giovedì 9 maggio 2013

I COMUNISTI E LA SINISTRA DI ALTERNATIVA: CHE FARNE? di Bruno Steri


1-Se nell’attuale contesto c’è una cosa che Rifondazione non dovrebbe fare è procedere come se niente fosse successo, lanciando appelli dal proprio pulpito (impietosamente ridimensionato) nell’attesa messianica che qualcuno risponda e qualcosa di buono accada. Al contrario, occorrerebbe una scossa salutare, da dare subito al partito e con effetti fuori di esso: bisognerebbe urgentemente mettere in cima all’agenda una vera rigenerazione del(i) gruppo(i) dirigente(i), ponendosi come parte di una comune stringente riflessione della sinistra di alternativa. Di tutta la sinistra di alternativa, quella partitica come quella referendaria e associativa. Ciò è necessario – in una fase politica segnata a sinistra da pesanti sconfitte – per la preminenza che ha assunto il tema dell’efficacia soggettiva, cioè della ricerca di un assetto che ci ponga in grado di intervenire proficuamente nell’oggettività. In simili ragionamenti sembra riaffacciarsi la questione della “massa critica” di bertinottiana memoria; ma, come si dirà tra poco, a rendere precaria una tale comparazione c’è di mezzo il tema serissimo dell’identità.

2-Dobbiamo tener conto del fatto che a sinistra e, più in generale, dal Pd in qua, ci si muove entro un panorama terremotato, un quadro pericolosamente esposto ad ulteriori pesanti smottamenti. La vicenda dell’elezione del capo dello Stato e della formazione del governo Letta/Alfano ha violentemente investito gli equilibri interni al Pd, facendo emergere contraddizioni peraltro consustanziali al suo atto di nascita. Non ho mai pensato che ciò potesse automaticamente determinare un’implosione di questo partito, il quale è tenuto insieme – al di là della complicata convivenza di diverse culture politiche – da consistenti interessi materiali e impellenti rapporti di potere, nazionali e sovranazionali, sintetizzati al massimo livello nella figura del rieletto Presidente della Repubblica. Ma certo i suddetti delicatissimi passaggi hanno posto e continueranno a porre a dura prova la capacità del Pd di ritrovare nel Paese una composizione sociale e una sintesi politica possibili. In ogni caso, è più che probabile che anche una eventuale sintesi piegherà vieppiù verso destra, in direzione di un assetto ancor più moderato. Dal canto suo Sel, sinistra interna del centro-sinistra e fin qui alleata coerente di Bersani, punta a raccogliere la crisi di consenso del Pd, sciogliendo il vincolo di alleanza con quest’ultimo e collocandosi all’opposizione del governo: un’opposizione “costruttiva” ha subito dichiarato Gennaro Migliore, precisando che “il centro-sinistra è morto nella relazione tra i partiti, ma è vivo e vegeto nella società”. Come dire: la contingenza ci obbliga a un atto di discontinuità, ma il progetto politico non muta. Per questo, la stessa iniziativa dell’ 11 maggio promossa da Sel sembra esser concepita confermando il terreno operativo del centro-sinistra ed escludendo ogni apertura a sinistra. Si tratta purtroppo di un miope attendismo utilitaristico che, se confermato, rinuncerebbe a cogliere l’occasione per un’estesa e netta opposizione al “governo del Presidente”, nonché per la costituzione di una proficua unità d’azione a sinistra. Nel frattempo, Berlusconi è tornato prepotentemente in sella, Grillo aspetta sulla riva del fiume (da posizioni populiste e interclassiste) il cadavere della maggioranza di governo e, come dimostrano le elezioni friulane, l’astensione raggiunge dimensioni fin qui inimmaginabili. Dire emergenza è dire poco.

3-Ma perché oggi, nonostante le evidenti potenzialità, appare così difficile il richiamo all’unità della sinistra di alternativa? Per quale recondito motivo qui in Italia non si riesce a fare quello che in altri Paesi europei si è fatto, cioè dare un’espressione politica unitaria alle forze presenti alla sinistra del centro-sinistra? Per rispondere, credo innanzitutto che non si debba indulgere ad una visione immaginaria di tale ambito. Il campo nostrano della sinistra di alternativa è l’esatto contrario del prodotto di una sintesi, di un processo di superamento in avanti di parzialità pregresse: all’opposto, è l’esito di un processo di disgregazione. A ben vedere, tutti i pezzi (partitici) di quella che chiamiamo “sinistra d’alternativa” sono schegge uscite dalle implosioni parziali e successive di Rifondazione Comunista: l’attuale Prc, Vendola e (in parte) Sel, Diliberto e Pdci, Ferrando, Cannavò e giù, fino ai più pulviscolari frammenti. Il compito dunque non è semplicemente quello di assecondare una spinta oggettiva (che pure c’è, alimentata dalle contraddizioni strutturali del campo sociale) sulla cui base unificare realtà sin qui separate, che riconoscano la loro parzialità per ritrovarsi in una sintesi superiore. C’è soprattutto da contrastare la ruggine del tempo e invertire l’inerziale tendenza a regredire ad una condizione di separatezza, propria di soggetti che sono stati parte di una totalità trascorsa e andata in pezzi. Questa è la peculiarità del campo della sinistra di alternativa italiana; qui sta la difficoltà (e, con essa, la necessità di porre mano ad una rigenerazione dei gruppi dirigenti, senza sconti per questo o quel settore, per questa o quell’area).

