mercoledì 8 maggio 2013

Tassinari, il ricordo amaro di un'assenza di Checchino Antonini

l'8 maggio di un anno fa moriva Stefano Tassinari. Non c'è scrittore per il quale calzi meglio l'intento programmatico di Esenin "strappare la gioia ai giorni futuri". Così è stato in tutti i suoi romanzi.
 
“Giovedì 9 maggio 2013, alle ore 18, verrà intitolata la Sala dei Tribuni della Plebe di Palazzo d'Accursio, a Stefano Tassinari, nel primo anniversario della scomparsa", fa sapere il sindaco di Bologna Virginio Merola, che annuncia che durante la cerimonia tracceranno un ricordo dello scrittore ferrarese, bolognese d'adozione, Marcello Fois, Roberto Serra e Filippo Vendemmiati.
Il giorno prima, domani, uscirà nelle librerie per Edizioni Alegre una nuova edizione del suo romanzo più importante, L'amore degli insorti, dove ripercorre gli anni a lui più cari, i Settanta, facendoci rivivere anche la parte rimossa della storia recente del nostro paese.
E' morto giusto un anno fa, a 57 anni: tra Ferrara, dov'è nato, poi Roma e Bologna, Tassinari non avrebbe mai separato il lavoro politico da quello culturale. Non ci sono molti scrittori, in questo esordio di secolo, per i quali valga la qualifica di intellettuali organici come vale per il "Tas" che ha attraversato da militante gli anni '70, scrivendo sul Quotidiano dei Lavoratori, parlando ai microfoni di Radio Città Futura, vent'anni prima che questa emittente romana diventasse un juke box stravagante con notiziari frettolosi e prudenti.
Negli anni Novanta e fino a un attimo prima di morire, la sua militanza è stata scandita dalla narrativa e dalla presenza sulla scena pubblica come organizzatore di rassegne teatrali e letterarie, giornalista, drammaturgo, autore radiofonico per Radio3, fondatore del Premio Volponi e militante di base di Rifondazione comunista, collaboratore di Liberazione. Tutto questo è stata la sua declinazione di lavoro culturale. Sarà lui, ad esempio, a organizzare col sindacato scrittori di Bologna il primo dibattito pubblico sul caso Aldrovandi a pochi giorni dalla denuncia di Patrizia, la mamma di Federico, dell'insabbiamento dell'inchiesta.
Ogni parola che ha scritto era pensata per una lettura pubblica, a voce alta, per un uso civile della letteratura, del teatro, del giornalismo, della memoria. Perché il personale è politico, per gente come lui. E la politica è cercare di cambiare il mondo e le scritture servono a resistere e a contrattaccare, a stabilire ponti con i propri simili. E Letteraria, la rivista che dirigeva da tre anni per conto delle edizioni Alegre, serviva a questo: rompere la compiaciuta solitudine autoriale per un confronto permanente sulla letteratura sociale.
Con lui, in questa avventura, Carlo Lucarelli, Angelo Ferracuti, Massimo Carlotto, Wu Ming, Marcello Fois, Pino Cacucci, Massimo Vaggi, Mariarosa Cutrufelli, Bruno Arpaia, Marco Baliani, Mauro Covacich, Milena Magnani, solo per citarne alcuni. Nomi che ricorreranno, spesso, anche nelle raccolte di racconti che Tassinari si inventava per le edizioni Alegre - da Sorci verdi in cui ha tenuto insieme gli autori che la Lega voleva ostracizzare dalle biblioteche padane fino a Lavoro vivo, pensato con la Fiom bolognese. Stefano ha fatto appena in tempo a vederlo uscire nella collana "Scritture resistenti" che lui stesso aveva concepito e che era iniziata con D'Altri tempi, una raccolta uscita nel 2011 seguendo le stesse piste delle collane d'inchiesta e di teoria: i movimenti reali, i conflitti, i pensieri eretici. Le piste di Tassinari.
«Fino al decennio iniziato nel '68 in questo Paese non esistevano diritti né civili né sindacali, ma in compenso il nostro codice prevedeva ancora il delitto d'onore e il reato di adulterio femminile, così come si votava a ventun anni e si andava in galera a diciotto, si veniva arrestati per obiezione di coscienza al servizio militare o per detenzione di un grammo d'hashish, c'erano le gabbie salariali tra nord e sud e tra uomini e donne, nei manicomi si "curava" la gente a colpi di elettrochoc, licenziare un lavoratore era un gioco da ragazzi»: ecco, la scrittura di Stefano, spesso, è servita a ricostruire le tracce cancellate da chi ha scritto la storia in nome dei vincitori.
Gli "altri tempi" erano per lui quelli da vivere non quelli alle spalle. Non c'è scrittore per il quale calzi meglio l'intento programmatico di Esenin "strappare la gioia ai giorni futuri". Così è stato in tutti i suoi romanzi (editi da Tropea). Contro reducismi e revisionismi. Ne L'ora del ritorno c'è la vicenda di un partigiano ostracizzato prima e dopo la Liberazione per via delle sue posizioni antistaliniste; in I segni sulla pelle c'è dentro Genova e il G8, L'amore degli insorti è, come il primissimo L'assalto al cielo, un'incursione negli anni 70, in particolare lo scontro drammatico tra chi scelse la clandestinità e chi difendeva il valore di una lotta politica giocata alla luce del sole, senza ambiguità, fino a Il vento contro, struggente ricostruzione degli ultimi giorni di Pietro Tresso, militante trockista italiano ucciso in Francia da sicari stalinisti.
L'«immenso edificio del ricordo» di Proust, piuttosto, l'avrebbe assalito, uno come Stefano, come ogni altro Palazzo d'Inverno. In quella che forse è stata l'ultima intervista, poco più di un anno fa a una radio bresciana, il Tas spiegava di non credere che tutto sarebbe sparito con la morte. Il ricordo deve servire - raccomandava all'intervistatrice - a quel bisogno di cambiamento, vivo oggi come allora. «Stefano - riprende la poesia di Lolli del 2004 - se tu sapessi quanto mi ha dato la tua vita...».

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