Sono tanti, determinati, giovani. Disoccupati, precari, studenti. Come scrivono nei loro manifesti, alcuni hanno convinzioni ideologiche profonde, altri meno. In comune hanno di fronte a loro un futuro fatto di un'unica certezza. Quella della precarietà, della disoccupazione, dell'esclusione sociale per la gran parte di loro. Sono coloro che ereditano il portato della crisi e degli effetti reali del neoliberismo: ricchezza e privilegi per pochi, precarietà, disoccupazione e sfruttamento per i più.
Sono le migliaia di ragazzi che stanno da giorni occupando le maggiori piazze della Spagna. Quando scrivevamo delle rivoluzioni medio orientali, della loro natura sociale e della loro potenzialità di contagio sulla sponda nord del mediterraneo avevamo visto giusto. Sono indignati contro il sistema sociale e politico. Sbaglia chi, in cerca di facili analogie, vuole rappresentare questo movimento come semplicemente antipolitico. E' contro il sistema sociale e politico. Ma pone domande politiche. A partire dalla richiesta di una legge elettorale proporzionale. Ha domande di giustizia sociale a cui la post politica bipolarista non sa e può rispondere. Perché si è arresa da tempo al domino del monetarismo e ai diktat dei mercati e della banca centrale europea.
La Spagna di Zapatero, quella che alcuni, anche da noi, volevano ergere a nuovo paradigma della sinistra del ventunesimo secolo, crolla di fronte alla sua sostanziale inesistenza di fronte alle domande reali della società spagnola e delle sue giovani generazioni. Domanda di lavoro, salari, casa, sanità, politiche ambientalmente e socialmente giuste. La post-politica bipolare non può rispondere. Può avanzare sui diritti civili, ma, come è stato evidente nel caso di Zapatero, è muta e arrendevole quando si parla di diritti sociali. Senza colpo ferire si sono accettati tutti i tagli imposti dai piani di austerità europei. Si sono applicate le ricette liberiste e oggi si raccolgono le macerie di quanto seminato in questi anni. In questo la Spagna non è sola. E' insieme alla Grecia, all'Italia, al Portogallo, all'Irlanda. All'Europa, che risponde alla crisi sociale ed economica scaricando tutto sui più deboli.
Vi è un bello striscione, che abbiamo visto esposto da un balcone di una delle piazze in rivolta. Dice, testualmente: «Il capitalismo non funziona. Vivere è un'altra cosa». Nel manifesto scritto della piazza di Barcellona si leggono inoltre queste parole: «Le priorità di qualsiasi società avanzata devono essere l'uguaglianza, il progresso, la solidarietà, la libertà di accesso alla cultura, la sostenibilità ecologica e lo sviluppo, il benessere e la felicità delle persone. Ci sono diritti fondamentali che dovrebbero essere al sicuro in queste società: il diritto alla casa, al lavoro, alla cultura, alla salute, all'istruzione, alla partecipazione politica, al libero sviluppo personale, e il diritto di consumare i beni necessari a una vita sana e felice. L'attuale funzionamento del nostro sistema economico e di governo non riesce ad affrontare queste priorità e costituisce un ostacolo al progresso dell'umanità… La volontà e lo scopo del sistema è l'accumulazione del denaro, che ha la precedenza sull'efficienza e il benessere della società. Sprecando intanto le risorse, distruggendo il pianeta, creando disoccupazione e consumatori infelici».
Sottoscriviamo parola per parola. In Italia oggi cacciare Berlusconi è una priorità. Un bisogno democratico, di civiltà, di decenza. Le recenti elezioni hanno portato una salutare ventata di novità nel nostro paese. Ma rispondere a questa giusta aspirazione non basta. Anche nel nostro paese esiste una generazione per cui non basta solo liberarsi di Berlusconi, ma che chiede un'Italia diversa, più giusta. Non ha bisogno di un'altra suggestione, ma di risposte concrete alle ansie e alle paure che la crisi del capitalismo produce, all'incertezza e alla disillusione che ne derivano. Le domande dei giovani spagnoli ci chiedono di insistere nel rimetter a tema in forma contemporanea la questione dell'alternativa di sistema, dell'alternativa al capitalismo, del comunismo.
Uguaglianza, giustizia sociale, diritti. Sono le grandi domande per cui è nata la nostra parte politica. E' la questione del cosa, come e perché produrre. Per rispondere a tutto questo c'è bisogno, in Spagna, in Italia come in tutta Europa, di un pensiero forte e di una sinistra degna di questo nome. Perché, come scrivono sempre i ragazzi della Spagna, «Siamo persone, non prodotti sul mercato. Io non sono solo quel che compro, perché lo compro e a chi lo compro».
