venerdì 13 agosto 2010

Sempre con Fiat. La tattica del nuovo Bonanni

La Cisl teme la globalizzazione più di Sergio Marchionne
Le polemiche sindacali sono spesso riservate a pochi addetti ai lavori, ma l’editoriale di Dino Greco su Liberazione di ieri ha il pregio di chiarire, a modo suo, il tema di questi giorni: “Il repellente servilismo di Bonanni”. Bastava accendere il televisore, mercoledì notte: su Rai3 il leader della Cisl spiegava perché la Fiat aveva deciso di fare ricorso per confermare tre licenziamenti punitivi annullati dal giudice, rassicurava che “in Italia i diritti sindacali sono solidissimi”, ricordava a tutti che quella del Lingotto è “un’azienda che si ricostruisce, che ha pronti nuovi modelli, che vuole investire 20 miliardi di euro in Italia”. Giorgio Cremaschi, ala intransigente della Fiom (i metalmeccanici della Cgil che hanno dato battaglia alla Fiat di Sergio Marchionne nella vicenda di Pomigliano d’Arco) constata: “E’ un dato di fatto, quando noi attacchiamo la Fiat, poi Bonanni va in tv a difenderla”. Perfino Europa, quotidiano che una volta faceva capo alla Margherita e ora è il termometro dell’area popolare-cattolica del Pd, si chiedeva pochi giorni fa in un editoriale: “Ma Bonanni fa ancora il sindacalista?”. In quelle ore qualcuno faceva circolare l’indiscrezione – o la calunnia – che Bonanni fosse pronto a lasciare la Cisl per andare al ministero dello Sviluppo economico, al posto di Claudio Scajola.
L’avvento di Berluschionne
Cremaschi ha trovato un suo personale artificio retorico per spiegare alle colombe della Cgil il rischio-Bonanni: “Nel capo della Cisl si conciliano la linea aziendalista di Marchionne e l’attacco ai magistrati e alla giustizia tipico di Silvio Berlusconi, come dimostra il sostegno alla riforma del mercato del lavoro che vuole sostituire gli arbitri ai giudici del lavoro”. Un “Berluschionne” da far impallidire il “D’Alemoni” inventato da Giampaolo Pansa, per raccontare l’inciucio D’Alema-Berlusconi. Prova dell’esistenza del “Berluschionne” sarebbero le dichiarazioni di un paio di giorni fa di Bonanni. “Tutti gli scioperi nelle fabbriche Fiat sono stati un clamoroso insuccesso. E’ stato più clamore mediatico che un movimento vero”, poi l’applauso al Lingotto: “L’azienda fa bene a non farsi irretire dalla Fiom”. A voler cercare le basi storiche di questo atteggiamento verso la Fiat del “sedicente sindacalista”, come lo chiama Liberazione, si arriva al 2001. Le edizioni del Lavoro della Cisl pubblicano “Dentro la Fiat, il Sida-Fismic, un sindacato aziendale”, con prefazione del sociologo ed ex-sindacalista cislino Bruno Manghi. Una storia revisionista di Edoardo Arrighi che nella Fiat di Vittorio Valletta, alla fine degli anni Cinquanta, perseguiva la collaborazione con la dirigenza invece che lo scontro, rifiutando lo sciopero (anche nel giorno dell’attentato a Palmiro Togliatti) e diventando il leader dei crumiri. Per questo venne messo ai margini, lasciando la Cisl per fondare il Sida, Sindacato Italiano dell’Auto, ora Fismic. “Credo che Bonanni sia una degenerazione di quel sindacalismo aziendale”, dice Cremaschi.
La guerra di posizione
Però il “repellente servilismo” non è l’unica chiave di lettura della linea di Bonanni. Certo, a leggere le dichiarazioni di archivio sembra che sotto la sua guida la Cisl dica sempre “sì”: alla legge Biagi, alla privatizzazione di Alitalia con i suoi esuberi, al trasferimento della monovolume Fiat in Serbia da Mirafiori. Ma chi riesce a cogliere le sfumature del mondo cislino assicura che una strategia, o almeno una tattica, c’è eccome. Pier Paolo Baretta, già sindacalista della Cisl, ora è un deputato del Partito democratico. E spiega: “Alla guerra in campo aperto di stampo medievale della Cgil, la Cisl contrappone la guerriglia”. Il punto di partenza è lo stesso: c’è un problema con la globalizzazione (che rende possibile spostare le fabbriche dove il lavoro costa meno) e con il declino industriale dell’Italia. Il compito del sindacato non è più strappare concessioni “al padronato” ma difendere le conquiste del passato dall’assalto dei prodotti cinesi e dalla transizione, lunga, del sistema produttivo italiano dal Novecento al Ventunesimo secolo. In pratica la Cgil e la Fiom credono che si debba scavare una trincea e non arretrare, la Cisl – spiega Baretta – preferisce la “guerra di movimento”. Non si combattono le battaglie perse in partenza, si strappa quel che si può dove i lavoratori hanno ancora potere contrattuale e si cerca di farsi trovare pronti dove il sindacato può influire sulle scelte aziendali. Nel concreto questo si traduce nella linea morbida con la Fiat, perché altrimenti chiude gli stabilimenti in Italia e se ne va, e in quella dura con le Ferrovie dello Stato e la Telecom dove la politica conta ancora qualcosa e si può scioperare come in altri tempi. In sindacalese Baretta lo dice così: “Il padronato, le multinazionali e la finanza sono più avanti del sindacalismo che non riesce a formare una linea sovranazionale efficace”, come sarebbe per esempio la pressione per avere un contratto europeo dell’auto ed evitare la competizione tra operai campani e polacchi.Ma il 29 settembre, alla manifestazione di Bruxelles dei sindacati europei contro la gestione della crisi, la Cisl non ci sarà (e neppure la Uil). “E’ la dimostrazione che quello di Bonanni è il sindacato più a destra d’Europa”, deduce Cremaschi.
Da Il Fatto Quotidiano del 13 agosto 2010

Nessun commento:

Posta un commento

Di la tua