4- Beninteso, nella determinazione dei percorsi interni a tali dinamiche, agiscono questioni attinenti l’identità, i fondamentali della politica. Come si è detto, Sel ha scelto il campo del centro-sinistra, avendo così dalla sua tutte le opportunità che vengono dall’essere un’opposizione “riconosciuta” (la rappresentanza parlamentare frutto di un’alleanza elettorale, la presenza nei media ecc.): l’adesione al socialismo europeo è il naturale suggello strategico di siffatta collocazione. Questo orientamento è il risultato di una lunga marcia che, sulla spinta delle posizioni di Bertinotti e Vendola, ha trascinato la contraddizione interna al Prc fino al congresso di Chianciano e all’ennesima rottura: secondo tale orientamento, il comunismo in quanto movimento politico organizzato ha fallito (così che l’ ’89 dello scorso secolo giunge a definitivo compimento), la falce e il martello sono simboli scoloriti che hanno perso la loro “forza propulsiva”. Di conseguenza si tratta di innovare (il comunismo resta come una “corrente di pensiero”) e di costituire una “sinistra”. Ma Bertinotti colloca tale innovazione fuori dal campo del socialismo europeo, alla sinistra di questo; nella sua impostazione resta cioè un’opzione anticapitalistica (l’idea che non si possa davvero rispondere alle domande e ai bisogni sociali, pur espresse nei tempi della politica, senza un’ “alternativa di società”). Vendola e Migliore collocano invece la suddetta innovazione all’interno del campo della “sinistra moderata” europea: con loro, cade anche l’opzione anticapitalistica (ciò fu detto esplicitamente sin dalla risposta di Gennaro Migliore all’articolo di Grassi/Steri “Caro Nichi, è l’ora della politica”, comparso su il manifesto del 6-10-2009).

5-Perché dunque occorre tener nel giusto conto le questioni attinenti l’identità? Non certo per un’ossessione ideologistica, ma perché chi ha fatto l’esperienza di aggregazioni prive di anima dovrebbe sapere che senza un vero e vissuto auto-riconoscimento viene meno la stessa possibilità che altri ti riconoscano: viene a mancare cioè il propellente ideale senza il quale la macchina non parte. Il senso della propria identità (l’ “orizzonte”) è ciò che consente al conflitto di durare nel tempo, conferendo alle sparse emergenze di esso il crisma di una stessa impresa politica. Ovviamente una tale esigenza, se non vuole deperire nell’autismo politico, è chiamata pragmaticamente a fare i conti con i rapporti di forza, con il particolare contesto in cui si opera. Non a caso, ci sono eventi che si incaricano di esprimere emblematicamente la direzione di una fase storica: la storia del Prc in ciò non fa eccezione. Al di là del costante riferimento al mondo del lavoro e alle sue lotte, caratteristica strutturale che ha accompagnato come un filo rosso l’esperienza del partito, la prima Rifondazione trovò la sua forza propulsiva nella rottura del Pci e nell’opposizione ai “liquidazionisti”; la seconda fase, quella “bertinottiana”, visse sullo slancio del cosiddetto “movimento dei movimenti”, in realtà un sommovimento planetario anti-globalizzazione che Bertinotti ebbe l’intuizione di intercettare. Oggi, il dato epocale e saliente è la crisi capitalistica: in un tale contesto, socialmente devastato, la sinistra di alternativa è chiamata a stringere i cordoni organizzativi e a cercare di parlare con una sola voce (rigenerando i suoi gruppi dirigenti, così da evitare d’esser percepita come l’insieme dei resti di un terremoto, l’espressione di un’ansia di sussistenza che guarda al passato invece che una progettualità politica volta verso il futuro).

