sabato 18 maggio 2013

“La convenzione umilia il Parlamento. Così si blinda solo una oligarchia”. Intervista a Gustavo Zagrebelsky

La revisione reazionaria della Costituzione nella critica lucida di un costituzionalista coerente. Un punto decisivo della piattaforma su cui tutti siamo comunque chiamati a batterci.

Quando si parla di "riforme costituzionali", infatti, si parla del "compromesso" che regola i rapporti tra le classi sociali. Il presidenzialismo in pectore è frutto di una stagione che cerca di porre il lavoro e i suoi diritti fuori dal campo dei valori fondamentali.
Punta di lancia di questa offensiva reazionaria sono Napolitano (che si è inventato "i saggi" per creare una "convenzione" extracostituzionale) e il suo protetto: Berlusconi.

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L’ora della mobilitazione, per reagire «a questa condizione crepuscolare della democrazia ». Per difendere la Costituzione ancora una volta «a rischio» dall’attacco che le viene mosso da una «oligarchia politica» che ricorre adesso a una Convenzione «estranea alla Costituzione». Parla di tentativo di «normalizzare» il Paese, il presidente emerito della Consulta Gustavo Zagrebelsky, altro che di «pacificazione». E di parlamentari che «senza titoli» si son messi in testa di cambiare volto alla Carta.
Il 2 giugno, lei e il professor Rodotà in piazza a Bologna in difesa della Costituzione: «Non è cosa vostra». Perchè questo rinnovato atto di fedeltà alla Carta proprio mentre la maggioranza studia come modificarla? È una provocazione controcorrente?
«Si sta giocando una partita politica e la posta è elevatissima. È in atto un tentativo di spoliticizzazione, una sorta di mascheramento ».
Un mascheramento, professore Zagrebelsky?
«Le maschere sono i tecnici, i saggi, gli esperti. Certo, dell’efficienza un sistema politico non può fare a meno, pena il suicidio. Ma, l’efficienza non esiste in sé e per sé».
Si è insediato un governo di larghe intese che si propone tra l’altro di modificare la macchina dello Stato. Non la convince?
«A me pare piuttosto evidente che sia in atto un disegno di razionalizzazione d’un potere oligarchico. In Italia non si è forse radicato un sistema di giri di potere, sempre gli stessi che si riproducono per connivenze e clientele? Parlando di oligarchie, non si pensi solo alla politica, ma al complesso d’interessi nazionali e internazionali, che nella politica trovano la loro garanzia di perpetuità».
Appunto, quale occasione migliore per cambiare quegli assetti, per riformare?
«Sono decenni che se ne parla. Ma ora sembra che sia giunta l’ora. Quel complesso d’interessi è sovraccarico e non riesce più a trovare un equilibrio. Rischia l’implosione e s’inceppa. La rielezione del Presidente della Repubblica — impensabile in un sistema di governo anche solo minimamente dinamico — è rivelatrice. L’applauso grato e commosso d’una maggioranza impotente è il segno dell’impasse. Per il futuro, ci vogliono riforme. Ma dal punto di vista democratico, sono in realtà controriforme».
Perché controriforme?
«Guardiamo le cose che si intende e le cose che non s’intende fare. Il presidenzialismo, quale che ne sia il modello, è un modo di concentrare in alto la politica e di ridurre dei cittadini a “micro-investitori” del loro voto, a favore d’un gestore d’affari nel cerchio stretto delle oligarchie. In breve: è il protettorato d’un sistema di potere chiuso. Altro che più potere al popolo! Anzi, il popolo deve non sapere o sapere il meno possibile: si è ripresa infatti la discussione sul “riequilibrio dei poteri” a danno dell’indipendenza della magistratura, e sui limiti al giornalismo d’inchiesta (vedi la questione delle intercettazioni). E poi, quel che non si intende fare: vedi il silenzio calato sul conflitto di interessi e sull’inasprimento delle misure contro l’illegalità. Le oligarchie, del resto, sono regimi dei privilegi. Hanno bisogno di compiacenze e illegalità».
È così sicuro che una riforma in chiave semi presidenziale non ci metta in linea con le moderne democrazie? In fondo, anche il ruolo di garanzia del presidente della Repubblica negli ultimi anni si è rivelato ancor più risolutivo per uscire da pericolose crisi. Perché non codificarlo nella Costituzione?
«Inviterei a maneggiare l’argomento con cautela. Una cosa è l’espansione dell’azione presidenziale a tutela delle istituzioni parlamentari previste dalla Costituzione. Altro è l’azione che prelude a una nuova normalità. Questa seconda cosa contraddirebbe l’obbligo di fedeltà alla Costituzione. Il Capo dello Stato ne è “garante” quando agisce per preservarla dalle trasformazioni “materiali”, non certo quando le promuove. Ma il presidente Napolitano ha più volte precisato di muoversi nella prima direzione e di quello gli va dato atto. Chi oggi sostiene che siamo ormai in un regime presidenziale fa torto al presidente della Repubblica».
Lei parla di consolidamento oligarchico. E la pacificazione di cui si fa un gran parlare?
«Chi di noi non è per la pace e per la pacificazione? Ma la pace è esigente, molto esigente. Non può esistere senza condizioni. La pace è la conseguenza della verità e della giustizia. Altrimenti, pacificare significa solo “normalizzare”».
La Convenzione non basta per la pacificazione?
«Perché dovrebbe essere affiancata da “esperti”, cioè da persone al fuori dei contrasti politici? Gli esperti sono a loro volta portatori di visioni politiche e saranno messi lì dai partiti in quanto corrispondano ai loro progetti. Saranno “maschere”. Mi auguro che in pochi accettino di assumere questo ruolo».
Insomma, non pone alcuna fiducia nella Convenzione?
«Mah. La Costituzione, all’art. 138, prevede un procedimento lineare per mutare la Carta. Si vuole, invece, una procedura, per così dire, blindata, dapprima la Convenzione, poi il voto bloccato delle Camere: o sì, o no, senza emendamenti. Mi chiedo come possano i parlamentari accettare una simile umiliazione. Una procedura complicata ma anche totalmente estranea alla Costituzione. Per questo, si prevede — solo dopo — una ratifica con legge costituzionale, che è essa stessa la confessione che si agisce contro la Costituzione».
Ma i parlamentari avranno il potere di riformare, almeno nelle commissioni competenti, o no?
«I nostri politici “costituenti” hanno un mandato? Chi li ha autorizzati? Sono stati eletti per questo? Basta la retorica delle riforme per legittimarli? Il 2 giugno ci troveremo per dire non solo che i contenuti della controriforma non ci piacciono, ma anche che il metodo è sospetto. Sono in gioco nodi cruciali della nostra vita, non fredde operazioni di ingegneria costituzionale, come si vuol far credere. Lavoro, uguaglianza, giustizia sociale, diritti di tutti, cultura, salute, legalità, trasparenza: cose possibili in democrazia, quando la si espande. Difficili o impossibili, quando la si restringe ».

da Repubblica
Intervista di Carmelo Lopapa

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