giovedì 30 maggio 2013

Franca Rame, l'insulto del Tg2

Il Tg2, sotto Berlusconi, era stato dato in affidamento agli ex An, insomma ai seguaci di La Russa e Alemanno. E lì è rimasto, visto quello che un servizio "in memoria" di Franca è riuscito a dire.

Il precedente più recente è stato la morte di Videla, mai menzionata dal telegiornale di destra, probabilmente per non menzionarne neanche i crimini e l'ideologia fascista. Nessuno, nemmeno il Vaticano, è riuscito infatti a trovare "qualcosa di buono" nell'opera dell'assassino seriale argentino. Autocensura, silenzio. Il minore dei mali.

Ma ieri i redattori del Tg2 hanno dato il peggio di sé. Perché proprio non potevano "bucare" la notizia del giorno, la morte di Franca. E nemmeno potevano insultarla esplicitamente, visto che in tv è d'obbligo il "parce sepulto" anche per i peggiori nemici. Ma nel montare "il pezzo", una personalità debole e professionalmente poco cace è stata in grado di infilare una "perla di merda".
Già sarebbe stata un'offesa la dimenticanza - voluta - circa gli autori dello stupro subito a Milano nel 1973, e che lei stessa - rielaborò con profondo dolore fino a farne un monologo che annichilisce chiunque lo riascolti, mostrando cosa è il "fascismo nel cervello" e il suo modo di agire.
Ma sono andati oltre.
In piena campagna stampa contro la violenza sulle donne e il femminicidio, infatti, sono riusciti a montare un servizio che imponeva di interpretare lo stupro come una "conseguenza indesiderata" del modo di essere, vivere, agire, della vittima.

Stupefacente poi che il servizio sia stato firmato da una donna. Carola Carulli fa un vago cenno alla terribile esperienza (Franca venne violentata dopo essere stata sequestrata). Non dice nulla sugli autori e la motivazione, come se si fosse trattato di un "normale" caso di cronaca che incidentalmente aveva riguardato una persona molto nota. In fondo, ricordare che avevano agito alcuni fascisti sotto la direzione dell'Arma dei carabinieri poteva sembrare troppo "audace". Riportiamo alcune delle parole pronunciate nel servizio: "Finché il 9 marzo del 1973 fu sequestrata e stuprata. Ci vollero 25 anni per scoprire i nomi degli aggressori, ma tutto era caduto in prescrizione".
Che non fossero più condannabili è una cosa, che non ci siano colpevoli identificati è tutta un'altra. Non sono ignoti né i nomi, né l'appartenenza politica, né i legami di dipendenza da un ramo delle presunte "forze dell'ordine".

Peggio ancora la connessione logica proposta all'ascoltatore: "Una donna bellissima Franca, amata e odiata. Chi la definiva un'attrice di talento che sapeva mettere in gioco la propria carriera teatrale per un ideale di militanza politica totalizzante; chi invece la vedeva coma la pasionaria rossa che approfittava della propria bellezza fisica per imporre attenzione. Finché il 9 marzo del 1973 fu sequestrata e stuprata".

Chiarissmo. Per il Tg2 lo schema adottato è quello di "chi la odiava": bella, bellissima, talmente brava e bella da annientare ogni possibilità di critica. Se non lo fosse stata - questo il ragionamento non esplicitato - non sarebbe stata così importante. "Quindi", come solo un fascista maschio potrebbe pensare, "se l'è andata a cercare".
Siamo nel terzo millennio, non negli anni '70. Ma oggi come allora il modello di comportamento per le donne bellissime, suggerito dal potere con ogni mezzo, sono le notti di Arcore. Altrimenti... 

