lunedì 14 luglio 2014

Quel maledetto giovedì che ha distrutto la crescita in Europa

Stagnazione. La realtà è più forte della fantasia e della finanza. Giovedì 10 luglio il Portogallo ha fatto crollare le borse, l’Istat ha registrato il dato negativo della produzione, il Pil ristagna in Germania. E Per Renzi si prepara una manovra extra-strong tra i 7 e i 24 miliardi
Sull’Europa non spira più la bonanza finan­zia­ria che aveva illuso sul ritorno della cre­scita. Annul­late le vacanze, ripren­dete in mano gli scon­trini e le agen­dine dei risparmi, a set­tem­bre rico­min­ciano gli esami. E par­ti­ranno i tagli. Il pro­blema non è solo ita­liano, anche se l’Italia ha un grosso pro­blema al quale il governo non vuole pen­sare: per fine anno una mano­vra finan­za­ria extra-strong che oscilla dai 7 ai 24 miliardi di euro, a seconda delle stime pio­vute negli ultimi mesi sul capo di Renzi. Il pro­blema è euro­peo, e in primo luogo tedesco.
Cro­naca di una set­ti­mana turbolenta
Nel vec­chio con­ti­nente gio­vedì scorso è stata una gior­nata in cui una far­falla ha sca­te­nato una tem­pe­sta. È suc­cesso in Por­to­gallo dove il Banco Espi­rito Santo, la prima banca per capi­ta­liz­za­zione nel paese, è stata sospesa dalla Borsa di Lisbona per una per­dita del 17%. Cosa è suc­cesso? Ha ritar­dato il paga­mento a pochi clienti degli inte­ressi sulle obbli­ga­zioni della con­trol­lante lus­sem­bur­ghese – la Espi­rito Santo Inter­na­tio­nal. Si stima che siano in ballo 2,5 miliardi di euro in obbli­ga­zioni. Gli inve­sti­tori temono di per­dere i bond, chie­dono alla banca di essere tute­lati. Nes­suna rispo­sta dall’altro capo del telefono.
Allarme gene­rale. Arri­vano i soc­corsi. Il Fondo Mone­ta­rio Inter­na­zio­nale arriva sul luogo del delitto. E ras­si­cura: tran­quilli, il sistema ban­ca­rio por­to­ghese è in grado di soste­nere la crisi, aiu­tato come sem­pre dai capi­tali messi a dispo­si­zione dallo Stato die­tro il quale c’è la con­trae­rea di Mario Dra­ghi in posi­zione di fuoco con la sua Bce.
Ma nes­suno ci crede. Gio­vedì la borsa di Lisbona è crol­lata del 4% e sca­tena il fini­mondo in tutta Europa. L’indice ita­liano ha perso il 2,11%, Madrid il 2%, tutta l’Europa del Sud si ina­bissa, ter­ro­riz­zata. Anche per­ché non si sa nulla di quello che sta acca­dendo a Lisbona e alla dina­stia di ban­chieri diretta da Santo Sal­gado, 70 anni. Il Banco Espi­rito Santo, si apprende dal Finan­cial Times , è un «ascesso» che minac­cia di con­ta­giare la cre­di­bi­lità inter­na­zio­nale por­to­ghese e la sua «gra­duale ripresa da tre anni di depressione».
Ad avere messo in ginoc­chio le borse dell’Europa meri­dio­nale, è un dub­bio forse dovuto ad una mera man­canza di infor­ma­zioni, o forse dall’annuncio di un fal­li­mento da ripa­gare con i soldi dei con­tri­buenti por­to­ghesi. Ma ciò umi­lia le spe­ranze su uno dei cam­pion­cini del rigore pro­tetti dalla Com­mis­sione Ue e dalla Bce. Solo due mesi fa, infatti, il Por­to­gallo era stato por­tato in trinfo per avere appli­cato il piano di sal­va­tag­gio impo­sto dalla Troika in cam­bio di un pre­stito da 78 miliardi di euro. Per il paese è stata una cata­strofe. Per la Troika un tripudio.
