raúl Castro nell’atto di accusa contro la “microfrazione”
di Aníbal Escalante. Anche l’impresa di Bolivia non era una iniziativa
personale del Che: con lui erano partiti diversi membri del CC del
partito comunista cubano. Casomai resta da chiarire come mai in entrambi
i casi le informazioni raccolte dai servizi cubani erano risultate poco
fondate: per il Congo in ritardo di almeno sei mesi, per la Bolivia del
tutto sbagliate.
3 Anche se Guevara non ha contribuito all’arricchimento del marxismo
come Lenin, Rosa o Trotskij, è apparso giustamente un gigante rispetto
alla maggior parte dei dirigenti comunisti o socialisti della sua epoca,
perché ha “riscoperto” alcuni semplici pilastri del marxismo
dimenticato o occultato: la necessità dell’indipendenza del partito
comunista, il rifiuto della collaborazione interclassista,
l’autorganizzazione del proletariato, l’internazionalismo. Era difficile
farlo in un epoca in cui invece dei classici del marxismo in tutti i
partiti comunisti si studiava sui “brevi corsi” tradotti dal russo, che
assicuravano un indottrinamento fideistico. Per questo, senza troppe
polemiche, il Che ha dovuto lasciare una Cuba che cominciava ad essere
assimilata allo stile sovietico su molti terreni, compreso quello della
“doppia verità”. Il gruppo dirigente cubano, per sopravvivere in un
mondo ostile, e non solo per le pressioni sovietiche, stava imboccando
una strada che in pochissimi anni l’avrebbe portata a tacere sugli
errori e sui crimini di ogni governo “amico”, a partire da quello del
Messico (il massacro di piazza Tlatelolco nel 1968, ignorato dalla
stampa cubana, segue di appena un anno la morte del Che). Ma avrebbe
taciuto anche sulle illusioni di Salvador Allende sulla evitabilità di
un conflitto necessario per difendersi anche con le armi in caso di
inasprimento del conflitto.
4 Grande merito del Che è la comprensione tempestiva della crisi
strisciante dell’URSS e dei paesi che ne avevano dovuto seguirne il
modello, e in particolare la Cecoslovacchia. Grazie all’apporto di molti
consiglieri cechi e anche sovietici, Guevara aveva saputo passare dal
primo entusiasmo ingenuo dopo il primo viaggio in quei paesi (quando si
autodefinì egli stesso “Alice nel continente delle meraviglie”) a una
critica puntuale della crisi sociale ed economica che li minacciava e
che sarebbe venuta alla luce in Cecoslovacchia pochissimi anni dopo la
sua morte, trascinando con sé gran parte dei militanti comunisti educati
al culto dell’URSS e al fideismo.
5 Le Critiche al manuale di economia dell’Accademia delle scienze dell’URSS, ribattezzate da Borrego Quaderni di Praga perché
completate in quella città, rimasero inedite per quaranta anni,
nonostante il Che le avesse preparate minuziosamente per la
pubblicazione. Da alcuni economisti cecoslovacchi come Valtr Komarek era
stato aiutato a capire i punti deboli del “modello sovietico” imposto a
tutti i paesi “socialisti”, ma in quella bellissima città non poté
incontrare nessuno dei suoi amici e compagni locali, perché dovette
vivere da clandestino, senza contatti. Secondo lo stesso Fidel la
permanenza in quella città “aumentava i rischi” per i suoi progetti, e
per questo lo convinse a tornare, di nuovo clandestinamente, a Cuba. Ma
quelle riflessioni critiche sulle strozzature dell’economia sovietica
sarebbero state preziose se pubblicate immediatamente, o almeno al
momento del crollo dell’URSS; ora, rilette attentamente, servono quasi
solo come testimonianza di un itinerario intellettuale. La fine
dell’URSS è lontana, e chi aveva creduto nella sua eternità non vuole
ammettere che era possibile prevederne il declino, come il Che fu capace
di fare.
