sabato 28 maggio 2011

Confindustria, la rabbia dei signori

Il mito da sfatare è che l’Italia vada in fondo bene e che dunque gli imprenditori devono piantarla di lamentarsi”. La Confindustria scopre che Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti raccontano balle. Meglio tardi che mai. Ma soprattutto rivendica per i suoi iscritti – non tutti poveri – quel diritto alla ribellione che ha sempre negato ai lavoratori, ai precari, a chi vede lo spettro della disoccupazione, a chi ha già perso l’impiego: è noto che "sempre allegri bisogna stare ché il loro piangere fa male al re".
Adesso che Emma Marcegaglia ci ha detto che anche i ricchi, anzi, solo i ricchi piangono, c’è veramente da avere paura. Ancora pochi mesi fa recitavano il mantra del loro collateralismo: “Il peggio è passato”. Se questi signori, che la sapevano così lunga, ammettono il loro smarrimento, che cosa deve pensare l’operaio della Fincantieri?

La declinante lobby degli industriali ci ha rivelato di essere travolta dalla bancarotta del berlusconismo. Non una sola parola di autocritica, naturalmente: la borghesia industriale italiana vuole giustamente comandare, ma anche assegnare le colpe a chi ha solo obbedito, politici compresi. La presidente della Confindustria ha disegnato un agghiacciante ritratto del “decennio perduto” che ha fatto dell’Italia un Paese semplicemente più povero e forse disperato. E allora ricordiamo che esattamente dieci anni fa, il 24 maggio 2001, la Confindustria di Antonio D’Amato si consegnò a Berlusconi che aveva appena vinto le elezioni e contraccambiava dicendo “il vostro programma è il mio”.
Gli industriali hanno scommesso sul berlusconismo, lo hanno usato per attaccare i sindacati e smontare la concertazione, lo hanno spalleggiato per poter meglio “ottenere aiuti pubblici” (la Marcegaglia ieri ha confessato che per decenni la Confindustria è servita a questo). Chiedevano in cambio nel 2001 più contratti a termine, riforma fiscale e infrastrutture. Hanno ottenuto solo tanti precari in più. Ieri la Marcegaglia ha letteralmente gridato: “Infrastrutture subito! Riforma fiscale subito!”. Con la memoria hanno perso la cognizione del tempo. Marx è morto, la Confindustria è moribonda, e anche i giovani disoccupati oggi non si sentono tanto bene.
Giorgio Meletti, Il Fatto Quotidiano,

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