giovedì 21 marzo 2013

Il loden va in naftalina, il governo Monti non ci mancherà di Alessandro Robecchi, Il Fatto Quotidiano

Avviso. Dovreste sentire in giro di un posto vacante da consigliere comunale, o responsabile di biblioteca pubblica, o dirigente scolastico di qualche sperduto istituto della provincia, fate un fischio. Avvertite Mario Monti, che da qualche mese si offre indomito per ogni incarico o mansione, da presidente della Repubblica in giù, passando per presidente del Senato e presidente del Consiglio se le cose dovessero mettersi, invece che male, malissimo. Sui grandi giornali che ne hanno sostenuto l’azione dipingendolo come salvatore della patria, ora fingono di non conoscerlo: prima Mario Monti campeggiava nei titoli a nove colonne, e ora bisogna cercarlo nelle brevi di cronaca, accanto al gattino recuperato dai pompieri e alla mostra canina.
Questo mesto tramonto – non solo di Mario Monti, ma anche di tutti gli innamorati del suo loden – getta una luce inquietante sulla parola “tecnico”, che per oltre un anno ha tenuto banco nell’immaginario politico nazionale. Ora che avremo (forse) un nuovo premier, (forse) un nuovo governo e (forse) uno stretto sentierino da percorrere verso il nebuloso futuro, una cosa è certa: l’esperienza dello squadrone tecnico che ha guidato il paese finisce tra gli sberleffi e le risate in sottofondo come nelle peggiori sit-com.
Abbiamo la più grave crisi diplomatica degli ultimi anni (quella con l’India). Abbiamo prescrizioni più facili per certi reati di concussione. E soprattutto abbiamo la peggior riforma del lavoro dai tempi di Ramsete II, perché la riforma Fornero ha avuto per i lavoratori precari italiani più o meno le stesse conseguenze del vaiolo sugli aztechi: una strage. Con il suo aplomb da madamina sabauda, il ditino alzato e l’aria da docente spazientita, la signora – al netto delle lacrime – concionava di flessibilità buona e flessibilità cattiva. Promise a tutti che modificare l’articolo 18 avrebbe reso più facili le assunzioni, e invece – all’apparir del vero – sono aumentati licenziamenti e contenziosi, e la disoccupazione ha raggiunto punte record.
Solo il cinque per cento dei precari è stato “stabilizzato”. Per il 27 per cento di loro, invece, si è aperta una botola sotto i piedi e sono spariti a ingrossare le statistiche della disoccupazione. Un altro 22 per cento è passato a un contratto con meno tutele, cioè stavano immersi nel guano fino al mento e la riforma Fornero ha fatto l’onda. “È una scommessa, non so se funzionerà”, ha detto madama Fornero della sua riforma. Era il 25 gennaio, e già si sapeva che la scommessa era persa di brutto. Ora sottolinea con foga che la sua riforma era fatta per la crescita, non per la crisi. Che è un po’ come presentarsi in bikini al Polo Nord e dire: “ma io mi ero vestito per i Caraibi, mica per ’sto freddo!”. Per tacere della maestosa figuraccia sul numero degli esodati, degli sconclusionati attacchi a chi forniva cifre vere, trattato come sabotatore della patria e nemico della ripresa.
Bene. Anzi male. Comunque vada, l’allegra pattuglia dei “tecnici” ci lascia e non si trova nessuno – nemmeno gli entusiasti sponsor della prima ora – che ne sentirà la mancanza. Ora puliscono le scrivanie e tornano alle loro occupazioni. Ci lasciano un disastro considerevole e si portano via quell’aura di superiorità “tecnica” che li ha avvolti e protetti. La speranza è che si portino a casa anche tutte quelle chiacchiere su merito, competenza, capacità, preparazione e altre eleganti suppellettili da scrivania – compresa l’agenda Monti – da inscatolare in queste ore.

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