 

Franca Rame, l'insulto del Tg2

Nel 1988 Biagio Pitarresi, fascista di una certa notorietà, racconta che l'ordine di stuprare Franca Rame arrivò dai carabinieri. Bisognava "punire" quella donna che andava a ficcare il naso dappertutto, anche nelle carceri e nella strage di stato.
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La sera del 9 marzo del 1973 Franca Rame – attivista politica della sinistra radicale e femminista, oltre che attrice – viene rapita da una banda di esponenti dell'estrema destra. Venne affiancata da un furgone con 5 uomini a bordo, e costretta a salire. La violentarono a turno, gridandole “Muoviti puttana, devi farmi godere”, spegnendole le sigarette sui seni e tagliandole la pelle con delle lamette. Subì violenza fisica e sessuale, ma il reato cadde in prescrizione 25 anni dopo. Ebbene, “rovistando” tra gli articoli dell'epoca se ne trova uno molto interessante, del 1998, pubblicato sul quotidiano la Repubblica. Nel pezzo si rivela come furono alcuni ufficiali dell'arma dei Carabinieri a ordinare lo stupro di Franca Rame.
A rivelarlo furono, nel 1988, l'ex neofascista Angelo Izzo e l'altro esponente di spicco della destra eversiva milanese Biagio Pitarresi. La testimonianza è agli atti, venne confermata al giudice istruttore Guido Salvini ed occupa 2 delle 450 pagine della sentenza. “Pitarresi – si legge – ha fatto il nome dei camerati stupratori: Angelo Angeli e, con lui, ‘un certo Muller' e ‘un certo Patrizio'. Neofascisti coinvolti in traffici d' armi, doppiogiochisti che agivano come agenti provocatori negli ambienti di sinistra e informavano i carabinieri, balordi in contatto con la mala. Fu proprio in quella terra di nessuno dove negli Anni 70 s' incontravano apparati dello Stato e terroristi che nacque la decisione di colpire la compagna di Dario Fo. Ha detto Pitarresi: ‘L' azione contro Franca Rame fu ispirata da alcuni carabinieri della Divisione Pastrengo. Angeli ed io eravamo da tempo in contatto col comando dell' Arma'.
L'affermazione di Pitarresi venne confermata dal giudice Salvini, che commentò:  ”Il probabile coinvolgimento come suggeritori di alcuni ufficiali della divisione Pastrengo non deve stupire… il comando della Pastrengo era stato pesantemente coinvolto, negli Anni 70, in attività di collusione con strutture eversive e di depistaggio delle indagini in corso, quali la copertura di traffici d'armi, la soppressione di fonti informative che avrebbero potuto portare a scoprire le responsabilità nelle stragi dei neofascisti Freda e Ventura”.

All'epoca Izzo era in carcere per l'omicidio del Circeo e i suoi racconti sul coinvolgimento dei carabinieri non venne considerato sufficientemente attendibile. Poi, durante le indagini sulla strage della stazione di Bologna gli inquirenti si imbatterono in un appunto dell' ex dirigente dei Servizi Gianadelio Maletti: riferiva di una violenta discussione tra due generali Giovanni Battista Palumbo (un iscritto alla loggia P2 che poi sarebbe andato a comandare proprio la “Pastrengo”) e Vito Miceli (futuro capo del servizio segreto). Palumbo, durante l'alterco, aveva rinfacciato a Miceli “l'azione contro Franca Rame”. Insomma, l'ordine di violentare Franca Rame sarebbe arrivato da molto in alto.
A confermarlo, in un'intervista a La Nostra Storia del 13 febbraio 1998, fu l'ex generale dei carabinieri  Nicolò Bozzo, che disse che in occasione del sequestro e stupro di Franca Rame ci fu “una volontà molto superiore” a quella del generale Palumbo. Bozzo concluse:  ”A parte le sue convinzioni politiche io ricordo che Palumbo riceveva spesso telefonate dal ministero, dal ministro. So che parlava con il ministro della Difesa e degli Interni. E' norma – proseguì l'ufficiale nel suo intervento – che un ministro della Difesa chiami un comandante di divisione. Ma secondo me un crimine del genere non nasce a livello locale. E' vero che alla notizia dello stupro ci furono manifestazioni di contentezza nella caserma”.

da www.fanpage.it
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Utili anche due articoli da Repubblica, dell'epoca.