6- Quanto detto consente di chiarire meglio alcune coordinate sul da farsi. Faccio presente, intanto, una banalità: la costituzione di un partito è qualcosa di diverso dalla costituzione di un “soggetto politico” o “polo” (nel senso che il primo è più del secondo); ed entrambe le cose sono diverse da un’alleanza o da un’unità d’azione (nel senso che quelle sono qualcosa più di questa). Ciò significa che c’è un ragionamento che riguarda il dentro e il fuori da Rifondazione. In primo luogo, il partito – oggi spossato dalla sconfitta e imballato sul piano operativo – va tutelato, rianimato, riorganizzato: comunque la si pensi sul prossimo futuro e dovunque si sia collocati (dentro o fuori il Prc), nessuno può pensare di ripartire facendo a meno di Rifondazione Comunista. In secondo luogo, quando si dice di considerare essenziale tentare di tutto per allargare l’acqua in cui nuotiamo (dunque, anche oltre Rifondazione) si può intendere tre cose diverse e non identificabili, anche se – per quello che io riesco a vedere – tutte e tre importanti e da perseguire con la massima urgenza (il tutto concerne infatti un ristretto arco temporale, una congiuntura che chiede risposte già dalle prossime settimane e che potrebbe risolversi nel giro di pochissimi mesi). Rifondazione si può e si deve allargare in tre direzioni: a) UNITA’ D’AZIONE CONTRO IL GOVERNO DEL PRESIDENTE, b) POLO DELLA SINISTRA DI ALTERNATIVA, c) RIFERIMENTO ORGANIZZATO DEI COMUNISTI.

7-Il punto a) concerne l’emergenza politica immediata e la necessità di costruire con il massimo spirito unitario un’opposizione da sinistra al governo Letta/Alfano la più larga possibile. In tale direzione il primo interlocutore è Sel. Non chiedo ovviamente a questi compagni di essere d’accordo con me sull’Europa e l’euro, piuttosto che su Cuba, Chavez o la questione siriana, nè evoco discriminanti preclusive; approfittando della nuova collocazione di Sel e del suo rifiuto delle larghe intese, chiedo di concretizzare un’unità di azione contro il governo in carica, per contrastare una sempre più drammatica emergenza sociale e democratica. Un’unità d’azione che è peraltro già nelle cose, se è vero che essi si troveranno con tutta la sinistra di alternativa (e non con il Pd) nella stessa piazza il prossimo 18 maggio assieme alla Fiom. Un’unità di azione che, dovendo essere la più larga possibile, deve altresì rivolgersi allo stesso M5S, così come (perché no?) a quella parte del Pd (ed elettori del Pd) che non hanno digerito la svolta bipartisan.
Il punto b) allude al fatto che i simboli tradizionali, la falce e il martello, il nome “comunismo” ecc. non bastano; sono necessari ma non sufficienti, come prima erano, per avere consenso. Per ripartire occorre dell’altro: anche perché, al di là delle simbologie, il problema sta nell’autorevolezza di chi parla. E non c’è dubbio che vi sia oggi un problema di autorevolezza e di leadership complessiva. Di qui l’importanza di esser presenti in un’eventuale scomposizione/ricomposizione della sinistra, con relativa costituzione di un soggetto politico o “polo della sinistra di alternativa”, costruito dal basso (e non per incontro pattizio di ceti politici, come accaduto con la Federazione della Sinistra), aperto paritariamente (per davvero e non per finta) ai movimenti sociali, associativi, referendari e a tutti coloro che individualmente vi si vogliano riconoscere.
Infine il punto c), parallelo e interno al precedente (dunque non inteso come un prius discriminante), che mira a coordinare e mantenere organizzati i comunisti. Ancora una volta, in proposito va ribadito che non si tratta di perseguire una generica “unità dei comunisti”, raccattando cioè tutti coloro che per i più diversi motivi hanno deciso di auto-nominarsi tali (nel merito, non saprei neanche più dire quante decine di sigle e denominazioni del tutto ininfluenti si richiamino oggi al comunismo…). Intendo più specificamente riferirmi ai congressi del Prc e del Pdci (quest’ultimo saggiamente convocato per luglio, quello di Rifondazione si spera il più presto possibile). Lo dico un po’ schematicamente, ma senza giri di parole: se le due scadenze congressuali dovessero produrre le novità che auspichiamo – e cioè, per un verso, la sconfitta delle propensioni liquidazioniste e burocratiche e, per altro verso, la sconfitta delle tendenze massimaliste e settarie – tornerebbe all’ordine del giorno l’avvio di un percorso che conduca alla costituzione di un’unica organizzazione politica dei comunisti. Come è evidente, questo è tutt’altro che scontato. Ciò non toglie che, dal mio punto di vista, sia assolutamente auspicabile.

L’insieme di a), b) e c) dovrebbe costituire l’impegno urgente dei prossimi mesi.

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