Scoppia
un incendio. Per fortuna arrivano i pompieri. Che però si mettono a
versare sempre più acqua in una piscina piena, mentre la casa a fianco
sta bruciando.
A giugno 2016 la BCE lancia l’ennesimo piano per provare a rilanciare l’economia del vecchio continente. Visto che anni passati a “stampare soldi” tramite il quantitative easing (www.nonconimieisoldi.org)
non hanno dato i risultati sperati, ecco il passo ulteriore: con questi
soldi acquistare non solo titoli di Stato, ma anche obbligazioni di
imprese private. Corporate
Europe Observatory – CEO, l’organizzazione che da anni studia e denuncia
il peso delle lobby nelle decisioni europee, è andata a vedere quali
siano le imprese e i settori che hanno beneficiato di tali acquisti. La
ricerca appena pubblicata (corporateeurope.org) non lascia spazio a dubbi: “il
risultato è inquietante, a meno che non pensiate che petrolio, auto di
lusso, champagne e gioco d’azzardo siano il posto migliore in cui
mettere soldi pubblici”.
In ultima analisi l’intervento della BCE è un sostegno ad alcune delle più grandi multinazionali. Le
obbligazioni sono una forma di finanziamento, il cui costo segue la
legge della domanda e dell’offerta: se sono in molti a volere i titoli
di una determinata impresa, questa potrà offrire tassi di interesse
minori. Se al contrario nessuno o quasi le vuole comprare, gli interessi
che dovrà garantire l’impresa per finanziarsi salgono. Se la BCE
interviene acquistando determinate obbligazioni, il soggetto
corrispondente si trova quindi avvantaggiato rispetto ai concorrenti.
Non parliamo di spiccioli. La BCE avrebbe investito 46 miliardi di euro a
fine novembre 2016 e prevederebbe di arrivare a 125 miliardi per
settembre 2017.
Dalla
Shell alla Repsol, dalla Volkswagen alla BMW, troviamo alcune delle più
grandi imprese dei combustibili fossili e dell’automobile. Anche
dimenticandoci dello scandalo che solo pochi mesi fa ha investito la
Volkswagen, nel momento in cui l’Europa sbandiera la sua politica
“verde” e i suoi obiettivi contro i cambiamenti climatici, siamo certi
che sostenere tali settori con decine di miliardi sia la strategia
migliore per rispettare gli impegni presi? E poi multinazionali del
calibro di Nestlè, Coca Cola, Unilever, Novartis, Vivendi, Veolia,
Danone, Renault e chi più ne ha più ne metta.
E
l’Italia? Eni, Enel, Terna, Hera, Snam, ACEA, Assicurazioni Generali,
Exor (la società di casa Agnelli che controlla Fiat e Ferrari), A2A,
Telecom Italia, Autostrade per l’Italia e poche altre. Non sembra
esattamente l’elenco delle imprese che hanno le maggiori difficoltà ad
avere accesso al credito. All’esatto opposto, sono con ogni probabilità
quelle che indipendentemente dal sostegno della BCE (che nella scelta
dei titoli si appoggia alle banche centrali nazionali, quindi anche a
Banca d’Italia) possono già finanziarsi alle migliori condizioni.
Per
l’ennesima volta regole e procedure europee cucite su misura per i
gruppi industriali e finanziari di maggiore dimensione, a scapito di
piccole imprese e settori più innovativi. In Italia la stretta
sull’erogazione di credito – o credit crunch – per anni ha colpito
pesantemente piccole imprese, famiglie, artigiani. Così come il
quantitative easing ha gonfiato i mercati finanziari senza rilanciare
l’economia, così il nuovo piano della BCE sembra inefficace se non
controproducente. Che si guardi alla finanza pubblica o a quella
privata, ciò a cui assistiamo è un gigantesco eccesso di soldi per i più
forti, mentre mancano risorse per un vero rilancio di economia e
occupazione e per enormi bisogni che non trovano un finanziamento. La
casa europea sta bruciando, ma i pompieri gettano acqua in una piscina
piena mentre lasciano divampare l’incendio.
Se
come ripetono i libri di testo il compito principale della finanza,
anzi il suo stesso motivo di esistere, è “l’allocazione ottimale” delle
risorse nell’economia reale, stiamo quindi parlando del più macroscopico
fallimento dell’era moderna. Non solo provoca crisi a
ripetizione, aumenta le diseguaglianze, pretende di piegare l’intera
società ai propri diktat, ma al culmine del paradosso questo sistema
finanziario semplicemente non funziona e non fa l’unica cosa
che dovrebbe fare. Alla faccia dei “mercati efficienti”, vero pilastro
su cui poggiano le teorie economiche che hanno dominato gli ultimi
decenni e dominano ancora le istituzioni europee.
Cosa
sarebbe accaduto con politiche monetarie ed economiche differenti? Cosa
sarebbe accaduto se le centinaia di miliardi della BCE che oggi
gonfiano i mercati finanziari e sussidiano le multinazionali, fossero
invece stati destinati a un piano di investimenti pubblici,
alla ricerca, l’occupazione, la riconversione ecologica dell’economia?
Tecnicamente non ci sarebbero problemi a farlo: invece di acquistare
obbligazioni della Coca Cola o della Shell, la BCE compra titoli della
Banca Europea per gli Investimenti – BEI, una banca pubblica alla quale
le istituzioni europee potrebbero dare un mandato chiaro per impiegare
le risorse per gli obiettivi che la stessa Europa si è data in materia
di inclusione sociale, lotta alle diseguaglianze e ai cambiamenti
climatici. Farlo o non farlo non è quindi questione di trattati europei –
ammesso che per qualche misterioso motivo non sia possibile cambiarli –
è questione di volontà politica.
Una
volontà totalmente assente in un’Europa che a dispetto dei disastri
attuali rimane schiacciata su una visione liberista e su politiche
monetarie ed economiche fallimentari. Non ci si può allora stupire della
crescita delle destre xenofobe e populiste e del concreto rischio che
l’incendio porti a una disgregazione della stessa UE. L’unica cosa che
stupisce è una testardaggine che rasenta il fanatismo nel vedere che a dispetto di tali disastri, le scelte di fondo non vengono in nessun modo rimesse in discussione.
Nessun commento:
Posta un commento
Di la tua