Al cul­mine dei festeg­gia­menti a Lisbona è stato con­cesso di tor­nare sul mer­cato del debito, dopo l’Irlanda. Gli alunni dili­genti dell’austerità devono essere pre­miati. Ven­ti­quat­tro mesi dopo l’alunno ha messo una bomba sotto gli indici di borsa reduci da rally favo­losi. E che gio­vedì hanno ven­duto tutto il ven­di­bile. Gua­da­gnando sulle scom­messe di fal­li­mento in Portogallo.
Ritorno sulla terra
Gio­vedì è arri­vata una nuova maz­zata sulla testa di Renzi e del suo mini­stro dell’Economia Padoan. L’Istat ha comu­ni­cato che la pro­du­zione indu­striale ita­liana a mag­gio è crol­lata dell’1,2% rispetto al mese pre­ce­dente. È il risul­tato peg­giore dal novem­bre 2012 e una discesa dell’1,8% rispetto al 2013. Sono le mon­ta­gne russe della mani­fat­tura, espo­sta ai tor­nadi finan­ziari che inve­stono le espor­ta­zioni, sulla cui vita­lità il Pd e i lieti annun­cia­tori della «cre­scita» hanno scom­messo nel circo mediatico.
La comu­ni­ca­zione dell’Istat è la pie­tra tom­bale sulle resi­due spe­ranze della cre­scita nel secondo tri­me­stre dell’anno. In que­ste con­di­zioni è ormai un sogno lon­tano quell’avventurosa scom­messa fatta dal governo ad aprile nel Docu­mento di Eco­no­mia e Finanza (dEF): nel 2014 il Pil sarebbe cre­sciuto dello 0,8%. A fine anno sarà, pro­ba­bil­mente, allo 0,3%. Forse meno, se il secondo tri­me­stre dell’anno si è chiuso a –0,1%. Lo sce­na­rio per la fine dell’anno è pro­ble­ma­tico. Nel primo tri­me­stre del 2014 il tasso di disoc­cu­pa­zione ha toc­cato il 13,9% (+ 0,8% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno), con quella gio­va­nile al 46%. Al Sud siamo più vicini alla Gre­cia che al resto del paese: tasso gene­rale al 21,7%, che sale fino al 60,9% tra i giovani.
A que­sto punto quelli che Renzi chiama i «rosi­coni» si sono dati da fare. E non sono «rosi­coni» qual­siasi. Al Wall Street Jour­nal sem­bra chiaro che la Com­mis­sione Euro­pea, alla cui com­po­si­zione Renzi sta ala­cre­mente lavo­rando pro­po­nendo la gio­vane Moghe­rini nel ruolo inu­tile di capo della diplo­ma­zia, non con­ce­derà alcuna aper­tura sul fronte dei rego­la­menti del bilan­cio. Un bel colpo per l’inquilino di Palazzo Chigi, pro­prio dai cul­tori del neo­li­be­ri­smo anglo­sas­soni non certo sim­pa­te­tici con l’ordoliberismo pro­te­stante tede­sco. In nome del rigore non si può chie­dere la fles­si­bi­lità del patto di sta­bi­lità, anche quando tale fles­si­bi­lità si risolve in un rin­vio al pareg­gio di bilan­cio al 2015 e allo scom­puto dei soli cofi­na­zia­menti nazio­nali ai fondi Ue esclusi dal con­teg­gio del defi­cit e poco altro.