“I Carabinieri ci dissero: stuprate Franca Rame”. La testimonianza"I carabinieri ci dissero: stuprate Franca Rame". E il giudice accusa cinque neofascisti
di GIOVANNI MARIA BELLU

ROMA - Furono alcuni ufficiali dei carabinieri a ordinare lo stupro di Franca Rame. L'aveva detto dieci anni fa l'ex neofascista Angelo Izzo, l'ha confermato al giudice istruttore Guido Salvini un esponente di spicco della destra milanese, Biagio Pitarresi. Il suo racconto occupa due delle 450 pagine della sentenza di rinvio a giudizio sull'eversione nera degli Anni 70.
La sentenza è stata depositata pochi giorni fa, il 3 di questo mese. Lo stupro avvenne il 9 marzo del 1973, venticinque anni orsono. Un tempo che fa scattare la prescrizione e che garantisce l'impunità alle persone chiamate in causa.
Pitarresi ha fatto il nome dei camerati stupratori: Angelo Angeli e, con lui, "un certo Muller" e "un certo Patrizio". Neofascisti coinvolti in traffici d'armi, doppiogiochisti che agivano come agenti provocatori negli ambienti di sinistra e informavano i carabinieri, balordi in contatto con la mala. Fu proprio in quella terra di nessuno dove negli Anni 70 s'incontravano apparati dello Stato e terroristi che nacque la decisione di colpire la compagna di Dario Fo.
Ha detto Pitarresi: "L'azione contro Franca Rame fu ispirata da alcuni carabinieri della Divisione Pastrengo. Angeli ed io eravamo da tempo in contatto col comando dell'Arma". Commenta il giudice Guido Salvini nella sua sentenza di rinvio a giudizio: "Il probabile coinvolgimento come suggeritori di alcuni ufficiali della divisione Pastrengo non deve stupire... il comando della Pastrengo era stato pesantemente coinvolto, negli Anni 70, in attività di collusione con strutture eversive e di depistaggio delle indagini in corso, quali la copertura di traffici d'armi, la soppressione di fonti informative che avrebbero potuto portare a scoprire le responsabilità nelle stragi dei neofascisti Freda e Ventura".
Quando, nel 1987, Angelo Izzo parlò per la prima volta di un coinvolgimento dei carabinieri nell'aggressione a Franca Rame, molti non ci credettero: la storia sembrava assurda, e Izzo era considerato, in generale, un personaggio poco attendibile, uno psicopatico sadico: era in carcere per lo stupro-omicidio del Circeo, una delle vicende più atroci della cronaca nera degli Anni 70.
Poi i sospetti si erano rafforzati, ma senza determinare l'avvio di una apposita indagine, durante l'inchiesta sulla strage di Bologna quando era stato trovato un appunto dell'ex dirigente dei Servizi Gianadelio Maletti. Raccontava di un violento alterco tra due generali: Giovanni Battista Palumbo (un iscritto alla loggia P2 che poi sarebbe andato a comandare proprio la "Pastrengo") e Vito Miceli (futuro capo del servizio segreto). Il primo, si leggeva nella nota di Maletti, durante la lite aveva rinfacciato al secondo "l'azione contro Franca Rame".
Era stata una delle più spregevoli, tra le tante ignobili, commesse dai neofascisti negli Anni 70. La sera del 9 marzo del 1973, nella via Nirone, a Milano, Franca Rame era stata affiancata da un furgone. C'erano cinque uomini che l'avevano obbligata a salire. La violentarono a turno. Gridavano: "Muoviti puttana, devi farmi godere". Le spegnevano sigarette sui seni, le tagliavano la pelle con delle lamette. Una sequenza allucinante, che la Rame avrebbe inserito in un suo spettacolo, "Tutta casa, letto e chiesa".
Fu subito chiaro che la violenza contro la compagna di Dario Fo veniva dagli ambienti neofascisti. E infatti, come in quasi tutti i crimini compiuti in quegli anni dai neofascisti, i responsabili non furono scoperti".
(la Repubblica 10 febbraio 1998)

