Mentre scrivo da Ramallah, territori occupati palestinesi, giungono
ora dopo ora le notizie della rappresaglia organizzata da parte del
governo di Israele nei confronti di tutto il popolo palestinese:
demolizioni di case, bombardamenti, arresti. E di quella privata,
probabilmente per mano di gruppi estremisti ebraici , contro un
ragazzino di 16 anni, palestinese, a Gerusalemme. Anche lui
sequestrato, ucciso e bruciato. Il rumore dei caccia israeliani
diretti a Gaza fa da sottofondo, ed Il rischio che si apra una nuova
stagione di violenza dopo l’uccisione dei tre giovani coloni israeliani,
i cui presunti colpevoli non sono stati ancora fermati, è alto. Una
nuova stagione di guerra. Ma la guerra in realtà non è mai finita. In
Cisgiordania vige uno status quo apparentemente stabile, fondato su un
equilibrio così precario che può saltare in ogni momento. E’ un
equilibrio dove le notizie di uccisioni di palestinesi e di arresti, che
avvengono quasi quotidianamente, non fanno notizia. Per quanto le
cronache italiane, insopportabilmente acquiescenti con Israele , non lo
ricordino mai, la Palestina, o meglio, i territori palestinesi della
Cisgiordania e di Gaza sono occupati dal 1967. Da Israele. Che rimane
uno stato occupante e che è quindi , da un punto di vista giuridico ed
istituzionale, responsabile della sicurezza, dell’amministrazione e
militare in quell’area dove è avvenuto il sequestro e poi l’uccisione
dei tre studenti. Non è un particolare da poco. E’ Israele, e non
l’Autorità nazionale palestinese, l’istituzione che ha responsabilità
della sicurezza nell’area c dei territori, secondo quella che rimane da
Oslo la partizione di responsabilità giuridiche fra Occupante , Israele,
e Autorità nazionale Palestinese.
Non può essere quindi l’ANP additata in alcun modo di responsabilità
nel tragico evento. La responsabilità di quanto successo va addebitata,
secondo un principio basilare dello stato di diritto, ai suoi esecutori
materiali, ed è tutta da verificare l’ipotesi sostenuta dal governo di
Tel Aviv che quest’azione sia frutto deliberato di un’organizzazione
palestinese, che esista una pianificazione da parte di Hamas
dell’omicidio dei tre coloni. L’ insensata e sproporzionata reazione
israeliana di queste ore, che punisce per l’ennesima volta un intero
popolo, non ha giustificazione alcuna. La vendetta sommaria da parte di
Israele di queste ore è fuori di ogni civiltà giuridica, oltre che
profondamente ingiusta.
La rappresaglia israeliana, l’ennesima punizione collettiva nei
confronti dei palestinesi non fa altro che gettare altra benzina sul
fuoco. Un fuoco che cova sotto le ceneri di un processo di pace che è
oramai su un binario morto, e ad avercelo portato sono proprio i governi
israeliani, che con la loro politica coloniale e di apartheid, di
sequestro di terre e territori hanno di fatto reso impossibile la
nascita di uno stato palestinese. Lo hanno fatto deliberatamente. Non è
stato il destino, ma l’esito di una volontà politica evidente a chi
vuol vedere e non sia accecato dalla propaganda israeliana.
La politica di colonizzazione dei territori palestinesi non è una
parentesi, è una costante dei governi israeliani. E’ la ragione
principale del fallimento del processo di pace. E’ ciò che impedisce
materialmente e fisicamente la nascita di uno stato palestinese. E’
violazione del diritto internazionale. E’ colonialismo. Questa politica
non ha avuto fine con gli accordi, ma al contrario, negli anni
successivi sono cresciuti gli insediamenti israeliani nel cuore della
Cisgiordania, con tacito assenso e colpevole silenzio di tanti.
Nei territori occupati oggi la situazione è peggiore di quella
precedente ad Oslo. Gli insediamenti sono aumentati a dismisura, così
come di pari passo è stata sempre più limitata la libertà di movimento
dei palestinesi, prigionieri delle loro enclaves, costretti a vivere di
umiliazioni costanti e crescenti.
Nei giornali italiani nessuno si è preso poi la briga di ricordare
cos’è Hebron sotto occupazione. Una città fantasma. Dove un pugno di
coloni ultraortodossi determina la vita di migliaia di palestinesi a cui
è stata sequestrata la città. Vale la pena tornare indietro al 1994.
Vent’anni fa fu uno di questi coloni, Baruch Goldstein, seguace della
setta ultrarazzista del rabbino Meir Kahane , ad entrare nella moschea
di Abramo, e ad aprire il fuoco uccidendo 29 palestinesi. Lo fece ed è
celebrato dalle organizzazioni utrasioniste come un eroe. Nessuno allora
demoli la sua casa, o arrestò i suoi fratelli. Anzi. Il coprifuoco fu
imposto anche allora ai palestinesi, che dai quei giorni non hanno più
accesso libero alla moschea di Abramo, alle vie del centro dove i coloni
hanno deciso di installarsi. Dal 1994 il centro storico di Hebron è
sotto controllo militare israeliano, a protezione di coloni
ultrareligiosi, che girano armati e che sono protagonisti di continue
violenze. Naturalmente questo non giustifica affatto l’assassinio dei
tre giovani coloni, ma spiega che cos’è oggi la Palestina, svela il
contesto in cui maturano i risentimenti e la rabbia dei palestinesi,
senza il quale non si può capire ciò che accade in questa terra.
Da quando Hebron è stata sequestrata dai coloni la situazione in
città è di costante tensione. Di permanente provocazione. Quelli di
Hebron, come il resto in Cisgiordania, sono insediamenti illegali e
illegittimi da punto di vista internazionale. Sono protagonisti di
tensioni e di prevaricazioni. Sono il simbolo della prepotenza del più
forte. Sono anch’essi degli esaltati fondamentalisti religiosi. Se
continueranno a costruirsi insediamenti, muri, check point, se le strade
riservate ai coloni costringeranno ancora i palestinesi a improbabili
percorsi alternativi di ore per percorrere le brevi distanze fra le loro
città, non potrà mai esservi pace. Questo è chiaro a tutta la comunità
internazionale, tranne che ai politici italiani, i quali fanno a gara a
chi è più ossequioso nei confronti di Israele. Non abbiamo mai sentito
da parte di Renzi, Mogherini, e via dicendo una sola voce di condanna
degli insediamenti, degli arresti arbitrari, dei bombardamenti, di
cordoglio per le vittime palestinesi. Ma oramai, il nostro paese, non
ha più alcun ruolo nel mediterraneo. Complice delle guerre
neoimperialiste in Libia e in Siria, la sua funzione è ridotta a quella
di portaerei della Nato e di esecutore delle decisioni altrui. Che dire,
non pensavamo proprio di dover rimpiangere Andreotti e Craxi, che
ebbero il coraggio, a loro tempo, di azioni e politiche dignitose nei
confronti della questione palestinese. Davvero dei giganti rispetto ai
palloni gonfiati del nulla, ai servi sciocchi del nostro triste
presente. Il problema palestinese si chiama occupazione militare
israeliana, apartheid ed insediamenti. Senza mettere fine a mezzo secolo
di occupazione, non potrà mai trovarsi la strada per la soluzione del
conflitto. Questa verità può essere nascosta dalla propaganda
filoisraeliana del nostro paese, ma non agli occhi dei popoli di tutto
il mondo.
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