Ger­ma­nia zoppicante
I pro­blemi di Renzi sono enormi e lo hanno por­tato in un vicolo cieco. Ma non sono solo pro­blemi ita­liani. Per­chè la vera pro­ta­go­ni­sta di que­sto male­detto gio­vedì in cui le borse dell’Europa meri­dio­nali sono state messe in ginoc­chio da una far­falla lusi­tana, è stata la super-potenza tede­sca. Il pro­blema del paese della Mer­kel è che gli ordini dell’industria sono sta­gnanti e in calo all’estero, in par­ti­co­lare sui mer­cati emer­genti. E que­sto pre­oc­cupa gli osser­va­tori visto che quell’affaticata «ripre­sina» di cui si parla in Europa si regge esat­ta­mente sull’esportazioni mani­fat­tu­riere tede­sche, vero pol­mone dell’economia europa in reces­sione. La crisi è di domanda, nei paesi euro­pei e in quelli extra-europei. Secondo gli ana­li­sti nella seconda parte dell’anno l’economia tede­sca dovrebbe ripar­tire e piaz­zare un aumento poco sotto l’1% del Pil, per con­ti­nuare nel 2015 la sua ascesa.
Ma come fa notare l’ Eco­no­mist , il tal­lone d’Achille della Ger­ma­nia sono gli inve­sti­menti che sono in calo da cin­que tri­me­stri con­se­cu­tivi e sten­tano a ripar­tire. Il pro­blema è stato più volte ana­liz­zato sia dall’Ocse che dal Fondo Mone­ta­rio. A Ber­lino c’è carenza di capi­tali. Si parla, per l’esattezza, di «capi­tale umano» e con que­sta nozione neo­li­be­ri­sta si intende «com­pe­tenze». Ebbene, in molte indu­strie c’è penu­ria di que­ste com­pe­tenze. Non c’è solo carenza negli inve­sti­menti nell’industria, ma anche nell’educazione. Gli inve­sti­menti nell’educazione sono infe­riori rispetto a quelli di altri paesi avanzati.
Ad esem­pio, le per­sone che hanno una for­ma­zione ter­zia­ria, in altre parole una lau­rea, sono meno di un terzo, ben al di sotto delle nazioni avan­zate sostiene l’Ocse. L’ Eco­no­mist si duole dello scarso «appe­tito» che hanno i tede­schi per «nuove riforme». In un paese impo­ve­rito, con salari sem­pre più bassi, dove l’agenda 2010 delle libe­ra­liz­za­zioni e della pre­ca­riz­za­zione ha sca­vato a fondo, è com­pren­si­bile. Per Euro­ba­ro­me­tro, l’84% dei tede­schi sarebbe «sod­di­sfatto» per lo stato della loro eco­no­mia e c’è poca voglia di pro­se­guire, aprendo le porte ad una nuova ondata di incer­tezza e povertà.
C’è anzi voglia di otte­nere final­mente qual­cosa indie­tro dallo Stato. E per que­sto si sta discu­tendo della riforma delle pen­sioni che paer­met­terà ad alcune cate­go­rie di andare in pen­sione a 63 e non a 65 anni.
Un con­ti­nente in apnea
Il gio­vedì da incubo ha rive­lato che Ita­lia, Spa­gna e Por­to­gallo non sono gli unici paesi a reg­gersi in equi­li­brio macroe­co­no­mico pre­ca­rio. Basta un sof­fio per rove­sciare le sorti anche di una coraz­zata come la Ger­ma­nia, espo­sta all’intemperie del com­mer­cio glo­bale. La Cina ha regi­strato, sem­pre gio­vedì, una con­tra­zione dell’interscambio commerciale.
Dopo quat­tro anni di aiuti di Stato, di poli­ti­che mone­ta­rie «acco­mo­danti» che hanno dro­gato i mer­cati con soldi creati dal nulla da parte delle ban­che cen­trali, tutto sta ral­len­tando. La sta­gna­zione regna sovrana in Europa e il rigore non farà sconti a nes­suno. Nes­suna fuga in avanti. Sulla costa c’è chi aspetta la tem­pe­sta in arrivo.
di Roberto Ciccarelli, Il Manifesto

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