mercoledì 20 febbraio 2013

Elezioni e paradossi postmoderni di Bruno Steri


Elezioni e paradossi postmoderni


E’ la stretta finale. E, restando riservati i sondaggi, sulla scena mediatica mainstream ci si affida all’immaginazione, seppur stiracchiata in un’indigestione di messaggi elettorali. Così c’è chi da destra racconta di un Monti disperato e in bilico sulla fatidica soglia del 10 per cento; chi dal centro-sinistra non fa una piega e si dice sicuro della vittoria (hic manebimus optime!), ma sotto sotto teme di non arrivare ai numeri necessari per la governabilità; chi prospetta un’avanzata populista, con percentuali da capogiro ai grillini. E così via immaginando. L’attenzione è monopolizzata dalla virulenza delle polemiche, ma non si va oltre la schiuma di superficie. Di fatto, l’esito di queste elezioni dipenderà in misura consistente dalla significativa percentuale di quanti non hanno ancora deciso e dal tasso di straniamento che ha sin qui continuato ad alimentare la fuga verso l’astensione: emblematico effetto di un allontanamento dalla politica che ha coinciso con l’estendersi della fragilità delle opinioni e la volatilità del voto.
In effetti, il crollo delle ideologie (di tutte meno una, quella dominante) e l’immersione nella “società liquida” hanno portato con sé non pochi paradossi. Ad esempio io, che sono comunista, andrei nondimeno molto volentieri ad ascoltare Beppe Grillo a piazza San Giovanni: ci andrei ovviamente non come cittadino votante, ma come “spettatore”, cioè – alla lettera – fruitore di uno spettacolo, che immagino divertente. Perché Grillo resta fondamentalmente un grande uomo di spettacolo. Come lui stesso in un guizzo di sincerità ha riconosciuto, il problema è tutto qui: siamo ridotti a un Paese in cui i politici fanno i comici e i comici fanno i politici. Un mondo capovolto: di qui, un ex Presidente del Consiglio che fa battute, racconta barzellette, diverte il suo uditorio. Insomma, spettacolarizza la politica. Di là, un comico che piega i suoi motti di spirito al racconto politico. Politicizza lo spettacolo.
Davanti a tutto questo, c’è chi si chiede: funziona? Non importa la risposta (che funzioni o no). Significativa è già la domanda: ci dice che, in questa desolante post-modernità, la ricerca del consenso ha troncato ogni relazione con la sostanza delle cose. Con i “fondamentali” della politica.
Andando avanti di questo passo, temo che potremmo giungere al punto di veder preferita alla candidatura di un Togliatti o di un De Gasperi, quella della Littizzetto. Non scherzo: nel contesto politico-culturale in cui siamo precipitati, una tonalità spigliata potrebbe risultare assai più accattivante di un più impegnativo acume intellettuale. Lo dico per rimarcare la cifra del tempo, fatta salva ovviamente la simpatia che porto per la bravissima Luciana.
Il fatto è che anche quelli che dovrebbero ricondurre ad un universo simbolico più consono le performances della campagna elettorale, cedono anch’essi al paradosso. In particolare, il Pd incorre nel più paradossale dei paradossi: invoca il voto utile, potendo già usufruire del “più utile” dei privilegi. Essendo accreditati come prima coalizione del 30/35 per cento dei suffragi, potrebbero incamerare il 55 per cento dei seggi. Roba da far impallidire la famigerata “legge truffa”! Ma di “utilità” non ce n’è mai abbastanza… Nel frattempo, sempre a proposito di campioni di democrazia, Mario Monti insiste per un confronto televisivo tra quelli che contano o che hanno le cose più interessanti da dire: cioè lui stesso, Bersani e Berlusconi. Quest’ultimo replica che sono anche troppi: basterebbero lui e Bersani. Pazienza per gli altri.
Come in questi giorni non cessiamo di denunciare, con l’avvicinarsi della scadenza elettorale Rivoluzione Civile è stata fatta sparire dagli organi d’informazione, letteralmente censurata. Poco male, vorrà dire che andremo a cercarci i voti portone per portone.

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