La notte che trasforma il Pd. Anzi, la notte del
Pd. Alle cinque di mattina Andrea Orlando è distrutto. Chiede, con voce
tesa: "Si possono almeno avere le fotocopie delle liste? Fateci almeno
sapere dove ci avete messo. Un'ora di tempo e riprendiamo". Emanuele
Fiano ha l'incarico di rispondere che non c'è tempo.
Poco dopo inizia la direzione, sette ore dopo la prima convocazione. E
dalla presidenza, per la prima volta nella storia, le liste vengono
solo lette. Un lungo eletto di sommersi e salvati. Paolo Gentiloni,
arrivato alle due di notte, è visibilmente imbarazzato. Soprattutto
quando non viene pronunciato il nome di Claudio De Vincenti, il suo
sottosegretario a palazzo Chigi. Uomini di governo, gente con una lunga
storia alle spalle, anche di provata lealtà apprendono solo a quel punto
il proprio destino. Senza un colloquio, un sms, un contatto col Capo.
Al termine del lungo elenco, nero su bianco non resta nulla, alimentando
nelle ore successive il sospetto di aggiustamenti, limature, ulteriori
sostituzioni nonostante il passaggio ufficiale. Poche ore dopo, a metà
mattinata il sole illumina il "partito di Renzi". Dal Nazareno escono
mano per mano la neo candidata Francesca Barra, giornalista che
conquistò Renzi con una non indimenticabile intervista a palazzo Chigi,
col suo compagno Claudio Santamaria, il popolare attore che prima si
schierò con Virginia Raggi, tranne poi dichiarare poco tempo fa la sua
delusione.
La grande epurazione è compiuta, in un clima terrore. Il secondo
piano per tutta la notte è un bivacco di anime perse: segretari
regionali, parlamentari, dirigenti che col passare delle ore cercano di
capire dove sono finiti, quali sono i criteri, i motivi, il perché.
Matteo Renzi è asserragliato al terzo piano nella sua stanza, quella che
fu del tesoriere Luigi Lusi, porta blindata con codice di accesso. In
pochi riescono ad entrare. Inserisce nomi, stronca con un tratto di
penna carriere politiche, disegna collegio per collegio il "suo" partito
di fedelissimi. La renzizzazione di un partito che, del vecchio,
mantiene solo il simbolo, chissà per quanto. Opposizioni decimate, e
prima ancora umiliate. "Parlaci tu con Orlando, io ho altro da fare",
dice a Piero Fassino. Per due giorni il Guardasigilli, leader della
minoranza interna, chiede invano di essere ricevuto. Cuperlo apprende di
essere candidato a Sassuolo alle tre di notte via sms. E rinuncerà
ventiquatt'ore dopo. Mentre Orlando alle quattro di notte apprende che
la sua corrente è smontata: "Piero – dice all'ex segretario – sui numeri
possiamo ragionare, ma non potete scegliere voi le persone. Quelle
spetta a me indicarle". Niente da fare. Cadono i nomi di Andrea
Martella, parlamentare di lungo corso stimato, molto stimato da Walter
Veltroni e anche del giovane Marco Sarracino, il portavoce della
mozione, 28enne, il più giovane di tutti. Urlano i suoi parlamentari:
"Ditelo che non volete il rinnovamento, ma un partito yes man!".
Il clima è da tregenda. Scoppia a piangere anche Deborah
Serracchiani, una fedelissima, che in una prima bozza non compare nelle
liste del Friuli: "Io ci perdo la faccia – sbotta in uno scatto di nervi
– se non mi mettete in Friuli non mi candido". Alla fine ce la fa.
Entrano e escono dalla stanza del segretario i pochi che hanno accesso.
Nella lunga notte, la tensione è a fior di pelle. A un certo punto si
sentono le urla di Renzi: "Adesso non mi rompete i ..., uscite tutti
dalla mia stanza. Poco dopo si vedono varcare la testa Fassino,
Franceschini, Lotti. Maria Elena Boschi, sempre presente, è in cabina di
regia col Capo. Racconta più di un presente: "C'era un'aria fa
funerale. Quando Minniti è arrivato a Mezzanotte, ha stretto qualche
mano, sembrava consolasse chi poi effettivamente non ce l'ha fatta. È la
fotografia di un partito che si prepara alla sconfitta, col leader che
si fa i gruppi a sua immagine".
Fuori Lo Giudice, Damiano recuperato all'ultimo ma in collegio
difficile a Terni, una decina scarsa i parlamentari di Orlando,
catapultato a Modena senza collegio. Stessa sorte al vulcanico Emiliano,
forse il solo che riesce a prendere di petto il segretario: "Tu non hai
capito un ca.... Io queste liste te le straccio. Hai capito? Te le
straccio. Se vai avanti così in Puglia non ti ci fanno neanche mettere
piede". Il governatore riesce a salvarne solo tre dei suoi, tra cui
Boccia, rimasto in bilico fino alla fine, perché troppo critico con
Renzi. In Campania, dove sono blindati il figlio di De Luca e Alfieri,
l'uomo delle fritture di pesce e delle "clientele come Cristo comanda"
Michele Emiliano non riesce a tutelare nessuno dei suoi.
Le liste, vendetta postuma di chi è uscito, certificano l'inagibilità
politica del Pd e, con essa, l'umiliazione di chi è rimasto dentro
pensando che comunque ci fosse uno spazio e una quota per mantenere vivo
un punto di vista. Sconcerto, sgomento, nella lunga notte, il pugno del
comando è sbattuto dal Capo anche sui tavoli che riguardano i suoi,
travolti anch'essi dal meccanismo di vendette e ricompense. Paolo
Gentiloni non riesce a candidare il suo uomo di fiducia a palazzo Chigi,
Antonio Funiciello e a salvare Ermete Realacci. Mentre ci vuole tutta
la pazienza di Franceschini per tenere Luigi Zanda – un altro a cui non è
arrivata una telefonata dal suo segretario - al Senato e non spostarlo
alla Camera. Perché il disegno è chiaro. Al Senato andranno Renzi,
Carbone, Bonifazi, Giuliano Da Empoli (Lotti e la Boschi non hanno
l'età): con un partito sfondato nelle casse, dopo il referendum, e con
quello alla Camera ridotto di più della metà, solo al Senato ci saranno
un po' di risorse e di incarichi sistemare degli staff. A proposito,
Maria Elena Boschi, oltre all'uninominale di Bolzano, sarà candidata in
un proporzionale nel Lazio, sempre lontano da Arezzo.
"Questo non è più il Pd", "democratico", "plurale", piovono indignate
agenzie, dirigenti come pugili suonati che avevano bisogno del ko per
scoprire i muscoli di Renzi. Anche la quota di Delrio, volto del
renzismo mite, è ridimensionata. In Emilia Richetti è al secondo posto
dopo Valeria Fedeli e Delrio, candidato all'uninominale di Reggio
Emilia, è l'unico ministro che non ha un paracadute proporzionale.
Escluso Angelo Rughetti, sottosegretario alla Funzione Pubblica, ieri su
tutte le pagine dei giornali per la chiusura dei contratti per le forze
armate. Il senso di quel che è accaduto è nei numeri che i più attenti
sanno leggere: su una stima di 200 eletti, Renzi ha 160 parlamentari
suoi, i restanti 40 sono distribuiti tra Martina, Orfini, Franceschini,
Orlando. Vai a chiedere un congresso il minuto dopo una sconfitta. Il
partito di Renzi c'è, e nascerà in Parlamento. E ora è nelle liste,
omericamente trasmesse a voce, prima di tornare sulla scrivania del
Capo.
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