6 Il ritardo nel pubblicare altri scritti già preparati dal Che, come i Pasajes de la guerra revolucionaria, Congo, ha
avuto conseguenze gravi già per le successive imprese cubane in Africa,
celebrate ancor oggi sorvolando sulle caratteristiche dei regimi che
hanno puntellato (Angola, Mozambico ed Etiopia, soprattutto) e su quelle
dei dirigenti dei movimenti di liberazione che si erano formati
giocando sulla concorrenza tra URSS e Cina, come Laurent Désiré Kabila,
su cui il Che aveva espresso un giudizio severissimo non ascoltato, e
che diventerà poi trent’anni dopo presidente della Repubblica
Democratica del Congo.
7 La tardiva pubblicazione di gran parte degli inediti ha avuto una
scarsa incidenza nel dibattito cubano di oggi. Pesa la inesorabile
estinzione per ragioni anagrafiche di alcuni dei tenaci cultori del Che
come Fernando Martinez Heredia, tollerati dopo gli anni di silenzio
forzato ma a condizione di ricorrere a un linguaggio poco comprensibile
ai non addetti ai lavori. Ma si deve anche al fatto che le ricette di
Guevara, come quelle di Lenin nel cosiddetto “Testamento politico”,
erano già in ritardo sulla trasformazione del paese, che era già in gran
parte avvenuta. La sua sconfitta nel dibattito del 1963-64 non era
casuale, era il riflesso del consolidamento di una burocrazia sempre più
consapevole dei suoi interessi, ben diversi da quelli che pretendeva (e
pretende) di rappresentare.
8 Pesa molto il nuovo isolamento di Cuba nel continente. Sono già
stati sconfitti i governi progressisti in Argentina e soprattutto in
Brasile, uno dei paesi chiave per il progetto bolivariano grazie alle
sue dimensioni e le sue risorse, e non è facile che altri ne prendano il
posto in questa fase. Cuba sostiene il governo del Venezuela, ma le sue
difficoltà non sono un’invenzione dei media ostili: Caracas ha dovuto
ridimensionare drasticamente le forniture di petrolio. L’isola quindi è
sola di fronte agli Stati Uniti, per giunta guidati non più da un Obama
(di cui era peraltro lecito dubitare all’inizio delle trattative per
riprendere i rapporti diplomatici) ma da un bruto imprevedibile come
Trump. Tanto più perché utilizzano largamente l’argomento del
comportamento non ineccepibile del governo Maduro, principale anche se
ormai insufficiente puntello esterno di Cuba. Lo stesso rapporto
privilegiato instaurato tra Cuba e Venezuela (sul piano economico, ma
anche politico e ideologico, e con un forte legame personale tra i due
fratelli Castro e Chávez) era stato utile e prezioso soprattutto per
l’isola, ma a Caracas evocava il rischio di un’assimilazione a Cuba, che
spaventava per la sua rigidità ideologica e il permanere delle pesanti
difficoltà economiche della popolazione, e forniva argomenti alle
opposizioni ostili a una maggiore integrazione nell’ALBA. E di fatto era
stata dimenticata e comunque poco ascoltata un’altra delle indicazioni
di Guevara, che pensava già cinquant’anni fa a coordinare i movimenti, più che gli Stati di un presunto “campo progressista”…
9 Un’altra “riscoperta” di Guevara che allora sbalordì il mondo e fu
alla base del suo fascino tra i giovani, è che la verità è
rivoluzionaria, che bisogna dire quel che si pensa e fare quel che si
dice. Era scontata in Lenin, Trotskij, Rosa, Gramsci, ma era stata
dimenticata nei decenni in cui la maggior parte dei partiti comunisti
abbellirono con frasi rivoluzionarie una collaborazione di classe non
diversa da quella praticata dalle socialdemocrazie. Sembra poco ma è
tantissimo, per la sinistra smarrita e afona in tutto il mondo.
Basterebbe questo per rendercelo indispensabile.
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