E il generale gioì per lo stupro. "Avete violentato Franca Rame? Era ora..."
di LUCA FAZZO
MILANO - "La notizia dello stupro della Rame in caserma fu accolta con euforia, il comandante era festante come se avesse fatto una bella operazione di servizio. Anzi, di più...". Sono passati venticinque anni, ma l' uomo è di quelli che hanno la memoria buona. Nicolò Bozzo oggi è un generale dei carabinieri che si gode la pensione nella sua Genova, dopo una carriera ad altissimo livello: soprattutto nella fase più lunga e più dura, quella al fianco di Carlo Alberto Dalla Chiesa nella lotta al terrorismo. Ma quel 9 marzo 1973 il giovane Bozzo era un capitano in servizio a Milano, all'Ufficio Operazioni del comando della Divisione Pastrengo, il reparto più importante dell'Arma nell'Italia del nord-ovest. Quel giorno l'attrice Franca Rame - moglie di Dario Fo, una delle voci più in vista della "nuova sinistra" - venne sequestrata e stuprata da un gruppo di neofascisti. Dai verbali dell'inchiesta su quegli anni condotta dal giudice Salvini, ora si scopre che la banda degli stupratori aveva agito - secondo un testimone - su indicazioni di "alcuni carabinieri della divisione Pastrengo". Ma i ricordi di Bozzo rendono quel che sta venendo a galla ancora più sconvolgente.
Generale, lei quel giorno era lì, al comando della Pastrengo. Cosa ricorda?
"Io lavoravo all'ufficio operazioni, al piano inferiore. Ma quando il mio superiore era in licenza salivo di sopra, dove c'erano lo stato maggiore e il comando di divisione. Quello era uno di quei giorni. Arrivò la notizia del sequestro e dello stupro di Franca Rame. Per me fu un colpo, lo vissi come una sconfitta della giustizia. Ma tra i miei superiori ci fu chi reagì in modo esattamente opposto. Era tutto contento. "Era ora", diceva".
Può fare il nome di quell'ufficiale?
"Certo. Era il più alto in grado: il comandante della "Pastrengo", il generale Giovanni Battista Palumbo".
Lei racconta un fatto di una gravità eccezionale. Perché lo fa ora, dopo venticinque anni?
"Perché allora io vissi quella reazione di Palumbo solo come una manifestazione di cattivo gusto. Credevo che il generale fosse piacevolmente sorpreso della notizia, nulla di più. D'altronde Palumbo era un personaggio particolare, era stato nella Repubblica Sociale, poi era passato con i partigiani appena prima della Liberazione. Non faceva mistero delle sue idee di destra. E alla "Pastrengo", sotto il suo comando, circolavano personaggi dell'estrema destra, erano di casa quelli della "maggioranza silenziosa" come l'avvocato Degli Occhi".
Poi il nome di Palumbo saltò fuori negli elenchi della P2.
"Lui, e altri due ufficiali importanti dell'Arma a Milano. E io il 24 aprile 1981 mi presentai dai giudici Colombo e Turone per raccontare cosa avevo capito dei disegni di quella gente. Una testimonianza che ho pagato con procedimenti disciplinari, trasferimenti, ritardi nella carriera. Ma del fatto di Franca Rame ai giudici non parlai, perché mai avrei pensato che fosse qualcosa di più di una manifestazione di gioia, del tutto in linea con il modo di pensare del mio comandante. Ma ieri ho letto quello che ha scoperto il giudice Salvini, ed è stato un po' come se tutto andasse a posto".
È possibile che a Milano l' Arma fosse comandata da gente simile, e a Roma i vertici non sapessero nulla?
"Il comandante generale era il generale Mino. Basta leggere la relazione di maggioranza della commissione d'inchiesta sulla P2 per capire perché non si accorgesse di nulla. Lui non era negli elenchi, ma la commissione lo dava come organico".
(la repubblica 11 febbraio 1998).

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