Sono le migliaia di ragazzi che stanno da giorni occupando le maggiori piazze della Spagna. Quando scrivevamo delle rivoluzioni medio orientali, della loro natura sociale e della loro potenzialità di contagio sulla sponda nord del mediterraneo avevamo visto giusto. Sono indignati contro il sistema sociale e politico. Sbaglia chi, in cerca di facili analogie, vuole rappresentare questo movimento come semplicemente antipolitico. E' contro il sistema sociale e politico. Ma pone domande politiche. A partire dalla richiesta di una legge elettorale proporzionale. Ha domande di giustizia sociale a cui la post politica bipolarista non sa e può rispondere. Perché si è arresa da tempo al domino del monetarismo e ai diktat dei mercati e della banca centrale europea.
La Spagna di Zapatero, quella che alcuni, anche da noi, volevano ergere a nuovo paradigma della sinistra del ventunesimo secolo, crolla di fronte alla sua sostanziale inesistenza di fronte alle domande reali della società spagnola e delle sue giovani generazioni. Domanda di lavoro, salari, casa, sanità, politiche ambientalmente e socialmente giuste. La post-politica bipolare non può rispondere. Può avanzare sui diritti civili, ma, come è stato evidente nel caso di Zapatero, è muta e arrendevole quando si parla di diritti sociali. Senza colpo ferire si sono accettati tutti i tagli imposti dai piani di austerità europei. Si sono applicate le ricette liberiste e oggi si raccolgono le macerie di quanto seminato in questi anni. In questo la Spagna non è sola. E' insieme alla Grecia, all'Italia, al Portogallo, all'Irlanda. All'Europa, che risponde alla crisi sociale ed economica scaricando tutto sui più deboli.
Vi è un bello striscione, che abbiamo visto esposto da un balcone di una delle piazze in rivolta. Dice, testualmente: «Il capitalismo non funziona. Vivere è un'altra cosa». Nel manifesto scritto della piazza di Barcellona si leggono inoltre queste parole: «Le priorità di qualsiasi società avanzata devono essere l'uguaglianza, il progresso, la solidarietà, la libertà di accesso alla cultura, la sostenibilità ecologica e lo sviluppo, il benessere e la felicità delle persone. Ci sono diritti fondamentali che dovrebbero essere al sicuro in queste società: il diritto alla casa, al lavoro, alla cultura, alla salute, all'istruzione, alla partecipazione politica, al libero sviluppo personale, e il diritto di consumare i beni necessari a una vita sana e felice. L'attuale funzionamento del nostro sistema economico e di governo non riesce ad affrontare queste priorità e costituisce un ostacolo al progresso dell'umanità… La volontà e lo scopo del sistema è l'accumulazione del denaro, che ha la precedenza sull'efficienza e il benessere della società. Sprecando intanto le risorse, distruggendo il pianeta, creando disoccupazione e consumatori infelici».
Sottoscriviamo parola per parola. In Italia oggi cacciare Berlusconi è una priorità. Un bisogno democratico, di civiltà, di decenza. Le recenti elezioni hanno portato una salutare ventata di novità nel nostro paese. Ma rispondere a questa giusta aspirazione non basta. Anche nel nostro paese esiste una generazione per cui non basta solo liberarsi di Berlusconi, ma che chiede un'Italia diversa, più giusta. Non ha bisogno di un'altra suggestione, ma di risposte concrete alle ansie e alle paure che la crisi del capitalismo produce, all'incertezza e alla disillusione che ne derivano. Le domande dei giovani spagnoli ci chiedono di insistere nel rimetter a tema in forma contemporanea la questione dell'alternativa di sistema, dell'alternativa al capitalismo, del comunismo.
Uguaglianza, giustizia sociale, diritti. Sono le grandi domande per cui è nata la nostra parte politica. E' la questione del cosa, come e perché produrre. Per rispondere a tutto questo c'è bisogno, in Spagna, in Italia come in tutta Europa, di un pensiero forte e di una sinistra degna di questo nome. Perché, come scrivono sempre i ragazzi della Spagna, «Siamo persone, non prodotti sul mercato. Io non sono solo quel che compro, perché lo compro e a chi lo compro».
In Italia abbiamo una possibilità per dimostrarlo. Il 12 e il 13 giugno, partecipando ai referendum, facendo vincere i sì e così battere non solo il governo, ma anche un pezzo di neoliberismo bipolare.
Fabio Amato, Liberazione
Fabio Amato, Liberazione
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