domenica 1 maggio 2011

Costruire l'autonomia di classe

Buon Primo maggio a tutti e tutte. Questa festa acquista con i passare degli anni un significato maggiore, come quella del 25 aprile. Il motivo è semplice e grave allo stesso momento: i significati di fondo delle feste della liberazione e della festa dei lavoratori e delle lavoratrici sono messi in discussione radicalmente.

Sul 25 aprile questo è un po’ più chiaro. Da anni che vi è una coscienza diffusa sul fatto che il revisionismo storico - propagandato dalle destre e da tanta parte del centro sinistra - mette in discussione la resistenza e l’antifascismo come elementi fondanti la Repubblica italiana e la civile convivenza nel nostro paese. Il 25 aprile è negato alla radice da chi considera la Costituzione italiana un fardello da cui liberarsi la fine di svincolare il potere economico e politico dal rispetto delle regole. Per questo attorno al 25 aprile, all’antifascismo è cresciuta una nuova coscienza civile, che ha coinvolto anche i giovani. Il 25 aprile da celebrazione è diventata una data di battaglia politica, di orgogliosa riaffermazione della lotta partigiana come cesura, come nuovo inizio della storia del paese.
Sul primo maggio le cose sono più confuse. E’ del tutto evidente che è in corso un tentativo di sistematica demolizione del movimento operaio. Questo tentativo ha subito una accelerazione in quest’ultimo anno con l’attacco condotto da Marchionne che mira a peggiorare le condizioni di lavoro e a distruggere l’autonomia del sindacato. L’attacco è però più generale e più di lungo periodo. Il punto centrale riguarda proprio l’autonomia del movimento operaio in quanto tale. Riguarda la possibilità di pensare e praticare la lotta di classe come lotta dotata di contenuti, prospettiva e potenzialità di trasformazione.

Il punto di fondo dell’offensiva di Marchionne è che l’unico soggetto dotato di progetto è l’impresa che deve essere assecondata dentro il vero scontro in atto: la lotta tra imprese e territori dentro la globalizzazione. La narrazione di Marchionne postula che l’unico soggetto della trasformazione è l’impresa - guidata da condottieri che sanno muoversi fuori e contro le vischiose regole della democrazia e dei contratti – e che il conflitto di classe è un fastidioso e nocivo disturbo rispetto alla vera guerra in corso. Nella narrazione di Marchionne il libero dispiegarsi dell’iniziativa manageriale è la condizione del successo dell’impresa, che a sua volta è la condizione per il mantenimento dei posti di lavoro. Il lavoro torna ad essere presentato come variabile totalmente dipendente dal capitale. I lavoratori e le lavoratrici vengono presentati come infanti incapaci di capire il loro vero interesse, che ovviamente coincide con quello dell’azienda. Per questo devono essere guidati per mano da una elite illuminata che pedagogicamente li fa votare il peggioramento delle loro condizioni di lavoro. Ai lavoratori viene chiesto non solo di lavorare di più ma di essere consenzienti a questa prospettiva individuata come l’unica strada praticabile per salvare i posti di lavoro. In questa narrazione quindi il movimento operaio non solo è inutile ma è dannoso per i lavoratori stessi: più i lavoratori lottano e peggio staranno, loro e i loro figli. Il punto di vista operaio viene così svuotato da qualsiasi valore positivo e presentato come egoismo miope, inconcludente e – ovviamente- vetero, conservatore.
Il mancato riconoscimento del valore positivo della lotta di classe si accompagna con altri due elementi, di lungo periodo.
Da un lato la messa in discussione della necessità di una organizzazione autonoma dei lavoratori e delle lavoratrici sia sul piano politico che sindacale. L’ideologia interclassista a guida borghese è stata alla base della distruzione del PCI vent’anni fa e dell’attacco forsennato alle organizzazioni di sinistra che fanno del riferimento di classe un punto fondante. Da questo deriva il tentativo di assassinio continuo e pervicace della Federazione della Sinistra che viene attuato attraverso la nostra cancellazione sistematica dalla comunicazione di massa. La stessa ideologia è alla base del compromesso neocorporativo attraverso cui la Cgil e il sindacalismo di base sono regolarmente messi in discussione come agenti contrattuali. Il tentativo è il ritorno ad una politica in cui destra e sinistra politica sono espressioni interne al blocco sociale borghese e in cui il sindacato di classe viene aggredito a favore di un sindacalismo aziendalista e neocorporativo. La messa in discussione dell’autonomia di classe porta quindi con se l’aggressione alle organizzazioni del movimento operaio.
In secondo luogo l’autonomia di classe viene negata sul piano simbolico, della produzione dell’immaginario. La cultura di massa televisiva propone un modello solo: l’obiettivo è essere ricchi, belli e famosi. Chi non risponde a queste caratteristiche è uno “sfigato” e se si ribella lo può fare per un motivo solo, perché è invidioso. I ricchi non ci hanno portato via solo i soldi ma anche la fantasia, la capacità di pensare. Fino a vent’anni fa un operaio o un disoccupato era uno sfruttato, con il diritto a ribellarsi contro una società ingiusta, oggi viene presentato come uno sfigato, un fallito, uno che non è stato capace. Uno che deve solo vergognarsi.
Il problema è che di questa aggressione sottile ma violentissima alle ragioni di fondo del movimento operaio e della sua autonomia vi è una consapevolezza limitata. Assai minore di quella relativa all’aggressione ai valori della resistenza. Le manifestazioni del primo maggio sono organizzate sia da chi vuole sviluppare l’autonomia di classe che da chi la vuole affossare nel paternalismo. Festeggiano fianco a fianco coloro che contestano la centralità assorbente dell’impresa e coloro che la santificano.
Per questo il compito storico di noi comunisti e comuniste è quello della
ricostruzione dell’autonomia operaia, di una visione del mondo, di una aggregazione politica e di una pratica sociale e sindacale che metta al centro gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici e la messa in discussione dello sfruttamento.
Per questo siamo a fianco dei lavoratori della Fiat e della Bertone contro i dictat di Marchionne. Per questo sosteniamo lo sciopero generale e il 6 maggio saremo in piazza con la Cgil. Per questo proponiamo a tutte le forze della sinistra che sono autonome da padroni, banche e Vaticano di unirsi, perché c’è bisogno di costruire una sinistra degna di questo nome. Per questo ci battiamo contro la guerra, in Libia come in Afganistan, perché la lotta contro lo sfruttamento del lavoro non è che l’altra faccia della medaglia della lotta contro lo sfruttamento dei popoli. Per questo proponiamo una piattaforma di mobilitazione basata sulla lotta alle grandi ricchezze attraverso la patrimoniale, sulla lotta per il lavoro basata sulla riconversione ambientale e sociale delle produzioni. Per questo proponiamo di rilanciare la lotta al neoliberismo costruendo coalizioni – come quella per il referendum sull’acqua pubblica e contro il nucleare – che siano in grado di proporre l’alternativa fuori e contro la centralità assorbente dell’impresa capitalistica.
Questo Primo maggio allora non partecipiamo solo ad una manifestazione ma assumiamo il tema della costruzione di un nuovo movimento operaio come il punto fondante di una lotta politica contro la guerra e contro lo sfruttamento del lavoro. Perché occorre battere Berlusconi ma anche il berlusconismo, cioè il neoliberismo e il pensiero unico.
Paolo Ferrero, Liberazione

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